Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13792 del 31/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 31/05/2017, (ud. 06/04/2017, dep.31/05/2017),  n. 13792

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8105-2013 proposto da:

P.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PRINCIPESSA CLOTILDE 7, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

ALTIERI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANTONIO DE GREGORI;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SCIPIO

SLATAPER 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO DE CARO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO BOTTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 165/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 10/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

P.R. ha proposto ricorso, articolato in tre motivi, avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 165/2012, depositata il 10/02/2012, la quale, in riforma della pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Genova il 23/02/2009, accogliendo parzialmente l’impugnazione principale di T.R. e quella incidentale della stessa P.R., ha condannato quest’ultima (promittente venditrice) a risarcire al primo (promissario acquirente) i danni da inadempimento contrattuale relativi al preliminare di compravendita immobiliare del 17/04/2000, liquidati in misura equivalente all’indennità dovutale dal T. per l’occupazione dell’immobile dalla seconda metà dell’anno 2000 alla seconda metà dell’anno 2009 (pari ad Euro 44.513,00).

T.R. resiste con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.

Il primo motivo del ricorso di P.R. deduce la violazione degli artt. 163, 164, 99 e 112 c.p.c., assumendo che T.R., all’udienza di precisazione delle conclusioni di primo grado (11/11/2008), nel mutare l’originaria domanda di adempimento in domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, avesse richiesto “la condanna al risarcimento del danno, che si chiede venga liquidato in via equitativa”, senza nulla aggiungere al riguardo. Domanda poi illustrata nella comparsa conclusionale del 09/01/2009 come risarcimento “per il deprezzamento e la differenza tra il prezzo convenuto per la vendita dell’immobile e il suo attuale valore di mercato”; e quindi riproposta nell’atto di appello facendo riferimento “al mancato conseguimento della proprietà del bene immobile promesso in vendita ed ai conseguenti disagi”. A fronte di tale domanda, la Corte d’Appello ha riconosciuto al T. un danno “per gli oneri e le spese da lui sostenute per la ristrutturazione dell’immobile oggetto del contratto preliminare di vendita”, danno che si è liquidato “in misura quantitativa corrispondente a quella complessiva dell’indennità di occupazione dello stesso immobile da parte del promissario acquirente sino al rilascio avvenuto a novembre 2009”, avendo il CTU constatato nell’immobile, ancora occupato dal T., “numerose opere di risanamento recente”, “di valore ingente”, essendo “fatto notorio rientrante nella comune esperienza quanto costino gli interventi di restauro e miglioramento di un appartamento”.

Il primo motivo di ricorso denuncia che il T. non avesse mai richiesto il risarcimento del danno per le spese fatte nell’immobile, nè mai sufficientemente precisato la propria domanda risarcitoria.

Il secondo motivo di ricorso, proposto in via subordinata al primo, censura la violazione degli artt. 24 e 111 Cost e dell’art. 101 c.p.c.

Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione, avendo la stessa Corte d’Appello dato atto che il promittente acquirente non avesse prodotto alcuna documentazione a dimostrazione delle spese sostenute, sicchè la decisione si era basata sulle generiche risultanze peritali, che avevano riscontrato nell’appartamento soltanto la realizzazione dell’impianto elettrico e dell’impianto di riscaldamento, peraltro rimossi dal T. al momento del rilascio dell’immobile.

Il primo ed il terzo motivo, che possono essere unitariamente trattati, risultano fondati.

Invero, mentre, in ipotesi di risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento del promissario acquirente, questa Corte riconosce che al promittente venditore sia dovuto il risarcimento del danno per la sostanziale incommerciabilità del bene nella vigenza del preliminare, danno la cui sussistenza è “in re ipsa” e, quindi, non necessita di prova (Cass. Sez. 2, 10/03/2016, n. 4713; Cass. Sez. 3, 03/12/2009, n. 25411), laddove, come nel caso in esame, sia il promissario acquirente ad agire per la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni cagionati dall’inadempimento del promittente venditore, tali danni, secondo la regola generale, spettano soltanto se siano conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento e possono essergli. liquidati esclusivamente se il medesimo promittente acquirente, che si assume danneggiato, fornisca la prova della loro effettiva esistenza (Cass. Sez. 2, 19/05/2003, n. 7829; Cass. Sez. 2, 30/07/1999, n. 8278). Pure ove la parte solleciti l’esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa, ex art. 1226 c.c., è comunque necessario che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè grava sulla parte interessata l’onere di provare non solo l'”an debeatur” del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi “in re ipsa”, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (da ultimo, Cass. Sez. 3, 08/01/2016, n. 127).

La Corte d’Appello di Genova, nell’impugnata sentenza, ha invece quantificato in Euro 44.513,00 il danno subito dal promissario acquirente T., prendendo a parametro le opere di “risanamento urgente” da questo eseguite nell’immobile, essendo “fatto notorio rientrante nella comune esperienza quanto costino gli interventi di restauro e miglioramento di un appartamento”. E’ tuttavia costante l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio, ex art. 114 c.p.c., comma 2), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Ne consegue che restano estranei a tale nozione le acquisizioni specifiche di natura tecnica, gli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari o richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, nonchè quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poichè questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, di tal che non potevano i giudici d’appello ritenere notorio il valore di un impianto elettrico o di un impianto di riscaldamento (cfr. Cass. Sez. 1, 19/03/2014, n. 6299).

D’altro canto, Roberto T., parte non inadempiente, dopo aver richiesto la liquidazione equitativa del danno causato dall’avverso inadempimento, aveva fatto esplicito riferimento nelle sue difese al deprezzamento del bene, al suo attuale valore di mercato ed ai disagi correlati al mancato conseguimento della proprietà dell’immobile, mentre la Corte d’Appello di Genova gli ha accordato il danno “per gli oneri e le spese da lui sostenute per la ristrutturazione dell’immobile oggetto del contratto preliminare di vendita”. Ora, nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno, qualora l’attore, dopo essersi rimesso alla valutazione equitativa, indichi comunque analiticamente le voci di danno di cui chiede il ristoro, il giudice non può pronunciare condanna per voci diverse da quelle richieste dalla parte, giacchè il ricorso alla liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., pur se non impone all’attore un’allegazione analitica delle singole voci, essendo sufficiente che le consideri nel loro complesso, non deve, tuttavia, assolutamente obliterare la necessaria distinzione tra le varie specie di danni posti in relazione di causalità immediata e diretta con l’inadempimento e dedotti a fondamento della domanda, in modo che ne abbia conoscenza il danneggiante convenuto (arg. da Cass. Sez. 3, 16/02/2010, n. 3593; Cass. Sez. 3, 14/03/1963, n. 623).

Vanno quindi accolti il primo ed il terzo motivo di ricorso, rimanendo assorbito il secondo motivo. La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. Il giudice di rinvio deciderà uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti.

PQM

 

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Genova anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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