Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1379 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. I, 22/01/2020, (ud. 25/10/2019, dep. 22/01/2020), n.1379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23871/2018 proposto da:

B.A.S., domiciliato in Roma, via Varrone n. 9, presso lo

studio dell’avv. Giuliano Mendoza, rappresentato e difeso giusta

procura in calce al ricorso dall’avv. Alessandro Fabbrini;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministero pro tempore, e

Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione

Internazionale di Verona;

– intimati –

avverso il decreto n. 616/2018 del 17/7/2018 del Tribunale di

Perugia;

udita la relazione della causa svolta nella Camera consiglio del

25.10.2019 dal Consigliere Dott.ssa PAOLA GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Trento rigettava la domanda proposta da B.A.S., cittadino pakistano, volta ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.; in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il Tribunale riferiva che il ricorrente aveva esposto alla Commissione di essere di religione musulmana, di avere diversi fratelli e sorelle e che vicino ad una delle case di proprietà della famiglia aveva sede un distretto di polizia. Per tale ragione dei talebani si erano insediati nel suo immobile al fine di sferrare attacchi nei confronti della polizia; questa lo aveva invitato a sporgere denuncia e lo aveva condotto con sè alla base dei talebani al fine di vedere un conflitto a fuoco con gli stessi; in esito a detto episodio i talebani si erano recati a casa sua per cercarlo, non lo avevano trovato e per questo avevano rapito il fratello di cui non aveva più notizie; egli era così fuggito arrivando dapprima in Grecia, poi in Ungheria, poi in Austria e da ultimo in Italia.

3. Riteneva che il racconto del richiedente non risultasse credibile, nè nelle sue modalità, nè sul perchè fosse fuggito solamente lui e non anche gli altri familiari, che a quanto detto dal medesimo erano rimasti nel villaggio di (OMISSIS). In ogni caso, il ricorrente non aveva provveduto a provare nè allegare circostanze idonee a fondare la richiesta di protezione, non emergendo alcuna situazione di possibile condanna a morte o tortura o altra forma di pena o trattamento o tale da rappresentare un pericolo grave alla sua vita. La richiesta di protezione risultava anche infondata con riguardo alla condizione del Pakistan, caratterizzata da estrema insicurezza e pericolo di attentati, ma non tale da integrare una situazione di conflitto armato generalizzato nei termini previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Nè risultava il percorso di integrazione in Italia necessario per concedere la protezione umanitaria.

4. Per la cassazione del decreto B.A.S. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui gli intimati non hanno opposto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Come primo motivo di ricorso il richiedente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, il difetto di motivazione in punto di non attendibilità del ricorrente e concedibilità della protezione sussidiaria ex lettere a) e b) dell’art. 14. Lamenta che la propria dichiarazione non sia stata considerata attendibile, in contrasto con quanto emergente dalla situazione del paese dedotta con il ricorso introduttivo e rilevata dallo stesso Collegio giudicante.

6. Il motivo è inammissibile: qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12-11-2019, n. 29279). Nel caso, la critica formulata nel motivo costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

7. Come secondo motivo il ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e art. 2 Cost., ed errata valutazione dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria. Sostiene che nel giudizio comparativo tra situazione del paese di origine e situazione in Italia il Collegio abbia sottovalutato il fatto che in Pakistan i diritti fondamentali sono lesi per la sola presenza sul territorio, nonchè il fatto che ricorrente manca da casa da oltre 7 anni, il che renderebbe estremamente gravoso nuovo inserimento, senza supporto familiare.

8. Come terzo motivo deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e lamenta che il Tribunale non abbia valorizzato ai fini di ritenere l’integrazione dell’istante nel territorio italiano il percorso intrapreso di istruzione sia linguistica che tecnica e l’esistenza di un contratto di lavoro a tempo determinato del 27/12/2017, prorogato al 26/11/2018, nonchè l’attuale svolgimento di lavori in agricoltura.

9. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

Questa Corte ha chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

10. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

11. Nel caso, il Tribunale ha compiuto tale valutazione comparativa, e, una volta esclusa la credibilità del narrato relativo alle cause dell’allontanamento dal Pakistan, ha ritenuto inidoneo a integrare il presupposto per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari il percorso di integrazione quale risultante dalla documentazione prodotta – che dunque è stata esaminata, contrariamente a quanto assume il ricorrente – pur a fronte della situazione di insicurezza che caratterizza il Paese di provenienza quale emersa dai siti internazionali più recenti ed accreditati.

12. La valutazione è stata dunque compiuta nel rispetto dei parametri legali di riferimento, mentre anche in tal caso la critica formulata nel motivo è inammissibile nella parte in cui si contrappone all’esito della valutazione di merito del Tribunale.

13. Segue coerente il rigetto del ricorso.

14. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo svolto gli intimati attività difensiva.

15. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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