Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13789 del 23/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/06/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 23/06/2011), n.13789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria n.

2, presso lo studio dell’Avv. AIELLO FILIPPO, che lo rappresenta e

difende come da procura a margine dei ricorso;

– ricorrente –

contro

CISIM FOOD S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, in persona dei

Commissari Straordinari Avv.ti F.L.- Fr.Lu. –

Z.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via del Corso

n. 160, presso lo studio dell’Avv. ALESSANDRINI RAFFAELLO, che la

rappresenta e difende come da procura in atti;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 4921/06 della Corte di Appello di

Roma dell’8.06.2006/27.06.2008 nella causa iscritta al n. 8999 R.G.

dell’anno 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18.05.2011 dal Pres. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Raffaello Alessandrini per la controricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. SEPE Ennio

Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, ritualmente depositato, S.G. conveniva in giudizio la CISIM FOOD S.p.A., di cui era stato dipendente come addetto alla cassa, per sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera del 12.1.2000 in relazione ad alcune irregolarità di cassa, con le conseguenti statuizioni di carattere restitutorio e retributivo.

La convenuta costituendosi contestava le avverse deduzioni e chiedeva il rigetto del ricorso.

All’esito dell’istruzione, escussi i testi ammessi, il Tribunale di Roma con sentenza n. 20575 del 19.11.2004 rigettava il ricorso. Tale decisione, appellata dallo S., è stata confermata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza n. 4921 del 2006.

La Corte ha ritenuto corretta l’utilizzazione dei controlli investigativi in sede giudiziale; in ogni caso ha ribadito la responsabilità dell’appellante con riguardo agli addebiti di mancata registrazione di alcune vendite sulla base delle dichiarazioni dei dipendenti dell’agenzia investigativa sentiti come testi in primo grado.

Contro la sentenza di appello S.G. propone ricorso per cassazione con tre motivi. La società resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 2, sostenendo che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto efficace il licenziamento, pur se la relativa lettera del datore di lavoro non esponeva le ragioni del recesso.

Il motivo è privo di pregio e va disatteso, sia perchè il ricorso non riporta il contenuto della comunicazione sia perchè la censura si traduce in un diverso apprezzamento rispetto alla valutazione del giudice di appello, che ha ritenuto che la comunicazione del licenziamento contenesse una analitica e completa rappresentazione dei fatti determinanti il recesso.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione circa un fatto decisivo del giudizio, con riguardo all’ammissibilità dell’utilizzo di una agenzia investigativa da parte del datore di lavoro per verificare e, successivamente, per provare in giudizio l’inosservanza delle procedure di cassa e la mancata registrazione fiscale delle relative operazioni.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha fatto richiamo al costante orientamento di questa Corte, che si condivide, secondo cui le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento delle persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative – purchè non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori-, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (cfr. Cass. n. 3590 del 14 febbraio 2011; Cass. n. 18821 del 9 luglio 2008; Cass. n. 9167 del 7 giugno 2003 ed altre conformi). Orbene il giudice di appello, proprio in relazione a tale orientamento, ha precisato che nella fattispecie in esame il controllo dell’agenzia si era mantenuto nei limiti anzidetti, non investendo la normale attività lavorativa, ma le prestazioni del dipendente integranti violazioni di obblighi extracontrattuali penalmente rilevanti.

2. Con i terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione circa un fatto decisivo del giudizio, con riguardo ai profilo della proporzionalità della sanzione espulsiva sia in relazione alla mancanza di precedenti disciplinari a suo carico sia in relazione alla disciplina collettiva, che non considera gli addebiti a lui mossi come una mancanza gravissima.

La censura è priva di pregio e va disattesa. Il giudice di appello ha ricostruito la condotta dello S. in tutti i suoi profili (soggettivo ed oggettivo) evidenziandone la gravità in relazione alla natura del rapporto di lavoro, alla ripetitività degli episodi – anche all’interno delle singole giornate lavorative – e alla delicatezza delle mansioni svolte dal lavoratore, addetto alla cassa, sicchè l’addebito mosso (omessa registrazione di merce) era tale da far venir meno la fiducia del datore di lavoro nell’operato del dipendente (in tal senso ex plurimis Cass. sentenza n. 14507 del 29 settembre 2003; Cass. sentenza n. 6609 del 28 aprile 2003).

In questo quadro la sanzione espulsiva è ampiamente giustificata ed è adeguata alla gravità della condotta, per cui la mancanza di precedenti disciplinari nel periodo pregresso di lavoro non assume decisiva rilevanza. In definitiva la censura del ricorrente si risolve in un diverso apprezzamento della condotta da lui tenuta rispetto alla valutazione del giudice di appello, sorretta da congrua e logica motivazione, non censurabile come tale in sede di legittimità.

4. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 29,00, oltre Euro 2000/00 per onorari ed oltre IVA. CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2011

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