Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13787 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 20/05/2021), n.13787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27548-2019 proposto da:

TELECOM ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENZO MORRICO, ROBERTO

ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA;

– ricorrente –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CLELIA, 18,

presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE RIVETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SEVERINO NAPPI;

– controricorrente –

contro

TELEPOST SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1308/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 20/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Napoli confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da C.S., dipendente dapprima di Telecom Italia S.p.a., poi, a seguito di cessione di ramo di azienda, con effetti dal 1 marzo 2004, di Telepost S.p.a., accertando il demansionamento dallo stesso subito a far data dall’aprile 2002 e condannando le società in solido alla corresponsione del conseguente risarcimento dei danni;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Telecom Italia S.p.a. sulla base di unico motivo, illustrato con memoria;

resiste il lavoratore con controricorso;

la proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata è stata notificata alla controparte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con unico motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1218,1223 e 2112 c.c.;

osserva che, essendo stato accertato che il demansionamento si era protratto dal mese di aprile 2002 fino ad ottobre 2010 e che da marzo 2004 il dipendente era alle dipendenze esclusive di Telepost s.p.a., era erronea la condanna solidale delle società per l’intero periodo, gravando la responsabilità del demansionamento sul soggetto utilizzatore delle prestazioni, che aveva il potere di assegnare le mansioni: il danno scaturente dal demansionamento, infatti, non era conseguenza diretta e immediata della condotta di Telecom s.p.a., bensì della scelta del cessionario del ramo di azienda di non utilizzare il lavoratore in attività coerenti con la sua professionalità, tanto più che l’art. 2112 c.c., prevede solo che il cedente sia obbligato solidalmente con il cessionario per i crediti del lavoratore anteriori alla cessione, mentre nulla prevede per il periodo successivo alla cessione, ed, anzi, impone la responsabilità della cessionaria anche per i crediti anteriori alla cessione;

con il controricorso il lavoratore rappresenta che di avere proposto impugnazione della cessione del ramo di azienda e che, nelle more del giudizio di appello, con ordinanza 11204 del 31 maggio 2016 la Corte di Cassazione aveva respinto il ricorso promosso da Telecom Italia s.p.a., confermando con efficacia di giudicato l’illegittimità ed inefficacia della cessione del ramo di azienda di quest’ultima nei confronti di Telepost s.p.a.;

così ricostruita la vicenda processuale, il motivo di ricorso deve ritenersi fondato alla luce del principio enunciato da questa Corte in forza del quale “In caso di invalidità del trasferimento di azienda accertata giudizialmente, il rapporto di lavoro permane con il cedente e se ne instaura, in via di fatto, uno nuovo e diverso con il soggetto già, e non più, cessionario, alle cui dipendenze il lavoratore abbia materialmente continuato a lavorare, dal quale derivano effetti giuridici e, in particolare, la nascita degli obblighi gravanti su qualsiasi datore di lavoro che utilizzi la prestazione lavorativa nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale; ne consegue che la responsabilità per violazione dell’art. 2103 c.c., deve essere imputata a quest’ultimo e non anche al cedente.” (Cass. n. 21161 del 07/08/2019);

con la citata decisione è stato precisato che, accanto al rapporto di lavoro quiescente con l’originaria impresa cedente, ripristinato de iure con la declaratoria giudiziale di invalidità del trasferimento, vi è una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro in via di fatto, comunque produttivo di effetti giuridici e quindi di obblighi in capo al soggetto che in concreto utilizza la prestazione lavorativa del ceduto nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale, tra i quali anche quello che discende dall’operatività dell’art. 2103 c.c., sicchè l’eventuale violazione di tale norma non può essere imputata al cedente che in concreto non utilizza la prestazione lavorativa;

conseguentemente, la sentenza impugnata – che ha condannato Telecom Italia s.p.a. in solido con Telepost s.p.a. per il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell’art. 2103 c.c., per un periodo in cui lavorava alle dipendenze della seconda – deve essere cassata sul punto, onde consentire un nuovo esame al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente procedimento, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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