Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13787 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28430-2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONCA D’ORO

285, presso lo studio dell’avvocato DAVID GIUSEPPE APOLLONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA COEN;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 67/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

delle MARCHE, depositata il 20/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate emetteva a carico di C.M. un avviso di accertamento redditometrico relativo all’anno di imposta 2003, contestando al contribuente l’assenza di redditi necessari per l’acquisto nel periodo compreso fra l’anno 2003 e l’anno 2007 di un immobile avvenuto l’8 marzo 2006, rispetto al quale erano state corrisposte in diversi periodi di tempo somme superiori complessivamente ad Euro 340.000,00.

Il contribuente impugnava l’atto, sostenendo che le somme utilizzate per l’acquisto del cespite fossero allo stesso provenute da donazioni dei parenti e dall’esistenza di polizze assicurative liquidate in quel periodo.

Il giudice di primo grado respinse il ricorso con sentenza confermata in appello dalla CTR Marche.

Il giudice di appello, con la sentenza indicata in epigrafe, per quel che qui ancora rileva ritenne che ai fini della prova della disponibilità di somme dedotte dal contribuente – che avrebbero consentito il pagamento del prezzo avvenuta con due bonifici e con assegni circolari – non era possibile tenere in considerazione alcuna il testamento olografo del 7 settembre 2003, poichè a prescindere dalla validità civilistica dello stesso era emersa dalla dichiarazione sostitutiva di Co.Fi. che il Co.Ma. non aveva lasciato disposizioni testamentarie.

Quanto alla nota scritta con la quale la nonna del C., successivamente all’emissione dell’avviso di accertamento, aveva dichiarato di avere consegnato al nipote, in esecuzione delle disposizioni di ultima volontà del marito, la somma di Euro 210.000,00 e che la stesso importo era stato utilizzato per l’acquisto della casa, la CTR riteneva che del trasferimento del denaro e dell’uso di esso per l’acquisto non vi era alcuna traccia e che della dichiarazione non poteva tenersi conto, “perchè si consentirebbe in modo surrettizio un’elusione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario”.

Aggiungeva che rispetto all’importo di Euro 19.513,22 derivante da polizze assicurative della Postevita spa, erano state prodotte delle semplici note attestanti la disponibilità delle somme a partire dall’1 marzo 2006 in favore di C.M., C.L. e Co.Fi., difettando tuttavia la prova dell’incasso di tali assegni e del loro successivo utilizzo per pagare il prezzo dell’immobile.

Evidenziò, ancora, che rispetto ad altre somme (accrediti di Euro 5.650,00 e di Euro 8922,00) non vi era prova della provenienza allegata dal contribuente e che non era dunque possibile verificarne l’origine, mentre per ulteriori importi (Euro 3000,00, Euro 2.5000,00 ed Euro 9.000,00), non vi era traccia negli estratti conto prodotti. Il C., dunque, secondo la CTR non aveva dimostrato, come sarebbe stato suo onere, l’avvenuto ricevimento da parte di soggetti terzi degli importi e nemmeno l’origine di tali disponibilità. Per converso, il contribuente aveva provato la provenienza di Euro 70.000, di cui ai predetti assegni circolari, dal di lui fratello, risultando il versamento dei titoli tracciato e coerente con i tempi della compravendita.

In conclusione, la CTR accoglieva le impugnazioni di entrambe le parti ritenendo che dall’accertamento dovesse essere decurtata, ai fini del reddito attribuito al contribuente, l’importo di Euro 70.000,00.

Il C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico complesso motivo.

L’Agenzia delle entrate non si è costituita.

Con la censura proposta il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, del principio dell’onere della prova, dei principi in tema di valutazione della prova documentale.

Secondo il ricorrente la CTR avrebbe errato nell’escludere la valenza probatoria del testamento olografo e delle polizze assicurative, in quanto aventi valore di prova legale, inoltre assegnando, illegittimamente, valore decisivo alla destinazione delle somme risultanti dalle polizze all’atto di acquisto. Secondo il ricorrente, inoltre, il giudice di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare le prove che lo stesso avrebbe offerto in ordine alle liberalità ricevute dai parenti per acquistare il cespite immobiliare, essendo pacifico che lo stesso, poco più che maggiorenne all’atto del rogito, non aveva alcun reddito.

La CTR non avrebbe poi adeguatamente considerato le prove offerte dal ricorrente per superare la presunzione nascente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, dando luogo alla violazione dell’art. 116 c.p.c..

Il ricorso è infondato.

Giova ricordare che in tema di accertamento sintetico, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 6, non è sufficiente la dimostrazione, da parte del contribuente, della disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che tali redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, deve essere fornita quella delle circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere – cfr. Cass. n. 18097/2018 -.

In definitiva, la prova contraria in ordine sia alla disponibilità di detti redditi che all’entità degli stessi ed alla durata del possesso, sicchè, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere – cfr. Cass. n. 1510/2017 -. Ne consegue che ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto è onerato della prova contraria sulla loro disponibilità, sull’entità degli stessi e sulla durata del possesso, sicchè, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere – cfr. Cass. n. 29067/2018 -.

Quanto al tema della prova di liberalità nel contenzioso in cui il contribuente viene ritenuto titolare di redditi non dichiarati per avere effettuato delle spese non adeguate al proprio reddito, questa Corte ha avuto modo di chiarire che i qualora l’ufficio accerti induttivamente il reddito con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, il contribuente, ove deduca che l’incremento patrimoniale sia frutto di liberalità (nella specie, ad opera della madre), è tenuto a fornirne la prova con documentazione idonea a dimostrare l’entità e la permanenza nel tempo del possesso del relativo reddito – cfr. Cass. n. 916/2016. Si tratta di un principio che trae le sue origini da precedenti arresti giurisprudenziali, a cui tenore In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n., n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, la prova delle liberalità medesime deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, ai quali la motivazione della sentenza deve fare preciso riferimento – cfr. Cass. n. 24597/2010 -.

Il carattere rigoroso della prova in ordine alla provenienza di somme derivanti da liberalità è d’altra parte confermato dall’affermazione che qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento – cfr. Cass. n. 1332/2016 -.

In questa direzione si pone, sostanzialmente, la più recente Cass. n. 7767/2018, ove si è ritenuto che ove il contribuente deduca che la spesa sia il frutto di liberalità o di altra provenienza, la relativa prova deve essere fornita con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento, pur non essendo lo stesso tenuto, altresì, a dimostrare l’impiego di detti redditi per l’effettuazione delle spese contestate, attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica.

In quest’ultima circostanza, in definitiva, si insiste sul fatto che ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), lo stesso è onerato della prova contraria in ordine sia alla disponibilità di detti redditi che all’entità degli stessi ed alla durata del possesso, sicchè, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. (La S.C., in applicazione del principio, ha confermato la decisione impugnata con la quale era stato rigettato il ricorso della contribuente che aveva acquistato, nell’anno di imposta, un immobile deducendo genericamente la provenienza dalla suocera delle somme necessarie) – cfr. Cass. n. 1510/2017 -.

Orbene, fatte le superiore premesse in diritto, le censure esposte dal ricorrente non sono fondate.

Ed invero, il giudice di appello non ha escluso la valenza probatoria legale al documento contenente un testamento olografo, che ovviamente conteneva solo l’eventuale volontà del testatore di lasciare un importo al nipote, quanto la sua idoneità a comprovare che il contribuente fosse realmente entrato nella disponibilità degli importi poi utilizzati per l’acquisto dell’immobile. Orbene, la CTR, nell’escludere che il testamento fosse mai esistito, ha esercitato le prerogative alla stessa riservata in tema di valutazione delle prove, valorizzando la dichiarazione resa da altro soggetto in ordine all’assenza di disposizioni testamentarie da parte del nonno del C..

Del resto, il ricorrente non ha contestato specificamente la sentenza nella parte in cui ha escluso valenza probatoria alle dichiarazioni della nonna del C., in tal modo riconoscendo al giudice di appello il potere allo stesso spettante del libero convincimento in ordine alla portata delle prove.

Anche con riguardo alle polizze assicurative, v’è da rilevare che la CTR non ha deciso disattendendo il contenuto della prova relativa alla disponibilità di somme alla scadenza in favore dei C., ma ha riconosciuto che tale elemento non fosse idoneo a dimostrare che il C.M. fosse entrato nella disponibilità delle relative somme per poi impiegarle nell’acquisto dell’immobile.

Non vi è dubbio che il giudice di appello ha insistito sul fatto che il contribuente avrebbe dovuto dimostrare l’impiego delle somme nell’acquisto, ancorchè la giurisprudenza sul punto, come si è visto, si limiti a prevedere che vi deve essere unicamente l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento, o al più la documentazione di circostanze sintomatiche che ne denotano l’utilizzo per effettuare le spese contestate e non altre – cfr. Cass. n. 7389/2018 -. Ma tale non corretta affermazione non elide il fatto principale costituito dall’assenza di prova, secondo la CTR, dell’esistenza delle somme in capo al contribuente che solo avrebbe potuto consentire allo stesso di superare la presunzione nascente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6.

In questa direzione non sembra dunque esservi spazio alcuno per ipotizzare la violazione dell’art. 116 c.p.c., essendosi il giudice di appello comunque mosso sui binari relativi alla valutazione degli elementi probatori offerti dalle parti e giungendo ad una conclusione che resiste alle censure esposte dal ricorrente.

Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va integralmente rigettato.

Nulla sulle spese, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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