Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13786 del 06/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 06/07/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 06/07/2016), n.13786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24123-2015 proposto da:

CIODUE ITALIA S.P.A. C.F. (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FULCIERI PAULUCCI DE CALBOLI 1, presso lo studio dell’avvocato

STEFANIA CIASCHI, che la rappresenta e difende giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

O.L. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

FONTANA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO

RUSCONI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 758/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/08/2015 r.g.n. 31/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGTOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato CIASCHI STEFANIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

La Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado (che, in parziale riforma dell’ordinanza dello stesso Tribunale ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49, aveva respinto le domande di O.L. di impugnazione del licenziamento intimatogli il (OMISSIS) da Ciodue Italia s.p.a. sul presupposto della pure negata qualificazione giuridica del rapporto tra le parti come di lavoro subordinato e dichiarato inammissibili quelle di riconoscimento della qualifica di quadro e di pagamento del T.f.r. e dell’indennità di preavviso), con sentenza 7 agosto 2015, annullava il licenziamento, ordinando alla società datrice la reintegrazione di O. nel posto di lavoro e condannandola alla corresponsione, in suo favore a titolo risarcitorio, della retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello di reintegrazione, detratto l’aliunde perceptum pari alla somma di Euro 134.301,90, oltre rivalutazione ed interessi dalle singole scadenze, nonchè alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva, contrariamente al Tribunale, la natura di collaborazione coordinata e continuativa dell’attività lavorativa prestata dal 23 gennaio 2003 al (OMISSIS) da O.L. in favore di Ciodue Italia s.p.a., nell’ambito dei servizi di assistenza e prevenzione alle imprese da questa svolta nel settore antinfortunistico e di sicurezza sul lavoro, in forza di una serie di contratti di durata annuale, automaticamente rinnovati, definiti di consulenza e di tenore analogo.

Essa ravvisava, infatti, la prevalenza del lavoro personale sull’utilizzazione di una struttura materiale, il carattere continuativo e la stretta coordinazione esercitata dalla società, operante nel settore e cui il lavoratore era contrattualmente tenuto a riferire giornalmente gli interventi compiuti, nel rispetto delle sue procedure ed istruzioni. Sicchè, da un tale accertamento conseguiva la conversione del rapporto, in assenza di un progetto ed ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 in rapporto subordinato a tempo indeterminato fin dal suo inizio (con infondatezza dei profili di incostituzionalità prospettati per la non incidenza della sanzione suddetta sui poteri di qualificazione del giudice, in quanto applicazione di regola del lavoro dipendente);

ma analogamente anche secondo la diversa tesi della necessità di accertamento della natura subordinata del rapporto, per la mancata assoluzione dell’onere probatorio datoriale della natura autonoma della prestazione, a norma della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 24 ed in esito allo scrutinio delle risultanze istruttorie.

La Corte territoriale riteneva pertanto illegittimo il recesso intimato con lettera (OMISSIS), siccome privo di giusta causa o giustificato motivo, nè rispettoso delle formalità previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 7: pertanto soggetto alle conseguenze reintegratorie e risarcitorie stabilite dall’art. 18 L. cit., nel testo anteriore alla L. n. 92 del 2012 in quanto ad essa precedente.

Essa infine detraeva l’aliunde perceptum documentato negli anni da 2012 a 2015 e riconosceva pure al lavoratore la categoria di quadro, per la rispondenza dei requisiti di professionalità e di autonomia alla declaratoria dell’art. 107 CCNL del terziario e servizi. Con atto notificato il 6 ottobre 2015, Ciodue Italia s.p.a. ricorre per cassazione con sette motivi, cui resiste O.L. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 3 Cost., artt. 2094, 2222 e 2230 c.c., D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, art. 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea applicazione delle disposizioni del D.Lgs. n. 276 del 2003 ad un rapporto del prestatore non di soggezione, ma piuttosto libero – professionale.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 3, 4, 35 e 41 Cost., D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, L. n. 4 del 2013, art. 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea interpretazione, a fini di esclusione dell’automatica conversione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto subordinato a tempo indeterminato per i soli iscritti in albi professionali, della locuzione normativa albo in stretto riferimento letterale alle professioni indicate dall’art. 2229 c.c., anzichè a tutte quelle qualificate da una rilevante formazione teorica e pratica, in una corretta prospettiva costituzionale.

Con il terzo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 409 c.p.c., D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 69 e 61, art. 2969 c.c., art. 115 c.p.c. ed omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per erronea interpretazione dei requisiti di personalità, continuità e coordinamento del rapporto tra le parti, ben compatibili con un’attività libero professionale estranea all’ambito previsionale del D.Lgs. n. 276 del 2003.

Con il quarto, la ricorrente deduce violazione dell’art. 36 Cost., art. 2099, L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea determinazione dell’indennità sostitutiva della retribuzione al lavoratore sulla base di importo medio di un anno ampiamente superiore ai minimi tabellari, anzichè a questi e a quanto concretamente già corrisposto.

Con il quinto, la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per vizio di ultrapetizione su domanda di accertamento della qualifica di quadro, dichiarata inammissibile dal Tribunale con capo non impugnato dal lavoratore.

Con il sesto, la ricorrente deduce violazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 47, 48 e 50, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inammissibilità di trattazione con il cd. “rito Fornero” della domanda di accertamento della qualifica del lavoratore come quadro, in quanto domanda ulteriore e diversa rispetto a quelle di annullamento del licenziamento e relative a questioni sottese.

Con il settimo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 107 CCNL del Commercio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea interpretazione della norma denunciata e mancata prova della corrispondenza delle mansioni del lavoratore alla previsione della declaratoria, in assenza di un accertamento in fatto.

Il primo motivo (violazione dell’art. 3 Cost., artt. 2094, 2222 e 2230 c.c., D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, art. 12 preleggi, per erronea applicazione delle disposizioni del D.Lgs. n. 276 del 2003 a rapporto non di soggezione, ma piuttosto qualificabile libero – professionale) può essere congiuntamente esaminato con il secondo (violazione degli artt. 3, 4, 35 e 41 Cost., D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, L. n. 4 del 2013, art. 12 preleggi, per erronea interpretazione, a fini di esclusione dell’automatica applicazione della conversione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto subordinato a tempo indeterminato, della locuzione normativa albo come riferita ai soli iscritti in albi professionali, anzichè a tutti i prestatori di attività qualificate), per ragioni di stretta connessione.

In via di premessa, deve esserne ritenuta l’ammissibilità per esclusione della formazione di giudicato sull’accertamento comunque della natura subordinata del rapporto.

Il ragionamento argomentativo della Corte territoriale relativo all’analoga conclusione della controversia (al secondo capoverso di pg. 7 della sentenza) non integra, infatti, un’autonoma ratio decidendi non censurata (Cass. s.u. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753), posto che non sorregge un accertamento di esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tout court.

Esso si mantiene piuttosto nell’alveo interpretativo della conversione di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in uno di lavoro subordinato, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 (secondo cui: “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”), intendendo dare conto, oltre che della tesi dell’automatismo di conversione (per effetto della rilevata carenza di progetto), come parrebbe dal tenore letterale della disposizione (“sono considerati”), anche di quella diversa prospettante la necessità di un accertamento in concreto della natura subordinata del rapporto retto da un onere probatorio a carico datoriale (per lo specifico richiamo della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 24, di interpretazione del citato art. 69, comma 1 “nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”).

Ma tanto detto, essi sono infondati.

Con le norme in materia di lavoro a progetto, il legislatore ha inteso realizzare una chiara finalità di tutela, secondo i criteri direttivi previsti dalla Legge Delega n. 30 del 2003, art. 4, comma 1, lett. c), a rapporti esposti ad un rischio di maggiore abuso, quali quelli di collaborazione coordinata e continuativa, come individuati dall’art. 409 c.p.c., n. 3.

E ciò attraverso la più garantita collocazione nell’ambito di uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale e determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione: così integrando una particolare forma di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale (Cass. 25 giugno 2013, n. 15922; Cass. 29 maggio 2013, n. 13394). E senza interferenza alcuna con l’autonomia degli altri rapporti libero professionali, nè discriminazione o violazione dei principi costituzionali infondatamente invocati, in più con specifico riferimento a quelli disciplinati in albi professionali (espressamente esclusi dall’ambito applicativo delle tipologie contrattuali a progetto ed occasionali dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 3), per il più rigoroso regime di controllo e di tutela da questi assicurata, in funzione di una disciplina più nettamente distinta e regolata rispetto a diversi rapporti lavorativi.

Il terzo motivo, relativo a violazione dell’art. 409 c.p.c., D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 69 e 61, art. 2969 c.c., art. 115 c.p.c. ed omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione, per erronea interpretazione dei requisiti di personalità, continuità e coordinamento del rapporto tra le parti, è inammissibile.

Non si configura infatti, da una parte, la denuncia di violazione di legge, in difetto della ricorrenza dei requisiti propri del vizio, di sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756), neppure mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

Sicchè esso si risolve in un’inammissibile confutazione della valutazione probatoria operata dal giudice di merito (congruamente e logicamente giustificata per le ragioni illustrate a pgg. 5 e 6 della sentenza), con una sottesa sollecitazione ad un nuovo esame del merito cognitorio, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

Ma neppure si configura, sotto il concorrente profilo di doglianza, il vizio denunciato ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’introduzione con l’attuale testo nell’ordinamento di un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): non già di elementi riguardanti la valutazione probatoria di un fatto (come appunto nel caso di specie in riferimento ai requisiti di personalità, continuità e coordinamento del rapporto tra le parti), i quali non integrano in sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053).

Il quarto motivo, relativo a violazione dell’art. 36 Cost., art. 2099, L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 per erronea determinazione dell’indennità sostitutiva della retribuzione al lavoratore, è infondato.

Non è pertinente il richiamo a parametri tabellari retributivi, anche ai sensi dell’art. 36 Cost., per la loro estraneità all’ottica risarcitoria, che impone una commisurazione del danno sulla retribuzione globale di fatto, pari a quella che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato, ad eccezione dei compensi eventuali e di cui non sia certa la percezione, nonchè di quelli legati a particolari modalità di svolgimento della prestazione ed aventi normalmente carattere occasionale o eccezionale (Cass. 17 luglio 2015, n. 15066; Cass. 22 settembre 2011, n. 19285; Cass. 16 settembre 2009, n. 19956). E a ciò la Corte territoriale ha correttamente provveduto (come risulta dal secondo capoverso di pg. 8 della sentenza), in esatta applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 (sola norma correttamente denunciata) e senza una specifica confutazione della ricorrente.

Il quinto (violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 2909 c.c., per vizio di ultrapetizione su domanda di accertamento della qualifica di quadro, dichiarata inammissibile dal Tribunale con capo non impugnato dal lavoratore), il sesto (violazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 47, 48 e 50, per inammissibilità di trattazione con il cd.

“rito Fornero” della domanda di accertamento della qualifica del lavoratore come quadro) ed il settimo motivo (violazione dell’art. 107 CCNL del Commercio, per erronea interpretazione della norma denunciata e mancata prova della corrispondenza delle mansioni del lavoratore alla previsione della declaratoria), congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse.

Il lavoratore controricorrente ha, infatti, documentato l’esercizio dell’opzione, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 per l’indennità sostitutiva alla reintegrazione nel rapporto, con il conseguente assorbimento di ogni questione riguardante la sua domanda di accertamento della qualifica di quadro nella prospettiva ripristinatoria del rapporto, ormai rinunciata.

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna Ciodue Italia s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2016

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