Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13785 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 06/07/2020), n.13785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23813-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del

Presidente pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del

Direttore pro tempore elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

R.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

197, presso lo studio dell’avvocato MAURO MEZZETTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO NOLA;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 1997/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 26/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per revocazione, affidato a due motivi, contro R.U., impugnando l’ordinanza resa da questa Corte n. 1997/2018, pubblicata il 26 gennaio 2018, che ha accolto il ricorso del contribuente, e cassando la sentenza di appello senza rinvio ha accolto il ricorso introduttivo, ritenendo prescritto il credito fiscale preteso dall’ufficio.

La parte intimata si è costituita con controricorso, pure depositando memoria.

Con il primo motivo si deduce l’esistenza di un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4. Secondo la ricorrente la sentenza impugnata aveva accolto l’eccezione di prescrizione che non era stata mai formulata dal contribuente, essendo la Corte stata indotta in errore dall’utilizzazione di una frase in uno dei motivi di censura.

Con il secondo motivo si deduce l’esistenza di un errore di fatto consistente nella percezione dell’oggetto dei crediti recati dall’avviso di mora impugnato, poichè se la Corte avesse verificato la natura di imposta di registro del tributo preteso, sfuggita per mera svista, non avrebbe mai potuto riconoscere il decorso del termine di prescrizione decennale applicabile alla fattispecie, per l’appunto non maturato in relazione alla notifica della cartella esattoriale – 23 11.1999 – e a quella dell’avviso di mora – 18.3.2009 -.

Entrambi motivi sono inammissibili, involgendo l’attività valutativa operata dalla Corte di Cassazione in ordine al motivo di ricorso formulato dal contribuente nel ricorso per cassazione ed alla natura del tributo oggetto della pretesa indicata nell’avviso di mora.

In entrambe le censure infatti non si prospetta in realtà alcuna svista ma, più correttamente, un errore valutativo da parte del giudice di legittimità che avrebbe considerato erroneamente il richiamo al tema della prescrizione contenuto in uno dei motivi di ricorso, ancorchè tale censure non era stata formulata nel ricorso stesso.

In altri termini risulta evidente che la ricorrente ponga in discussione la correttezza dell’attività valutativa del giudice che, a dire dell’Agenzia avrebbe, esaminato un motivo non dedotto. Contestazione che non può essere formulata per il tramite del mezzo revocatorio.

Sul punto giova infatti ricordare che le Sezioni Unite hanno già chiarito che non è idonea ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 391 bis c.p.c., e art. 395 c.p.c., n. 4), la valutazione, ancorchè errata, del contenuto degli atti di parte e della motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di vizio costituente errore di giudizio e non di fatto – Cass. n. 10184/2018 -.

Analoghe considerazioni vanno espresse con riguardo al secondo motivo di ricorso che, prospettando una non corretta individuazione della natura del tributo preteso dall’ufficio, integra un vero e proprio error iuris nel quale sarebbe incorsa, eventualmente, la pronunzia impugnata. Errore che non può integrare l’errore di fatto revocatorio.

Sulla base di tali considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore del controricorrente in Euro 10.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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