Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13781 del 23/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/06/2011, (ud. 20/04/2011, dep. 23/06/2011), n.13781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICASOLI N. 7,

presso lo studio dell’avvocato MUGGIA ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.T.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1045/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 25/07/2006 R.G.N. 408/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza, del

20/04/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato MUGGIA ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 25 luglio 2006, la Corte d’Appello di Torino respingeva il gravame svolto da B.N. (recte M.) contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti di T.T. per differenze retributive per un preteso rapporto di lavoro intercorso dal 1 gennaio 1999 al 20 aprile 2000.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

il lavoratore aveva inizialmente convenuto in giudizio L. e M. assumendo nei loro confronti l’intercorso rapporto di lavoro subordinato con mansioni di muratore e il credito per differenze retributive;

entrambi i convenuti in giudizio denegavano l’esistenza di un rapporto di lavoro indicando, quale datore di lavoro, T. T. che, d’ufficio, veniva chiamato in causa, con rinuncia, del B., all’azione proposta nei confronti di L. e M. i quali dichiaravano di accettare la rinuncia;

T., costituendosi tardivamente in giudizio, negava le pretese retributive asserendo di aver pagato quanto dovuto e il lavoratore dichiarava di aver ricevuto una somma precisata e di aver sottoscritto, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, una dichiarazione liberatola per il debitore.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva che la dichiarazione del lavoratore di aver sottoscritto una quietanza liberatoria con la quale riconosceva di aver ricevuto quanto dovuto e di non aver più nulla a pretendere, tant’è che l’azione giudiziaria veniva intrapresa contro S. e M., assumeva valore confessorio a nulla rilevando l’irreperibilità materiale del documento che lo stesso lavoratore dichiarava di aver firmato.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, B. M. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, illustrato con memoria. L’intimato non ha resistito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1967 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per aver la Corte di merito ritenuto transatto il credito retributivo pur in assenza di prova scritta, sulla base di dichiarazioni del lavoratore prive di valore confessorio. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se possa considerarsi esistente una transazione nell’ipotesi in cui non venga prodotto il documento scritto, in palese violazione dell’art. 1967 c.c., che impone che la prova della transazione debba essere data documentalmente e non in forma verbale o per presunzione.

6. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., e art. 1965 c.c. e motivazione carente e contraddittoria per aver il Giudice di merito valutato una transazione non dedotta tempestivamente dal convenuto non costituitosi in giudizio, ma comparso solo per rendere l’interrogatorio formale. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se l’eccezione di transazione sia un’eccezione in senso stretto che, come tale, doveva essere tempestivamente eccepita e la Corte di merito, anche d’ufficio, doveva ritenere l’eccezione tardiva e non ammettere le prove.

7. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e 2113 c.c. e motivazione carente e contraddittoria per aver la Corte di merito valutato un atto come transazione senza verificare, in concreto, se lo stesso contenesse gli elementi a tal fine qualificanti o non si trattasse, piuttosto, di quietanza liberatoria generica. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se possa essere considerato transazione un atto definito dalla Corte “quietanza liberatoria” facendo presupporre che lo stesso non fosse così specifico da poter essere considerato una transazione, ma piuttosto quietanza a saldo.

8. Con il quarto motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), in ordine alla dichiarazione resa dal ricorrente e dal convenuto in giudizio, per aver la Corte erroneamente ritenuto provata la transazione intervenuta tra le parti e per aver omesso di valutare il complesso di dichiarazioni e fatti acquisiti. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

9. I motivi vanno esaminati congiuntamente per la loro logica connessione.

10. Nel rito del lavoro l’interrogatorio non formale, reso ex art. 420 c.p.c., comma 1, preordinato non a provocare la confessione della parte ma a chiarire i termini della controversia, non costituisce mezzo di prova e le dichiarazioni in esso contenute devono considerarsi elementi chiarificatori e sussidiati di convincimento;

rientra, tuttavia, nel potere discrezionale del giudice di merito la scelta di utilizzare, concretamente, tale strumento processuale al fine di acclarare circostanze e fatti utili ai fini del decidere, di modo che il suo convincimento può essere fondato anche solo sulle dichiarazioni rese dal lavoratore in sede d’interrogatorio libero, ove le medesime, pur prive della forza propria della confessione, non siano contraddette da elementi probatori contrari (Cass. 19247/2007 e 12500/2003). Le circostanze emerse in questa sede sono liberamente utilizzabili dal giudice come elemento di convincimento, soprattutto se riguardino fatti che possono essere conosciuti solo dalle parti medesime, o non siano contraddette da elementi probatori contrari, e possono arrivare a costituire anche l’unica fonte di convincimento del Giudice (Cass. 8066/2009). Infine, l’interrogatorio non formale, se deve avere una qualche utilità e contribuire al sollecito e ragionevole svolgimento del giudizio, non può neppure consistere in un segmento processuale a disposizione della parte interrogata per la mera conferma di quanto già enunciato negli atti difensivi.

11. Il Giudice di merito si è attenuto a questi principi di diritto.

Preso atto delle dichiarazioni rese dal B. all’esito della costituzione tardiva in giudizio del T., che asseriva di aver pagato quanto dovuto, ha fondato su tale emergenza processuale l’esito del giudizio, non indugiando minimamente sulla contestazione del convenuto, ma piuttosto rimarcando la spontaneità della dichiarazione resa dal lavoratore.

12. Non si censura, pertanto, l’applicazione che la Corte di merito ha fatto degli adempimenti previsti dall’art. 420 c.p.c., comma 1, nè la parte si duole della violazione dell’art. 229 c.p.c., per aver la Corte territoriale considerato confessione giudiziale spontanea la dichiarazione del lavoratore, del relativo carattere confessorio ai fini della formazione del convincimento del Giudice (v. Cass. 17239/2010), nè dell’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito ritoltosi nella scelta di utilizzare concretamente tale strumento processuale al fine di acclarare circostanze e fatti utili ai fini del decidere, fondando il proprio convincimento sulle dichiarazioni rese dal lavoratore in sede d’interrogatorio libero, non contraddette da elementi probatori contrari (Cass. 8066/2009).

13. La circostanza emersa in sede di spontanea dichiarazione del lavoratore all’esito della costituzione in giudizio, iussu iudicis, del datore di lavoro, è stata liberamente utilizzata dal giudice come elemento di convincimento, riguardando fatti conoscibili solo dalle parti medesime, non contraddetti da elementi probatori contrari (Cass. 4685/2002).

14. Correttamente, pertanto, il Giudice di merito ha valorizzato la prima dichiarazione spontanea resa in udienza, consapevolmente, dal B., in data 28 giugno 2004, del tenore “non ho letto il documento che ho firmato ma mi è stato detto, al momento della firma, che con quella firma sarebbe stata chiusa ogni questione con S. T.”, onde le censure in ordine alla tardività dell’eccezione di transazione formulata dalla parte tardivamente costituitasi non è pertinente alla ratio decidendi ed è inammissibile per non aver già formato oggetto del thema decidendum nel giudizio di merito ove, invece, la parte attuale ricorrente ha censurato la sentenza gravata per profili inerenti alla necessaria forma scritta della transazione, per il valore confessorio attribuito alle dichiarazioni rese dalla parte medesima.

15. Quanto alle censure per vizi motivazionali, osserva il Collegio che il punto n. 5 dell’art. 360 c.p.c, consente il ricorso per cassazione per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. E’ evidente, ed è sottolineato dall’uso della disgiunzione, che una motivazione può essere viziata perche è stata omessa o perchè è contraddittoria. Ma non può, nello stesso tempo, mancare ed essere contraddittoria, come invece assume la ricorrente, con proposizione inammissibile.

16. In conclusione, la sentenza impugnata è ossequiosa dei principi sopra esposti con argomentazioni congrue e logicamente articolate.

17. Il ricorso è, pertanto, infondato e deve essere rigettato. Non avendo l’intimato svolto in questa sede alcuna attività difensiva, non si deve provvedere al regolamento delle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2011

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