Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13780 del 31/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 31/05/2017, (ud. 14/02/2017, dep.31/05/2017),  n. 13780

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10129-2012 proposto da:

STORIA DEL RESTAURO DI Z.G. DITTA INDIVIDUALE, (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo

studio dell’avvocato BARTOLO SPALLINA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURO CASTAGNETTI;

– ricorrenti –

contro

TRIVELLA SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GERMANICO 109, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA SEBASTIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ATTILIA FRACCHIA;

– controricorrenti incidentali –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 347/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 04/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2017 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo e per il rigetto degli altri motivi del ricorso principale e

per il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Su ricorso per decreto ingiuntivo della ditta individuale Storia del Restauro di Z.G., il Tribunale di Ferrara ingiunse a Trivella s.p.a. il pagamento dell’importo di Lire 103.497.100 oltre accessori quale residuo a saldo di fatture emesse per l’esecuzione di lavori di restauro edile subappaltati dall’intimata alla ricorrente, a sua volta affidataria delle opere di risanamento del (OMISSIS).

Trivella oppose il decreto lamentando che la subappaltatrice aveva eseguito i lavori solo in parte e con notevoli vizi e difformità, come più volte contestatole in corso d’opera, causando un ritardo nella consegna al committente e la necessità di interventi correttivi. Concluse pertanto per la revoca del decreto, la determinazione del minor corrispettivo dovuto alla ricorrente e la condanna di quest’ultima al risarcimento del danno.

Si costituì Storia del Restauro eccependo la decadenza dell’opponente dalla garanzia invocata, contestando ogni responsabilità e spiegando a sua volta riconvenzionale per ottenere il corrispettivo di ulteriori lavori effettuati.

Con sentenza del 28.10.2005 il Tribunale di Ferrara, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocò il decreto; accolse quindi per quanto di ragione le domande riconvenzionali di entrambe le parti ed operata la compensazione condannò la committente Trivella al pagamento di Euro 23.032,28 oltre IVA, interessi e rivalutazione dalla domanda al saldo, compensando le spese. La sentenza fu appellata da Trivella s.p.a.; si costituì Storia del Restauro proponendo appello incidentale.

La Corte d’Appello di Bologna, in parziale accoglimento dell’appello di Trivella s.p.a. e in parziale riforma della sentenza appellata, revocò il decreto ingiuntivo opposto e, previa detrazione degli acconti già versati da Trivella s.p.a., condannò la committente predetta al pagamento dell’importo di Euro 24.959,93 oltre iva e interessi legali dalla domanda al saldo per le prestazioni contrattuali rese dalla ditta Storia del Restauro; condannò Storia del Restauro a pagare a Trivella s.p.a. l’importo di Euro 22.425,38 oltre iva rivalutazione monetaria dal dì del fatto e interessi legali sulle somme via via rivalutate quale importo dovuto per l’eliminazione dei difetti accertati; compensò le spese del doppio grado per i 2/3, ponendo il residuo a carico di Storia del Restauro. Per quanto qui rileva, in particolare, la Corte distrettuale ritenne fondate le pretese risarcitorie di Trivella (subappaltatrice) in relazione ad alcuni danni non riconosciuti in primo grado; rideterminò poi, sulla scorta di una propria disamina dei dati istruttori, il residuo credito della subappaltatrice; confermò infine il rigetto dell’eccezione di decadenza dalla garanzia per vizi della subappaltante, ritenendo non necessaria la preventiva denunzia da parte del primo committente in forza dell’autonomia assunta dal rapporto di subcontratto.

La ditta individuale Storia del Restauro di Z.G. ha proposto ricorso affidato a due motivi ognuno dei quali articolato nella deduzione di violazione di norme di diritto e nella deduzione di vizio di motivazione e affidato ad un terzo motivo limitato al vizio di motivazione.

La società Novum Comum s.r.l., (tale per variazione della forma giuridica della Trivella S.p.A. come da visura camerale della CCIAA di Milano, prodotta) ha resistito con controricorso, ha proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi e ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente Storia del Restauro lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 329 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria sull’importo pecuniario liquidato in suo favore dal giudice d’appello.

La ricorrente rileva che la rivalutazione sul residuo credito per le prestazioni rese era stata riconosciuta dal tribunale in conformità ad una sua specifica richiesta e che tale capo della pronunzia non era stato fatto oggetto di gravame da parte della subappaltante, sicchè sul punto doveva ritenersi formato il giudicato. Lamenta, in ogni caso, l’assoluto difetto di motivazione della sentenza sul punto.

2. Il motivo deve essere accolto per le ragioni qui di seguito illustrate.

Il Giudice del primo grado aveva accolto la domanda di Storia del Restauro diretta ad ottenere il riconoscimento della rivalutazione del proprio credito contrattuale, così che la ditta Storia del Restauro non era tenuta ad alcun appello con riferimento alla disposta rivalutazione.

Peraltro l’appellante Trivella S.p.A. non ha proposto uno specifico motivo di appello sulla debenza della rivalutazione non essendo sufficiente, per escludere il formarsi del giudicato sul punto, l’argomento, addotto nel controricorso, secondo il quale era stata dedotta l’erroneità della sentenza di primo grado nel suo complesso.

Infatti, nel caso di sentenza di condanna al pagamento di un debito pecuniario con interessi e rivalutazione, qualora l’appello del soccombente, pur investendo la pronuncia nella sua interezza, contenga specifici motivi solo sulla sussistenza del debito e nessuno, neppure subordinato, sul resto, al giudice di appello è inibito il riesame delle statuizioni accessorie relative agli interessi ed alla rivalutazione monetaria, rispetto ai quali vi è stata acquiescenza dell’appellante per effetto della indicata delimitazione delle ragioni della impugnazione (Cass. 11/2/2000 n. 1502).

Nè è fondato l’ulteriore argomento difensivo della società controricorrente secondo il quale l’inammissibilità della domanda di rivalutazione si dovrebbe desumere da una ritenuta inammissibilità dell’ampliamento della domanda di Storia del restauro perchè ciò non risulta nè dal dispositivo della sentenza di appello, nè dalla motivazione perchè, al contrario, la Corte di appello ha preso in esame solo la domanda riconvenzionale di Storia del Restauro ritenendola ammissibile.

Ne consegue che si è formato il giudicato e il motivo deve essere accolto; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. questa Corte decidendo nel merito deve condannare la società Novum Comum s.r.l., (tale per variazione della forma giuridica della Trivella S.p.A.) a pagare a Storia del Restauro anche la rivalutazione monetaria, come stabilito dal Giudice del primo grado sull’importo di Euro 24.959,93.

Il dedotto vizio di motivazione (di cui al punto 1.2 del ricorso) è assorbito dalle già esplicitate ragioni di accoglimento del motivo di ricorso.

3. Con il secondo motivo la ditta ricorrente lamenta (al punto 2.1 del ricorso) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 e 1670 c.c. e art. 100 c.p.c., nonchè (al punto 1.2 del ricorso) il vizio di motivazione, in relazione al rigetto dell’eccezione di decadenza della controparte dalla garanzia per vizi dell’opera oggetto di subappalto.

Storia del Restauro richiama il disposto dell’art. 1670 c.c. nella parte in cui condiziona l’azione di regresso dell’appaltatore nei confronti dei subappaltatori alla ricezione della denunzia di vizi da parte del primo committente ed osserva che nella specie tale requisito sarebbe del tutto mancante; contesta che fosse qualificabile come denunzia la missiva ricevuta dalla controparte, missiva alla quale la Corte di appello ha ricondotto gli effetti propri della denunzia; rileva inoltre che i vizi denunciati dal direttore dei lavori alla Trivella con segnalazione immediatamente girata a Storia del Restauro (questa essendo una delle rationes decidendi della Corte di Appello) non si riferivano a tutti i vizi e difetti che erano stati accertati in relazione al suo appalto; aggiunge che l’art. 1670 c.c. consente all’appaltatore di rivalersi sul committente solo per quei vizi e difetti che siano oggetto di pregressa denuncia; aggiunge che in mancanza di denuncia del primo committente non vi sarebbe neppure interesse del subappaltatore da far valere i vizi.

Al punto 2.2 dello stesso motivo la ricorrente lamenta il vizio di motivazione assumendo che nessuna denuncia di vizi era rinvenibile nella segnalazione del 25/2/2000 del direttore dei lavori ing. B. che, a dire della ricorrente, si sarebbe limitato a fare il punto sulla situazione dei lavori in corso d’opera e non si sarebbe riferito a vizi, ma a lavorazioni da ultimare.

4. Il motivo si basa sull’assunto per il quale ai sensi dell’art. 1667 c.c. il committente decade dall’azione di regresso nei confronti dell’appaltatore se non gli denuncia i vizi entro sessanta giorni dalla ricezione della denuncia e sull’assunto per il quale, ai sensi dell’art. 1670 c.c., l’appaltatore per agire in regresso nei confronti del subappaltatore deve, a pena di decadenza, comunicargli la denunzia entro sessanta giorni dal ricevimento della stessa, altrimenti difettando di interesse ad agire.

La tesi della ditta individuale Storia del Restauro di Z.G. non attinge la motivazione della Corte di appello la quale ha rilevato (v. pag. 15 della sentenza), quanto alla dedotta decadenza dell’azione di garanzia che “Storia del Restauro si è limitata a richiamare l’eccezione sollevata in primo grado, ma disattesa alla luce della segnalazione fatta in corso d’opera (25/2/2000) dal direttore dei lavori (ing. B.) all’appaltatrice Trivella e da questa immediatamente comunicata (e inviata in copia) a Storia del Restauro”.

La Corte di appello ha ulteriormente motivato osservando che la denuncia fu meglio articolata con missive del 30/3 e 21/4/2000 con rilievi che sicuramente riguardavano quanto meno in parte anche gli interventi oggetto del contratto di subappalto, relativi al trattamento degli intonaci e al restauro dell’arenaria.

La ricorrente, quanto ai documenti valutati nei due gradi di merito non trascrive, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, alcuna deduzione formulata in appello.

Infine la Corte di appello affrontando ex professo la tesi del difetto di interesse dell’appaltatore ad agire in responsabilità contro il subappaltatore, ha rilevato (pag. 16 della sentenza di appello), con motivazione decisiva e non censurata, che l’eccezione è “chiaramente smentita dai riferimenti documentali appena citati”. Tutte le censure relative all’idoneità della segnalazione del 25/2/2000 del direttore dei lavori ing. B. ad integrare denuncia dei vizi, come accertati in causa, costituiscono questioni di merito che riguardano la complessiva valutazione del materiale documentale esaminato dalla Corte di appello, comprensivo delle missive del 30/3 e 21/4/2000 (neppure considerate nel ricorso) che dovevano essere esplicitate in sede di appello e che comunque sono inammissibili in questa sede di legittimità.

Pertanto anche il secondo motivo di ricorso deve essere rigettato.

5. Con il terzo motivo la ditta ricorrente lamenta il vizio di motivazione con riferimento al contenuto del contratto di appalto. Assume che la prestazione consistita nel trattamento salino non era ricompresa nel contratto subappalto, ma solo nel contratto di appalto intercorso con ” Z. s.p.a.”(ovviamente si tratta di un mero errore materiale, dovendosi intendere Trivella S.p.A.) e che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il contratto di subappalto contemplasse anche il “trattamento salino”, previsto nel contratto di appalto, ma non in quello di subappalto.

6. Il motivo è infondato.

La Corte di Appello ha dato conto che nel contratto di subappalto non era previsto il trattamento salino, ma non ha fatto derivare la responsabilità del subappaltatore ( Z.) dalla previsione di tale trattamento, nel contratto di subappalto, nè dall’automatico trasferimento, nel contratto di subappalto, delle prestazioni richieste nel contratto di appalto (come infondatamente sostiene il ricorrente), ma dal degrado dell’opera subappaltata, come accertato dal CTU (v. pag. 16 della sentenza di appello) e dalla responsabilità dell’appaltatore (nella specie il subappaltatore) che deve eseguire l’opera secondo i criteri di normale diligenza, denunziare eventuali carenze progettuali, astenersi dall’esecuzione dell’opera quando risulta palese l’eventualità del danno.

Questi principi sono stati richiamati dalla Corte di Appello che ha fatto riferimento alla costante giurisprudenza di questa Corte e la motivazione, neppure censurata sotto questi profili, è immune da vizi logici e giuridici.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale Trivella S.p.A. (ora Novum Comum s.r.l.) lamenta la violazione art. 183 c.p.c., n. 4, e la violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. anche in relazione agli art. 2 e 111 Cost. con riferimento al divieto (che assume violato) per l’intimante di ampliare le domande nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nel quale assume la qualità sostanziale di attore.

8. Il motivo è infondato per le seguenti ragioni.

Le reciproche domande delle parti, sin dall’introduzione della causa di opposizione a decreto ingiuntivo (revocato dal giudice di appello e quindi privo di efficacia, con conseguente insussistenza della lamentata duplicazione), scaturivano dall’identico contratto di appalto (precisamente dal contratto di subappalto) e trovavano il loro fondamento, quanto alle pretese della ditta storia del Restauro in lavori eseguiti in più perchè non previsti in contratto o eseguiti in misura maggiore (v. pag. 10 della sentenza di appello). La Corte di appello ha correttamente rilevato che Trivella, con l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, eccependo l’inadempimento contrattuale della ditta opposta, l’esecuzione solo in parte e non a regola d’arte dei lavori appaltati e proponendo domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni ha di fatto ampliato la materia del contendere oltre i limiti del provvedimento monitorio che riguardava il pagamento di alcune fatture soltanto (pagg. 9 e 10 della sentenza di appello).

Pertanto la regola dell’inammissibilità della domanda riconvenzionale restava derogata (in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, richiamata nella sentenza di appello e recentemente confermata anche da Cass. 30/3/2016 n. 6155) posto che una diversa soluzione significherebbe violare il diritto di difesa del convenuto nel giudizio di opposizione che, difendendosi dalla riconvenzionale dell’opponente (secondo quanto risulta dalla sentenza di appello, l’opponente domandava in via riconvenzionale danni per Lire 50.000.000) fa valere, come nella specie, crediti nascenti dallo stesso rapporto e che, se dovessero essere fatti valere, per l’eccedenza rispetto a quanto necessario per la compensazione, con un separato giudizio, provocherebbero una irrazionale oltre che inutile moltiplicazione del contenzioso, considerazione, quest’ultima, che destituisce di qualsivoglia fondamento l’ulteriore argomento della ricorrente secondo il quale si sarebbe verificato un frazionamento delle domande contrario ai principi di correttezza e buona fede, non verificandosi, nella specie, alcun abuso dello strumento processuale.

Le ulteriori considerazioni della ricorrente incidentale relative ad una pretesa erroneità dei conteggi della Corte (conteggi peraltro fondati sulle risultanze della CTU) costituiscono questioni di merito non sindacabili in questa sede di legittimità.

9. Con il secondo motivo del ricorso incidentale la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 (per extrapetizione) e art. 115 c.p.c., comma 2, in relazione al principio di non contestazione), art. 1362 c.c. in quanto non le è stato riconosciuto il pagamento del compenso, dovuto per contratto, di Lire 18.000.000 (pari a Euro 9.296,22) per la restauratrice O.C., pur previsto contrattualmente, non contestato da controparte e anzi riconosciuto dallo Z. che, nella comparsa di costituzione in appello, secondo quanto riferisce la ricorrente incidentale, avrebbe affermato che dal proprio credito andava dedotta proprio quella somma; aggiunge che è incongrua la motivazione della Corte di appello sulla necessità della fattura, posto che la O. era lavoratrice subordinata, come risulta da deposizione testimoniale incorporata nel ricorso.

10. La Corte di appello non ha fatto riferimento solo alla fattura, ma anche alla richiesta di pagamento o altro documento giustificativo del compenso, così che non ha negato il credito, limitandosi ad affermare che “non vi sono i presupposti per tenere conto del contributo di partecipazione pur previsto in contratto” e, dunque, non ha disconosciuto il credito, ma lo ha considerato un credito esigibile solo a documentazione del compenso; ne discende nella frase “non vi sono i presupposti per tenere conto del contributo di partecipazione pur previsto in contratto” non è ravvisabile il vizio di ultrapetizione, nè la violazione del principio di non contestazione.

Le argomentazioni della ricorrente incidentale secondo le quali la fattura non potrebbe essere emessa dal lavoratore dipendente non attingono la ratio decidendi per la quale la Corte di Appello ha semplicemente ritenuto inesigibile il contributo dovuto finchè non fosse documentata, in qualsiasi modo, la corresponsione del compenso erogato per la specifica prestazione resa dalla restauratrice Cinzia O..

Pertanto il motivo deve essere rigettato.

11. Con il terzo motivo del ricorso incidentale Trivella S.p.A. lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione al riparto dell’onere della prova e la violazione dell’art. 24 Cost.

La ricorrente si duole del mancato riconoscimento del danno costituito dal mancato incasso, da parte del suo committente, della trattenuta a garanzia del 10% e assume che la Corte di appello, ritenendo non provato tale danno, l’avrebbe onerata di una prova negativa, tale da rendere impossibile o difficile la prova in giudizio.

12. Il motivo è infondato e deve essere rigettato per le seguenti ragioni.

La Corte di Appello, nel motivare sul punto, ha richiamato integralmente la sentenza di primo grado laddove si rilevava che “l’unica voce di mancato guadagno potrebbe essere quella relativa alla somma trattenuta a garanzia, ma sarebbe necessario provare non solo il costo di un effettivo ricorso al credito, ma anche la riconducibilità dello stesso all’inadempimento della sola Storia del Restauro e non all’operato di altre imprese che pure lavoravano nel cantiere”; pertanto la motivazione della sentenza del Giudice del primo grado, richiamata e confermata in appello faceva riferimento anche alla mancata prova del nesso causale tra danno e inadempimento.

La Corte di appello ha ulteriormente precisato che l’ammontare complessivo dell’opera appaltata dal committente Santuario di San Luca alla società Trivella era di gran lunga superiore ai lavori da questa appaltati alla Storia del restauro.

Infine, la Corte di Appello ha rilevato l’assenza di riscontri circa l’effettiva applicazione di penali per il ritardo o l’esistenza di altre voci di danno.

Conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 3/12/2015 n. 24632, a proposito del danno da mancato guadagno) si deve affermare che nella responsabilità contrattuale si applica il principio della presunzione della colpa della parte inadempiente, ma ciò non esonera l’altra parte dall’onere di dimostrare il danno e il nesso causale tra l’inadempimento e il danno, posto che ai sensi dell’art. 1223 c.c. il risarcimento del danno in tanto è dovuto in quanto sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Nella fattispecie la Corte di Appello ha rilevato che mancava sia la prova del danno (così implicitamente escludendo che si trattasse di un danno in re ipsa) che la prova del nesso causale tra l’inadempimento e il danno, con ciò conformandosi alla giurisprudenza di questa Corte.

13. In conclusione deve essere accolto il primo motivo del ricorso principale della ditta individuale Storia del restauro di Z.G., con decisione della causa nel merito nei termini di cui al precedente punto 2 delle ragioni della decisione; devono essere rigettati gli ulteriori motivi del ricorso principale e deve essere rigettato il ricorso incidentale della società Novum Comum s.r.l., (tale per variazione della forma giuridica di Trivella S.p.A.).

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione e limitatamente al motivo accolto, ferme restando le sue ulteriori statuizioni anche con riferimento alle spese del doppio grado.

Le spese di questo giudizio di cassazione, stante la reciproca soccombenza, ancorchè parziale per quanto riguarda il ricorso principale della ditta Storia del Restauro, devono essere compensate.

PQM

 

Accoglie il primo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri motivi dello stesso ricorso; rigetta il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione e limitatamente al motivo accolto e, decidendo nel merito condanna la società Novum Comum s.r.l. (già Trivella S.p.A.) a pagare a Z.G., quale titolare della ditta individuale Storia del Restauro la rivalutazione monetaria sull’importo di Euro 24.959,93, come stabilito dal Giudice del primo grado.

Dispone che le spese del giudizio di merito siano regolate come stabilito nella sentenza di appello impugnata.

Compensa le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte di Cassazione, il 14 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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