Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13779 del 31/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 31/05/2017, (ud. 10/02/2017, dep.31/05/2017),  n. 13779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al n.r.g. 2482/13) proposto da:

– M.O., (c.f.: (OMISSIS)); rappresentato e difeso, sia in via

congiunta che disgiunta, giusta procura speciale in calce al

ricorso, dagli avv.ti Vincenzo Trapanese ed Antonio Davì, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanni Arcieri in

Roma, Lungotevere Flaminio n. 66;

– ricorrente –

contro

– MI.Se., (c.f.: (OMISSIS)); rappresentato e difeso, in

forza di procura speciale a margine del controricorso, in via sia

congiunta che disgiunta, dagli avv.ti Ettore, Umberto e Matilde Di

Giovanni nonchè dall’avv. Itala Mannias, con domicilio eletto

presso lo studio di quest’ultima (studio Di Giovanni-Mannias) in

Roma, viale Delle Medaglie D’Oro n. 169;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

nonchè nei confronti di:

M.F.;

– Parte intimata –

avverso la sentenza n. 1409/2011 della Corte di Appello di Catania

del 26 ottobre-10 novembre 2011;

Udita la relazione di causa, svolta alla pubblica udienza del 10

febbraio 2017, da parte del Consigliere dr. Bruno Bianchini;

Udito l’avv. Umberto Di Giovanni per la parte controricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e l’assorbimento di quello incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 135/04 del 7/6/2004, il Tribunale di Siracusa (sez. dist. di Augusta), sulla domanda proposta da M.S. (nella qualità di promittente venditore) con citazione del 30/1/2002 contro M.O., dichiarava legittimo il recesso operato dall’attore dal preliminare inter partes del 21/4/1990 (non essendo il promissario acquirente comparso dinanzi al notaio per la stipula dell’atto pubblico), dichiarando il suo diritto a trattenere la caparra confirmatoria, ordinando al convenuto di rilasciare l’immobile di cui al contratto e condannando il M. a pagare la somma di Euro 17.315 a titolo di frutti da restituire per la illegittima occupazione dell’immobile dal 30/1/2002 alla sentenza.

Proponeva appello il M. con atto notificato il 23/7/2004, chiedendone la riforma.

Nel corso del giudizio di secondo grado, interveniva ex art. 344 c.p.c. M.F., quale promissaria acquirente, a sua volta, da M.O. dello stesso immobile, sulla base di un contratto preliminare stipulato nel 1991, in esecuzione del quale ne aveva conseguito il possesso immediato. La causa, interrotta per il fallimento del M., veniva tempestivamente riassunta.

La Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 1409/2011 del 10.11.2011, ha dichiarato inammissibile l’intervento di M.F. e, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, ha annullato la statuizione di rigetto della domanda riconvenzionale di M.O., sulla base, per quanto nella presente sede ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

a) l’intervento operato in appello ex art. 344 c.p.c. da M.F. era da considerare inammissibile, non ricorrendone il presupposto costituito dall’avere l’interveniente titolo, ove M.O. fosse risultato definitivamente soccombente, a proporre opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., non essendo la medesima titolare di un diritto autonomo rispetto a quello conteso nell’odierno giudizio tra i suoi originari contraddittori;

b) dal contratto preliminare datato 21.4.1990 si evinceva nitidamente che oggetto della promessa di vendita fosse soltanto la p.lla n. (OMISSIS), e non anche, come sostenuto dall’appellante, la p.lla n. (OMISSIS);

c) per quanto il riferimento operato dall’attore alla richiesta di “ritenere risolto” il preliminare potesse risultare equivoco, dal tenore dell’intera narrativa dell’atto di citazione si desumeva chiaramente la volontà del Mi. di conseguire una declaratoria di legittimità dell’operato recesso con ritenzione della caparra, sia pure con la richiesta aggiuntiva di restituzione dell’immobile e dei relativi frutti. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.O., sulla base di due motivi. M.S. ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato basato su un unico motivo, illustrato altresì da memoria. M.F. non ha, invece, svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1- Questioni pregiudiziali di rito.

Deve affermarsi l’ammissibilità del ricorso pur se esso non appare esser stato notificato presso il domicilio eletto del Mi. – non evincibile dalla sentenza di appello ed indicato dal contro ricorrente in Catania, alla via V. Giuffrida n. 37, presso l’avv. Andrea Scuderi, giusta procura a margine della comparsa di nuovo difensore del 3 giugno 2011 – ma presso lo studio dell’avv. Vincenzo Farina l’8 gennaio 2013: invero va data applicazione del principio della sanatoria della invalidità della notifica per raggiungimento dello scopo (vedi Cass. Sez. Lav., sentenza n. 6006 del 25 marzo 2016; Cass Sez. 3 n. 3395 del 29 maggio 2013), atteso che il Mi. si è ritualmente costituito, svolgendo compiutamente le proprie difese.

In secondo luogo, il resistente sostiene che il giudice d’appello avrebbe dovuto dichiarare il giudizio estinto (con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) a seguito della mancata sua riassunzione, necessaria in conseguenza della declaratoria di interruzione pronunciata per il fallimento di M.O., nonostante successivamente lo stesso giudice avesse revocato la relativa ordinanza (di interruzione) non ricorrendone i presupposti di legge e non potendosi ritenere all’uopo sufficiente la riassunzione operata da M.F., essendo poi l’intervento volontario di quest’ultima stato ritenuto inammissibile.

L’eccezione è infondata in quanto, non avendo l’allora parte appellata eccepito l’intervenuta estinzione del processo e non avendola, comunque, la Corte territoriale pronunciata, quest’ultima poteva, ai sensi dell’art. 177 c.p.c., revocare l’ordinanza con la quale aveva in precedenza dichiarato interrotto il giudizio (peraltro, tempestivamente riassunto da M.F., il cui intervento fino ad allora non era stato reputato inammissibile).

2 – ricorso principale.

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per aver la Corte d’appello ritenuto che egli fosse gravemente inadempiente, non essendo comparso dinanzi al notaio, senza accertare se gli inviti del 3 e del 10 settembre 1990 fossero stati da lui ricevuti e se potesse essere attribuita valenza di valido atto di recesso ad una dichiarazione contenuta in un documento di cui non vi sarebbe stata la prova che fosse stato a lui notificato e non avendo indicato le ragioni che l’avevano indotta a ritenere che la sua mancata presentazione dal notaio costituisse grave inadempimento.

1.1 Il motivo è inammissibile in quanto, da un lato, non evidenzia un’erronea perimetrazione dei confini applicativi della ripartizione dell’onere della prova od una non corretta applicazione del principio della disponibilità delle prove, dall’altro non riconduce il ragionamento adottato dalla Corte del merito ad uno dei vizi di motivazione indicati nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione anteriore alla riforma introdotta con D.L. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 – limitandosi a suggerire divergenti possibilità interpretative delle emergenze istruttorie, coerentemente giustificate con le argomentazioni poste a base della gravata decisione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè la omessa, carente ed insufficiente motivazione, per aver la Corte locale dichiarato il diritto dell’attore a trattenere la caparra nonostante mancasse una specifica domanda in tal senso- ed aver accolto la richiesta di restituzione dei frutti a decorrere dalla data di stipula del preliminare (e per un importo di molto superiore a quello della caparra).

2.1. Il motivo è inammissibile quanto al vizio di motivazione, mancando qualunque svolgimento argomentativo che consenta di ricondurre la non condivisione dei risultati interpretativi della Corte distrettuale ad uno dei profili indicati nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; il mezzo è infondato quanto al resto in quanto la Corte locale ha chiaramente affermato (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata) che la richiesta di trattenere la caparra confirmatoria ricevuta doveva ritenersi inclusa nell’espresso richiamo all’art. 1385 c.c., comma 2 ed alle conseguenze derivanti dall’inadempimento di controparte (vale a dire, al diritto di recedere dal contratto, ritenendo la caparra), così operando una ragionevole interpretazione della domanda, non censurabile in questa sede -.

2.2 – Quanto poi specificamente alla – peraltro solo accennata (vedi fol 9 del ricorso)- incompatibilità dell’attribuzione della caparra confirmatoria alla parte non inadempiente assieme al riconoscimento alla medesima del diritto di percepire i frutti civili derivanti dal possesso del bene oggetto di preliminare, la mancata riproduzione del testo di tale contratto non permette alcun riscontro argomentativo, non senza omettere di considerare che il vizio che qui si esamina è quello di ultrapetizione in relazione alla restituzione della caparra e non già di erronea interpretazione della norma di riferimento (art. 1385 c.c.) al fine di far accertare la non inclusione nella somma pattuita come caparra anche del mancato guadagno derivante dalla perdita dei frutti civili (più in generale, sulla compatibilità della caparra confirmatoria con altri profili di danno vedi Cass. Sez. 2, sentenza n. 9367 dell’8 giugno 2012).

3 – ricorso incidentale.

3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato M.S. si duole della nullità della sentenza per violazione ed omessa applicazione e/o errata interpretazione dell’art. 305 c.p.c., nonchè della omessa, insufficiente, contraddittoria e, comunque, carente motivazione su un fatto decisivo e controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5), per non aver la corte di merito dichiarato estinto il giudizio di appello a seguito della riassunzione dello stesso, in precedenza/dichiarato interrotto, ad opera di una parte ( M.F.) dichiarata poi carente di legittimazione ad intervenire.

Il motivo resta assorbito nel rigetto del ricorso principale.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza che è identificabile nel rigetto delle pretese del ricorrente principale, stante la natura meramente condizionata del ricorso incidentale; esse si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale condizionato e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4000, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

La motivazione della presente sentenza è stata estesa con la collaborazione dell’Assistente di Studio Dott. P.A..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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