Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13777 del 23/06/2011

Cassazione civile sez. II, 23/06/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 23/06/2011), n.13777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.E. (OMISSIS), selettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE MAZZINI 146, presso lo studio dell’avvocato SPAZIANI

TESTA EZIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FUMAGALLI ARTURO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.E.A. (OMISSIS), P.G.

(OMISSIS), quale unica erede del padre P.D.,

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PISANELLI

2, presso lo studio dell’avvocato DI MEO STEFANO, rappresentati e

difesi dall’avvocato BOFFELLI DANILO, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

B.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 536/2008 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA del

27/02/08, depositata il 22/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/02/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI che nulla

osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Nel 2002 il tribunale di Bergamo rigettava le domande proposte dagli attori B.E. e C. e dichiarava il cortile facente parte del mappale n.360 NCT comune di Treviolo di proprietà dei medesimi e dei convenuti P.D. e R.E.A..

L’appello proposto da B.E. ( S.C. restava contumace nonostante l’integrazione del contraddittorio disposta nei suoi confronti) è stato respinto dalla Corte d’appello di Brescia il 22 maggio 2008.

L’appellante ha proposto ricorso per cassazione notificato il 28 gennaio 2009, al quale hanno resistito P.G. (dichiaratasi unica erede di P.D. e della di lui moglie M.A., entrambi deceduti nelle more del giudizio di appello) e R.E.A..

I resistenti hanno rilevato l’inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1 e art. 366 bis c.p.c..

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Il ricorso, soggetto ratione temporis alla disciplina novellatrice di cui al D.Lgs n. 40/2006, appare inammissibile.

L’unica censura espone violazione e falsa applicazione dell’art. 922 c.c., artt. 1376 e 1470 c.c. “e norme connesse”.

Apoditticamente il motivo allude a “metodi vagamente presuntivi” che sarebbero stati utilizzati dal giudice d’appello. Deduce che la sentenza impugnata non avrebbe ricercato i titoli di acquisto a favore delle controparti, ignorando risultanze favorevoli alla controparte.

Tale carente esposizione delle ragioni di fatto e di diritto del ricorso è palesemente formulata in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, perchè non riporta testualmente i passaggi salienti delle risultanze documentali invocate. Inoltre risulta negletto l’onere di individuare i passaggi essenziali della sentenza sottoposta a critica. Va ricordato che in materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass 21659/05; 828/07).

il ricorso espone il seguente quesito di diritto: “Può il giudice decidendo un processo civile avente ad oggetto la rivendica della proprietà esclusiva, da parte dell’attore, di un bene immobile in base al suo titolo di acquisto, dichiarare comproprietari i convenuti senza esaminare quali titoli di acquisto di tale comproprietà sussistessero per gli stessi, enunciando invece solo deduzioni soggettive in seno alle quali non si può ricavare l’acquisizione per titolo della proprietà di quote immobiliari?”.

Trattasi di quesito che è, con ogni evidenza, come ha rilevato la relazione preliminare, inidoneo a condurre alla soluzione della controversia in favore dell’istante e quindi inidoneo allo scopo.

Esso infatti prescinde da specifici e puntuali riferimenti alla fattispecie, così venendo meno al dovere di concretezza (SU 18759/08); assume apoditticamente, senza esporre la censura alla motivazione indispensabile allo scopo, che la sentenza si fondi su deduzioni soggettive, senza peraltro indicarle; non individua nè censura la vera ratio decidendi della decisione, da cui direttamente discende il primo dictum della sentenza – cioè il rigetto della domanda di accertamento della proprietà esclusiva -e solo indirettamente la conseguenza del riconoscimento della comproprietà altrui, apparentemente oggetto del quesito. Per dimostrare ciò è sufficiente richiamare la lettura di pag. 24 e 25 della puntuale e articolata sentenza della Corte territoriale, la quale ha evidenziato che la “reclamata proprietà esclusiva risulta contraddetta e smentita” proprio dall’atto di acquisto del ’59 invocate dai ricorrenti e dal successivo atto di compravendita del 1973 n. 26990 rep. che hanno consentito di “ricostruire nel rapporto – B./ S. e S./ B. – la sequenza dei trasferimenti della comproprietà del cortile, oggetto di causa, dall’iniziale e accertato concorso di partecipanti alla comunione dello stesso”.

Queste considerazioni della relazione comunicata ex art. 380 bis c.p.c., sono idonee ad evidenziare ulteriori raqioni di inammissibilità dell’impugnazione.

Discende da quanto esposto l’inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di Lite, liquidate in dispositivo in favore degli intimati costituiti, in solido tra loro.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese (il lite liquidate in Euro 3000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge in favore degli intimati costituiti, in solido tra loro.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile tenuta, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2011

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