Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13774 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 20/05/2021), n.13774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28301-2019 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE BRUNO

BUOZZI 82, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA IANNOTTA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GREGORIO IANNOTTA;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI SAN VINCENZO LA COSTA SOC.COOP.R.L.

IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del liquidatore

pro tempore, BANCA PER LO SVILUPPO DELLA COOPERAZIOENE DI CREDITO

SPA, in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente

domiciliate in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato MASSIMO CUNDARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 136/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Catanzaro dichiarava inammissibile l’appello proposto da M.G. avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibili, perchè ritenute attratte nella competenza del giudice fallimentare, le domande proposte dal predetto nei confronti della Banca di Credito Cooperativo di San Vincenzo La Costa in L.c.a. e della Banca Sviluppo Cooperazione di Credito s.p.a., volte ad ottenere l’accertamento della natura subordinata del rapporto formalmente intrattenuto in virtù di borse di studio per l’addestramento, con conseguente declaratoria di inefficacia del licenziamento intimato oralmente e reintegra nel posto di lavoro;

a fondamento della decisione la Corte rilevava che l’impugnazione era tardiva perchè la sentenza del Tribunale era stata depositata il 4/2/2016, sicchè il ricorso in appello, depositato il 5/8/2016, risultava proposto oltre il termine di sei mesi previsto dall’art. 327 c.p.c., nella formulazione della L. n. 69 del 2009, applicabile nella fattispecie, essendo stato il giudizio di primo grado proposto nell’anno 2013;

rilevava, inoltre, la Corte territoriale che alcun rilievo assumeva la circostanza che per errore il ricorso in appello fosse stato inoltrato telematicamente il 4/4/2016 al Tribunale di Cosenza invece che alla Corte d’appello, non ravvisandosi una causa non imputabile di rimessione in termini, peraltro neanche formalmente richiesta;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione M.G. sulla base di due motivi, illustrati con memoria;

resistono le convenute con controricorso;

la proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata è stata notificata alla controparte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., dell’art. 24Cost., dell’art. 6CEDU, e dell’art. 116 c.p.c., in relazione alla mancata valutazione delle prove, degli artt. 24 e 111 Cost., e insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, osservando che, contrariamente a quanto asserito nella sentenza impugnata, a seguito della formulazione dell’eccezione di inammissibilità, il difensore, in udienza, aveva avanzato espressa richiesta di rimessione in termini e chiesto, in subordine, che fosse valutata la sussistenza di errore scusabile;

il motivo di ricorso è inammissibile poichè, a fronte del rilievo contenuto nella sentenza circa l’assenza di richiesta di rimessione in termini, il ricorrente non allega gli atti o i verbali nei quali l’istanza sarebbe stata formulata, nè riproduce il tenore della medesima in ossequio al canone di autosufficienza, sì da poterne vagliare la tempestività e immediatezza;

va ricordato, inoltre, che, con riferimento alla tempestività dell’istanza di rimessione in termini concernente lo specifico caso dell’impugnazione, questa Corte (Cass. n. 19290 del 29/09/2016) ha avuto modo di rilevare che ” L’appellante che si sia limitato a resistere all’eccezione di tardività dell’impugnazione sollevata “ex adverso”, ma non abbia formalmente e tempestivamente richiesto, con l’atto di gravame, di essere rimesso in termini, non può dolersi, della declaratorio di inammisibilità dell’appello deducendo, con il ricorso per cassazione, la violazione della disciplina della rimessione in termini, poichè quest’ultima, tanto nella versione prevista dall’art. 184-bis c.p.c., quanto in quella di cui al novellato art. 153 c.p.c., comma 2, presuppone la tempestività dell’iniziativa della parte, da intendere come immediatezza della reazione al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa”, mentre nel caso in esame è pacifico che l’istanza non sia stata formulata con l’atto d’impugnazione;

per altro verso, il ricorrente neppure indica le vicende dell’appello (esito della notifica, avvenuto deposito) che assume di aver erroneamente notificato il 4/4/2016 al Tribunale piuttosto che alla competente Corte d’appello, così non consentendo di poter valutare nella specie dell’istituto della translatio iudicii (Cass. n. 18121 del 14/09/2016);

con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 115 del 2002, art. 130, in relazione alla mancata revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello stato e della condanna alle spese, nonchè violazione dell’art. 3 Cost., e dell’art. 24 Cost., comma 3, lamentandosi della avvenuta liquidazione delle spese nei suoi confronti nonostante l’ammissione al gratuito patrocinio;

il motivo è infondato in base al principio enunciato da Cass. n. 10053 del 19/06/2012 “Il patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 74, comma 2, non vale ad addossare allo Stato anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare all’altra parte, risultata vittoriosa, perchè “gli onorari e le spese” di cui al citato D.P.R., art. 131, sono solo quelli dovuti al difensore della parte assistita dal beneficio, che lo Stato si impegna ad anticipare”;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va complessivamente rigettato e le spese sono liquidate secondo soccombenza;

in considerazione della statuizione, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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