Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13773 del 31/05/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 13773 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Del Vaglia Enricocesare, elettivamente domiciliato
in Roma Via Bruno Buozzi 77, presso lo studio
dell’Avv.to Mario Manca, che lo rappresenta e
difende, unitamente all’Avv.to Francesco Maria
Costa Angeli, in forza di procura speciale a
margine del ricorso
– ricorrente contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona
del Ministro p.t., ed Agenzia delle Entrate, in
persona del Direttore p.t., domiciliati in Roma Via
dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale
dello Stato che li rappresenta e difende ex lege
– resistenti –

avverso la sentenza n. 79/27/2006 della Commissione
Tributaria regionale della Lombardia, depositata il
2/10/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza dell’8/5/2013 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Ennio Attilio Sepe, che ha concluso

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Data pubblicazione: 31/05/2013

per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
sentenza

Con

n.

79/27/2006

del

14/07/2006,

depositata in data 2/10/2006, la Commissione
Tributaria Regionale della Lombardia, Sez. 27,
respingeva, con compensazione delle spese di lite,
l’appello proposto, in data 27/09/2005, da Del
Vaglia Enricocesare, avverso la decisione n.

Provinciale di Milano, che aveva solo parzialmente
accolto il ricorso del contribuente contro un
avviso di accertamento, notificato nel novembre
2003, relativo a maggiori imposte IRPEF, IRAP e
contributi INPS dovuti per l’anno 1998, a seguito
di rettifica del reddito d’imposta dichiarato e
della rideterminazione di maggiori ricavi.
La C.T.P. accoglieva parzialmente il ricorso,
determinano i maggiori ricavi in £ 36.384.000.
La Commissione Tributaria Regionale respingeva il
gravame del contribuente, in quanto riteneva
pienamente

legittima

l’applicazione

all’accertamento dei parametri, di cui agli artt.3
e

81

1.549/1995

e

DPCM

29/01/1996,

all’approvazione degli studi di settore,

fino
con

conseguente operatività di una presunzione legale
relativa, superabile ad opera del contribuente con
adeguata prova contraria, e che, nella specie,
“nessuna prova idonea”
contribuente per

era stata fornita dal

“inficiare la ricostruzione del

ricavi sulla base del criteri parametrici” .
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per
cassazione il Del Vaglia, deducendo tre motivi, per
violazione e/o falsa applicazione di norme di
diritto, ai sensi dell’art.360 n. 3 c.p.c. (Motivo
1, in relazione all’art.39 DPR 600/1973, essendo

2

267/47/2004 della Commissione Tributaria

stato effettuato un accertamento induttivo in
difetto dei requisiti di legge, quali la mancanza,
l’inesattezza o l’inattendibilità delle scritture
contabili, ai sensi dell’art.39 comma 2 ° , o
l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli
elementi indicati nella dichiarazione e nei

lett. d) DPR 600/1973; Motivo 2, in relazione agli
artt. 3 1.549/1995, 39 comma 1 0 , lett.d) DPR
600/1973 e 3 comma 181 0 1.549/1995, non potendo
attribuirsi ai parametri valenza di presunzione
grave, precisa e concordante, dovendo essi sempre
accompagnarsi ad ulteriori elementi di riscontro, e
non potendo pertanto procedersi ad accertamento
induttivo, ex art.39 comma l lett.d),
esclusivamente basandosi su detti coefficienti
parametrici), e per omessa motivazione, ai sensi
dell’art.360 n. 5 c.p.c.(Motivo 3, avendo i giudici
tributari disatteso completamente le avverse
risultanze contabili relative all’attività svolta
dal contribuente, precisamente la lettera
d’incarico quale subagente assicurativo, in regime
di contabilità semplificata, in Agenzia facente
capo a primaria Compagnia di Assicurazione, il
libro dei cespiti ammortizzabili, nonché la
particolare condizione di pensionato, che godeva di
redditi aggiuntivi, da pensione e da fabbricato, e
solo saltuariamente si dedicava all’attività di
lavoro autonomo).
Non ha resistito l’Agenzia delle Entrate con
controricorso, costituendosi (unitamente al
Ministero dell’Economia e delle Finanze) ai soli
fini della partecipazione all’udienza pubblica di
discussione.
Motivi della decisione

3

relativi allegati, ai sensi dell’art.39, comma 10 ,

Il ricorrente lamenta con i primi due motivi, una
errata interpretazione delle disposizioni normative
relative all’accertamento induttivo del reddito, ai
fini IRPEF ed IRAP, mentre con il terzo motivo
denuncia vizio motivazionale della decisione
impugnata.
Il terzo motivo, assorbente rispetto agli altri,
fondato.

accertamento tributario standardizzato mediante
l’applicazione dei parametri o degli studi di
settore costituisce un sistema di presunzioni
semplici, la cui gravità, precisione e concordanza
non è “ex lege” determinata dallo scostamento del
reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé
considerati – meri strumenti di ricostruzione per
elaborazione statistica della normale redditività ma nasce solo in esito al contraddittorio da
attivare obbligatoriamente, pena la nullità
dell’accertamento, con il contribuente.
In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare,
senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto,
la sussistenza di condizioni che giustificano
l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti
cui possono essere applicati gli “standards” o la
specifica realtà dell’attività economica nel
periodo di tempo in esame, mentre la motivazione
dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel
rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata
con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto
dello “standard” prescelto e con le ragioni per le
quali sono state disattese le contestazioni
sollevate dal contribuente.
L’esito
condiziona

del

contraddittorio,
l’impugnabilità

4

tuttavia,

non

dell’accertamento,

Questa Corte ha chiarito che la procedura di

potendo il giudice tributario liberamente valutare
tanto l’applicabilità degli “standards” al caso
concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore,
quanto la controprova offerta dal contribuente che,
al riguardo, non è vincolato alle eccezioni
sollevate nella fase del procedimento
amministrativo e dispone della più ampia facoltà,
incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se

sede amministrativa, restando inerte. In tal caso,
però, egli assume le conseguenze di questo suo
comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare
l’accertamento sulla sola base dell’applicazione
degli “standards”, dando conto dell’impossibilità
di costituire il contraddittorio con il
contribuente, nonostante il rituale invito, ed il
giudice può valutare, nel quadro probatorio, la
mancata risposta all’invito (cfr. Cass. S.U.
26635/2009,

Cass.

12558/2010,

Cass.12428/2012,

Cass.23070/2012).
In termini di onere della prova, nella citata
sentenza delle Sezioni unite, si è affermato,
schematicamente, che “l’onere della prova (…)
così ripartito:a) all’ente impositore fa carico la
dimostrazione dell’applicabilità dello standard
al

prescelto

caso

concreto

oggetto

dell’accertamento; b) al contribuente (…) fa
carico la prova della sussistenza di condizioni che
giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area
dei soggetti cui possano essere applicati gli
standard o della specifica realtà dell’attività
economica nel periodo di tempo cui l’accertamento
si riferisce”.
Come chiarito ulteriormente da questa Corte in una
recente

sentenza

(Cass.3312/2011),

5

il

fine

e

non abbia risposto all’invito al contraddittorio in

l’effetto della pronunzia delle Sezioni Unite è
stato quello di porre in luce l’importanza del
contraddittorio, non solo nel processo ma anche
nella realtà, quale strumento principale di
verificazione o falsificazione della corrispondenza
tra realtà e sua rappresentazione, in quanto
proprio “in sede di contraddittorio – il quale può
avvenire già in fase amministrativa, ma anche e

primo luogo dedurre e dimostrare che i parametri
utilizzati sono in sé erronei perché sono basati su
elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o
su criteri di elaborazione e di inferenza illogici”
e potrà quindi chiedere l’annullamento del
provvedimento che li ha approvati ovvero dedurre e
dimostrare che l’Ufficio impositore è incorso in
errore operativo nell’applicare i parametri alla
sua realtà ovvero ancora dedurre o l’estraneità
della propria attività rispetto alla tipologia alla
quale quei parametri intendono riferirsi o la
sussistenza, nella propria attività di caratteri
per così dire anormali, cioè di elementi che la
diversificano rispetto a quelle in riferimento alle
quali è stata individuata la normalità reddituale.
Ove il contribuente, pur essendo stato messo in
condizione di dedurre, nulla dice, legittimamente
“l’Ufficio impositore prima e il giudice poi non
avranno elementi per escludere che l’attività in
questione sia un’attività “normale” ed abbia quindi
una redditività normale”;

ove il contribuente

prospetti invece la sussistenza di circostanze di
fatto, tali da allontanare la sua attività dal
modello normale al quale i parametri fanno
riferimento,

“spetterà all’ufficio prima e al

giudice poi valutare in primo luogo se tali

6

soprattutto nel giudizio – il contribuente potrà in

circostanze sono vere e poi se esse possono essere
effettivamente idonee a “giustificare” un reddito
inferiore a quello che sarebbe normale e quindi
presuntivamente vero in assenza di esse”.
Tanto premesso, occorre evidenziare che, secondo
quanto si legge nel ricorso, l’Ufficio, in
considerazione del fatto che i ricavi dichiarati
erano inferiori a quelli calcolati, ha invitato il

circostanze idonee a giustificare lo scostamento
dei ricavi dichiarati da quelli determinati con
l’applicazione dei parametri. A fronte di tale
formale invito, il contribuente si è presentato ed
ha fornito elementi (riportati nel verbale di
accertamento con adesione redatto ai sensi
dell’art.5 l. 218/1997 del 26/03/2004, ritrascritto
in parte), idonei a giustificare gli scostamenti
rilevati.
Invece, la sentenza impugnata non ha dato adeguata
motivazione circa le ragioni che hanno indotto la
Commissione tributaria regionale a considerare
pertinenti i parametri utilizzati per la
determinazione presuntiva del redditi e quindi a
non considerare attendibili i ricavi così
determinati, malgrado gli elementi di prova offerti
dal contribuente circa l’episodicità e marginalità
dell’attività di lavoro autonomo svolta. Le
affermazioni che si leggono nella sentenza di
secondo grado, in realtà, sono totalmente prive di
specificità e concretezza e neppure riescono a far
comprendere se e quali ragioni di fatto i giudici
tributari hanno effettivamente preso in
considerazione e verificato e quale sia stato
l’iter logico da essi seguito.
Dalla sentenza impugnata, quindi, non risulta se il

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contribuente ad esporre e documentare i fatti e le

esENTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R. 26/4/1 496
N. 131 TAB. ALL’I& – N. 5

contribuente abbia
provare concrete

assolto l’onere di

MATERIA TRIBUTARIA
dedurre e

situazioni di fatto idonee a

dimostrare elementi di fatto della sua attività di
lavoro autonomo.
Giova ribadire che
sussiste

quando

il vizio di omessa motivazione
nella

motivazione

non

sia

chiaramente illustrato il percorso logico seguito
per giungere alla decisione e non risulti comunque

prospettazione sia stata disattesa.
Il ricorso deve essere pertanto accolto, quanto al
terzo motivo, vizio motivazionale ex art.360 n. 5
c.p.c., assorbiti gli altri, e la sentenza
impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra
sezione della C.T.R. della Lombardia, che procederà
a nuovo esame, sulla base dei principi di diritto
sopra esposti, e provvederà anche in ordine alle
spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza
impugnata con rinvio, anche per le spese del
giudizio di legittimità, ad altra Sezione della
Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Quinta sezione civile, 1’8/05/2013.
Il Pres dente
Il Coigliere est.

desumibile la ragione per la quale ogni contraria

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