Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13770 del 31/05/2017

Cassazione civile, sez. II, 31/05/2017, (ud. 22/11/2016, dep.31/05/2017),  n. 13770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15130/2012 proposto da:

M.B., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso

lo studio dell’avvocato ERMINIA MARIA DEL MEDICO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELA MARIA GARGANO;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE DOLOMITI 2000 SRL elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato PAOLO IORIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO TANDURA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1017/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato GARGANO Angela Maria, difensore del ricorrente che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato VILLANI Francesco, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato TANDURA Gianfranco, difensore del resistente

controricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Generale Dott. CELESTE

Alberto, che ha l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Il Tribunale di Belluno – Sezione Distaccata di Pieve di Cadore, con sentenza n. 57/2004 rigettava sia la domanda principale dell’attore M.B. che quella riconvenzionale della convenuta società odierna controricorrente.

Con la prima il M. chiedeva l’esecuzione ex art. 2932 c.c., del contratto preliminare in data 26 giugno 1995 avente ad oggetto terreno ed il fabbricato in atti specificamente individuati.

Con la seconda, in via riconvenzionale formulata, la società convenuta Immobiliare 2000 S.r.l. instava per la risoluzione del detto contratto (da intendersi come definitivo) per inadempimento dell’attore con le conseguente pronuncia della restituzione dell’immobile.

Interposto, per la riforma della decisione del Tribunale di prima istanza, gravame in via principale da parte del M. ed in via incidentale dalla Società in origine convenuta, l’adita Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 1017/2011, in parziale riforma dell’impugnata decisione, disponeva il trasferimento del diritto di proprietà dei suddetti immobili in favore dell’appellante principale, subordinatamente al versamento – da parte di quest’ultimo – della somma di e 18.075,99, nonchè al pagamento di Euro 1.200,00 l’anno dal 9.12.1998 alla data della sentenza, con compensazione delle spese del giudizio.

Per la cassazione della succitata sentenza della Corte territoriale ricorre il M. con atto affidato a sei motivi e resistito con controricorso dalla Società intimata.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1375 c.c., art. 1219 c.c., comma 2, n. 3, artt. 1218 e 1221 c.c..

Col motivo, in sostanza si deduce che la Corte territoriale, dopo aver riconosciuto che M. non conosceva l’altruità degli immobili venduti dalla Società, non ha dato – come avrebbe dovuto – alcun rilievo alla predetta circostanza.

11 motivo non può essere accolto.

L’impugnata sentenza ha, con propria corretta valutazione, accertato che la società promittente venditrice, pur non essendo già proprietaria del bene promesso, ben poteva adempiere in uno dei due modi che, secondo noti principi di giurisprudenza (Cass. 23 novembre 2007, n. 24448 e Cass. 10 giugno 2010, n. 13987) citati dalla Corte distrettuale, ovvero acquistando la cosa dal terzo per rivenderla al promissario acquirente o procurando a quest’ultimo l’acquisto direttamente dall’effettivo proprietario.

L’impugnata sentenza ha poi ritenuto che nella concreta fattispecie non vi era un termine essenziale pattuito per la stipula del contratto definito, che – anzi – era stato per evidente interesse delle parti rinviato.

Orbene, a fronte di tali rationes decidendi della gravata decisione, parte ricorrente contrappone la pretesa che, verificatosi il semplice non acquisito immediato – da parte della società – della proprietà dei beni promessi in vendita, scatterebbe conseguentemente e comunque il risarcimento dei danni, dovuto, ai sensi dell’art. 1218 c.c., da parte della società in origine convenuta in giudizio.

Il motivo non può essere accolto.

Infatti, a fronte degli anzidetti principi giurisprudenziali correttamente richiamati ed applicati dalla Corte territoriale, parte ricorrente non esplicita altro principio giurisprudenziale violato, nè enuncia ragioni valide a far mutare l’orientamento riaffermato con la sentenza impugnata.

Al riguardo deve richiamarsi nota e condivisa giurisprudenza di questa Corte che ha già avuto modo di enunciare il principio per cui “difetta, pertanto, di specificità dei motivi il ricorso in cui, pur denunciando violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con un’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – per cui il motivo è inammissibile perchè non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione” (Cass. n. 10475/2001 e Cass. 1317/2004).

Infine deve evidenziarsi che l’impugnata sentenza è incentrata sull’accertamento dell’inesistenza, nella concreta fattispecie in esame, di un termine essenziale ed anzi dell’interesse al perfezionamento del contratto attestato dal rinvio del rogito.

Il motivo, quindi, in quanto infondato va rigettato.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce, quanto all’enunciato “principio di continuità delle trascrizioni, il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c., in relazione all’art. 2650 e 2932 c.c. nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia”.

Il motivo riprende, nella sostanza, e sviluppa un motivo di appello già ritenuto inammissibile dalla Corte territoriale.

Atteso, quindi, che la questione sottesa al motivo oggi riproposto è comunque nuova il motivo qui in esame non può che essere ritenuto inammissibile.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione sull’inadempimento della società immobiliare e sulla imputabilità dello stesso.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di motivazione contraddittoria in relazione al rifiuto del promissario acquirente alla stipula del contratto.

5.- Entrambi i due ultimi motivi sopra da ultimo riportati possono essere trattati congiuntamente.

Ambedue devono ritenersi inammissibili.

Tanto sia per la loro sostanziale genericità, sia perchè tendono – in sostanza – ad una rivalutazione di elementi quali l’inadempimento della società ed il rifiuto alla stipula del contratto già oggetto di adeguata valutazione, in fatto, della Corte di merito sorretta da congrua motivazione immune da vizi logici, che rende non più possibile oggi una revisione del ragionamento decisorio.

A tale proposito deve ribadirsi il condiviso principio per cui “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).

Nè, d’altra parte, “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608).

I due motivi sono, perciò, entrambi inammissibili.

6.- Con il quinto motivo si deducono molteplici errori in iudicando ed in procedendo: violazione dell’art. 2697 c.c., ed omessa motivazione in merito alla idoneità delle prove del danno fornite dall’appellante;

violazione dell’art. 61 c.p.c., in riferimento alla addotta necessità di CTU;

violazione dell’art. 1226 c.c., omessa motivazione sulla domanda di liquidazione del danno in via equitativa.

Tutte le varie doglianze innanzi opportunamente riassunte in breve non sono fondate.

Non vi è stata, con la sentenza impugnata, violazione dell’art. 2697 c.c..

Al riguardo deve richiamarsi il noto principio già enunciato da questa Corte e secondo cui “la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5” (Cass. civ., Sez. Terza, Sent. 5 settembre 2006, n. 19064).

La censura relativa alla consulenza tecnica di ufficio non è fondata essendo noto che la stessa non può avere finalità meramente esplorativa.

Neppure fondate appaiono le censure in ordine alla decisione impugnata in tema di domanda di liquidazione -di del danno richiesto in via equitativa.

La Corte distrettuale aveva, infatti, già ritenuto in nessun modo provata l’esistenza stessa del danno e peraltro l’attore non aveva reiterato apposita istanza istruttoria nelle conclusioni formulate in entrambi i gradi del giudizio di merito.

Il motivo è, quindi, nel suo complesso infondato e va rigettato.

7.- Con il sesto ed ultimo motivo del ricorso si denuncia la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in merito al riconoscimento in capo alla convenuta dell’indennizzo per aver l’appellante posseduto il bene dal dicembre 1998”, nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Nella sostanza parte ricorrente, invocando l’art. 1449 c.c., si duole del fatto che la Corte veneta ha riconosciuto alla Immobiliare Dolomiti un indennizzo conseguente al possesso del bene goduto dalla controparte.

La svolta censura è infondata sia sotto il profilo della non debenza dell’importo liquidato con la sentenza impugnata sia sotto quello della carenza motivazionale della stessa decisione. Non sussiste l’invocata violazione della norma di cui all’art. 1499 c.c., in quanto gli interessi hanno, come nell’ipotesi de qua, la specifica funziona di compensare il creditore del mancato godimento della cosa indipendentemente dalla mora (Cass. civ. Sent. n. 10726/2001 e n. 13275/2000).

Sotto il profilo, poi, della determinazione dell’ammontare del danno equitativamente liquidato va evidenziato che detta liquidazione, consistendo in una valutazione di puro fatto, si sottrae al controllo di legittimità (Cass. n. 6464/2000).

Il motivo va, pertanto, respinto.

8.- Il ricorso deve essere, quindi, rigettato.

9.- Le spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si determinano come in dispositivo.

PQM

 

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della contro ricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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