Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13770 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 03/07/2020), n.13770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32679/2018 proposto da:

K.O.I., elettivamente domiciliato in Roma V. Menghini

Mario 21 presso lo studio dell’avvocato Porfilio Pasquale che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Costagliola Chiara;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il

12/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 dal Cons. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, con decreto depositato in data 12.10.2018, ha rigettato la domanda proposta da O.I.K., cittadino del Gambia, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo il suo racconto stato ritenuto credibile (costui aveva riferito di essere fuggito dalla Libia – ove si era trasferito nel 2014 con entrambi i genitori, poi deceduti – dopo essere stato incarcerato per quasi due anni ed essere stato vittima di terribili soprusi).

Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria, essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel suo paese di provenienza.

Il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione O.I.K., affidandolo a sei motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo 1/a è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. a e c).

Si duole il ricorrente che il giudice di merito ha escluso la situazione individuale e le circostanze personali dallo stesso addotte ai fini del rilascio della protezione sussidiaria.

2. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che questa Corte ha già affermato che l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine del richiedente o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (Cass. n. 31676 del 06/12/2018). Non a caso, infatti, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, ai commi 3 e 4, fa esclusivo riferimento, nell’indicare i parametri per l’esame della domanda di protezione internazionale, alla legislazione ed alla situazione generale del solo Paese d’origine, e ciò per l’evidente considerazione che, in caso di rigetto della domanda di protezione, il richiedente non può essere rimpatriato in un paese diverso da quello di cui ha la cittadinanza. Nè il richiedente può essere inviato in un paese di transito, salvo l’esistenza di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (vedi sempre la citata Cass. n. 31676/2018).

Ne consegue che i timori per la propria incolumità dallo stesso rappresentati relativi alla sua vicenda personale, svoltasi, a suo dire, interamente in Libia, non possono avere alcuna rilevanza.

3. Con il motivo 1/b è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, lett. c) nonchè l’omesso esame di fatto decisivo.

Espone il ricorrente che il giudice di merito ha ritenuto che l’attuale situazione socio-politica del Ghana non rappresenti una minaccia ed un pericolo per la sua vita ed incolumità, valutazione errata tenuto conto anche del sistema giudiziario e delle condizioni carcerarie esistenti in Ghana.

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel paese di provenienza del ricorrente alla luce del più recente ed aggiornato rapporto fornito dal Ministero degli Esteri e tale accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064). Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

Peraltro, in ordine alle dedotte condizioni carcerarie, va osservato che dall’esame del decreto impugnato emerge che il ricorrente si era lamentato delle vessazioni subite nelle carceri libiche e non in quelle del Ghana. Su tale punto, il ricorso difetta del requisito di autosufficienza e specificità, non avendo il ricorrente allegato nè di aver già adeguatamente rappresentato al giudice di merito le critiche condizioni in cui si trovavano le carceri ghanesi, nè le precise ragioni per le quali avrebbe dovuto temerle, essendosi tutto il suo racconto (sintetizzato nella parte narrativa del ricorso) focalizzato sulle angherie dallo stesso subite in Libia.

5. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Lamenta il ricorrente il mancato riconoscimento della protezione umanitaria nonostante la minaccia grave cui sarebbe esposto in caso di rientro in Ghana a causa delle critiche condizioni del sistema giudiziario e carcerario e dei trattamenti inumani e degradanti che sono ivi perpetrati.

Evidenzia anche il pericolo di una minaccia grave derivante da violenza indiscriminata nel proprio paese.

6. Il motivo è inammissibile per le ragioni già illustrate al punto 4 sia in ordine al sistema giudiziario e carcerario del Ghana, sia in ordine alla dedotta violenza diffusa ed indiscriminata (esclusa dal giudice di merito) asseritamente presente in tale paese.

7. Con il terzo è stata dedotta la violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 per la mancata valutazione delle prove documentali offerte nel corso del giudizio.

Lamenta il ricorrente di aver prodotto nel corso del giudizio di primo grado un contratto di lavoro a tempo indeterminato presso la società Detralog s.r.l., circostanza che comprova la sua integrazione nel tessuto sociale del nostro territorio.

8. Il motivo è inammissibile, essendo stata dedotta una circostanza non decisiva e non idonea a cambiare la decisione del giudice di merito.

In proposito, questa Corte già affermato che il livello di integrazione raggiunto dal richiedente la protezione nel paese d’accoglienza è un elemento che può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

L’integrazione non può quindi costituire l’unico elemento posto a fondamento della domanda di protezione umanitaria, in difetto degli altri requisiti.

9. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74 in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28 bis.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Campobasso gli ha ingiustificatamente revocato l’ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato.

Contesta il giudizio di manifesta infondatezza del proprio ricorso formulato dal giudice di merito.

10. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 e degli artt. 3,4,10,24,35 e 113 Cost..

Reitera il ricorrente la propria contestazione in ordine alla manifesta infondatezza del ricorso ritenuta dal Tribunale di Campobasso.

6. Il quarto ed il quinto motivo, da esaminare unitariamente in relazione alle stretta connessione delle questioni trattate (entrambe attinenti alla revoca del patrocinio a spese dello Stato), sono inammissibili.

Va osservato che questa Corte ha più volte affermato che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 non comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 della stesso D.P.R.. Si deve quindi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del D.P.R. citato. (Cass. 29288/2017; conf. Cass. n. 30282018 e n. 32028/2018).

Ne consegue che il ricorrente avrebbe dovuto promuovere tempestivamente lo speciale procedimento di opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e non attendere la proposizione del ricorso per cassazione.

L’accerta inammissibilità del ricorso non comporta comunque la condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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