Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1377 del 19/01/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 1377 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 27439-2015 proposto da:
FCA ITALY S.P.A., già Fiat Group Automobiles S.p.A.,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19,
presso lo studio degli avvocati RAFFAELE DE LUCA
TAMAJO, MARIA TERESA SALIMBENI che la rappresentano e
2017

difendono, giusta delega in atti;
– ricorrente –

3472
contro

ESPOSITO GABRIELE;
– intimato –

Data pubblicazione: 19/01/2018

Nonché da:
ESPOSITO GABRIELE, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAllA DEL POPOLO 18, presso STUDO LEGALE RIZZO,
rappresentato e difeso dagli avvocati AMALIA RIZZO,
NUNZIO RIZZO, PAOLO PARLATO, giusta delega in atti;

contro

FCA ITALY S.P.A., già Fiat Group Automobiles S.p.A.,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19,
presso lo studio degli avvocati RAFFAELE DE LUCA
TAMAJO, MARIA TERESA SALIMBENI che la rappresentano e
difendono, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 4818/2015 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI depositata il 06/08/2015 R.G.N.
7848/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/09/2017 dal Consigliere Dott.
ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
accoglimento per guanto di ragione del ricorso
principale, inammissibilità o rigetto del ricorso
incidentale;
udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega

– controricorrente e ricorrente incidentale –

Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO;

uditi gli Avvocati NUNZIO RIZZO, PAOLO PARLATO.

Fatti di causa
1. Con sentenza n. 4818/2015 la Corte di appello di Napoli, in riforma della
decisione di primo grado, ha dichiarato la illegittimità del licenziamento
disciplinare intimato in data 10.11.2007 a Gabriele Esposito dalla Fiat Group
Automobiles s.p.a., ordinato la reintegra dell’Esposito nel posto di lavoro e
condannato la società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni

accessori, ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.
1.1 Il giudice di appello, per quel che qui ancora rileva, premesso che il
primo giudice aveva già escluso, con autorità di giudicato, l’addebitabilità del
fatto rappresentato dall’uso di autovettura aziendale per l’intero periodo
feriale, ha ritenuto priva di riscontro la contestazione con la quale si imputava
al lavoratore di avere, con finalità elusive del controllo aziendale, nella richiesta
di pass di accesso nominativo relativa all’anno 2007, indicato come autovettura
di sua proprietà un’autovettura aziendale; in merito al nucleo essenziale della
contestazione disciplinare, consistente nell’avere il dipendente utilizzato, in
maniera sistematica, alcune auto aziendali per uscire dallo stabilimento in
occasione della pausa pranzo rientrandovi dopo circa 20/40 minuti e nell’avere,
spesso, con le stesse autovetture, fatto rientro presso la propria abitazione a
fine giornata lavorativa per poi tornare al lavoro la mattina successiva, ha
osservato che, non essendo emersa una vera e propria “distrazione” dai fini
lavorativi e professionali (quale ipotizzabile in presenza di viaggi o visite di
piacere o per il disbrigo di incombenze personali, ecc.) la condotta addebitata
non travalicava un concetto “lato” di uso aziendale del mezzo per motivi di
lavoro; ciò comportava, sotto il profilo dell’intensità dell’elemento psicologico,
la scarsa valenza trasgressiva della condotta in sé considerata rispetto alla
nozione di “servizio” comunemente accettata ed escludeva che il modus agendi
del lavoratore fosse stato animato da un vero e proprio intento profittatore in
aperto contrasto con chiare ed univoche norme aziendali, non ravvisabili nelle
comunicazioni di servizio ricevute dal dipendente nel 2007 in tema di corretta
gestione delle procedure riguardanti l’uso delle autovetture di servizio. Sotto
altro profilo si evidenziava che l’assoluta carenza, nella contestazione

maturate dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegra, oltre

_ disciplinare, di elementi relativi alla quantità di carburante presumibilmente
consumato attraverso il sistematico uso della vettura aziendale, da un lato
non consentiva l’accertamento della effettiva sussistenza di un pregiudizio
economico per la società datrice riconducibile alla condotta addebitata e,
dall’altro, deponeva nel senso che l’inadempienza imputata al dipendente non
aveva riguardo ad un serio aggravio di spese per l’azienda o ad altro

1.2. In base a tali considerazioni il giudice di appello ha ritenuto che,
anche a voler configurare come irregolare la condotta del lavoratore, essa non
giustificava, comunque, l’adozione della misura espulsiva; ciò tanto più in
ragione del fatto che la società aveva posto a fondamento della propria
iniziativa disciplinare la previsione di cui all’art. 25 lett. B) del c.c.n.l. nel quale
le condotte sanzionate con il licenziamento erano connotate da elevato
disvalore etico e sociale, dalla gravità del nocumento morale o materiale per
l’azienda o integravano fattispecie delittuose o, comunque, condotte atte a
ledere beni o interessi primari della comunità interna all’ambiente lavorativo;
pertanto, tenuto altresì conto che l’Esposito non aveva mai ricevuto
contestazioni disciplinari, la irrogazione della sanzione espulsiva non appariva
proporzionata.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso FCA ITALY s.p.a. (
già Fiat Group Automobiles s.p.a.) sulla base di cinque motivi; l’intimato ha
resistito con tempestivo controricorso e contestuale ricorso incidentale
condizionato affidato ad un unico motivo avverso il quale FCA ITALY s.p.a. ha
depositato controricorso .
2.1. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod.
proc. civ. .
Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso di FCA ITALY s.p.a. si deduce violazione
e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1363 e 1324 cod. civ.
in relazione alla interpretazione della richiesta di pass effettuata dall’Esposito

particolare pregiudizio, neppure evidenziato nelle difese della società.

con mali del 5.12.2006. Premesso che il criterio ermeneutico di cui all’art. 1363
cod.civ. , applicabile, in virtù del rinvio operato dall’art. 1324 cod. civ., anche
alle dichiarazioni unilaterali di volontà ed anche agli atti non negoziali, impone
la valutazione globale dell’atto, si assume che la interpretazione della richiesta
di pass operata dal giudice di appello, secondo il quale con tale richiesta
l’Esposito non aveva affatto affermato e neppure suggerito che l’autovettura in

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 416, comma 3, cod. proc. civ. nonché dell’art. 115 cod. proc. civ. in
relazione alla mancata contestazione, da parte dell’Esposito, della violazione di
specifiche disposizioni aziendali attinenti all’utilizzo dell’autovettura. Si sostiene
che la consapevolezza del dipendente in ordine al fatto che l’uso privato
dell’autovettura non fosse consentito risultava provata dalle allegazioni
contenute nel ricorso introduttivo laddove l’esponente aveva ammesso di non
avere diritto all’assegnazione tout court di un’auto aziendale da poter utilizzare
anche per fini personali. In questa prospettiva si assume che costituiva onere
dell’Esposito contrastare in maniera specifica e dettagliata i fatti posti a base
del licenziamento e che tale onere non poteva ritenersi assolto a fronte della
generica contestazione dei fatti oggetto di addebito da parte del lavoratore.
3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione
del combinato disposto degli artt. 1363 e 1324 cod. civ. in relazione alla non
corretta interpretazione della disposizione aziendale di cui alla mail
dell’8.5.2007, che si afferma frutto di una interpretazione parziale della stessa.
In particolare ci si duole dell’omessa considerazione della clausola 4 secondo
la quale “ogni utilizzatore deve provvedere mensilmente ad aprire e chiudere
una specifica trasferta indicando esclusivamente i rifornimenti delle
rifornimento del carburante valgono esclusivamente in caso di utilizzo dell’auto
per ragioni di servizio”.
4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 2119 cod. civ. in relazione alla sussunzione nella fattispecie prevista
dalla detta norma del concreto comportamento posto in essere dal lavoratore.

questione fosse di sua proprietà, era frutto di una lettura parziale dell’atto.

Ricordato che, secondo il giudice di legittimità, la nozione di “giusta causa”
costituisce una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle
norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura
con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole
generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di
essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di

disposizione tacitamente richiama, si invoca il controllo di legittimità sulla
correttezza del metodo seguito nell’applicazione della norma generale,
sostenendosi, in sintesi, l’inadeguatezza o irrilevanza dei parametri ai quali il
giudice di appello aveva ancorato la verifica della ” giusta causa” di recesso;
tali il concetto lato di uso del mezzo per motivi di lavoro; la mancanza di prova
dell’utilizzo dell’auto aziendale in termini distrattivi, la scarsa valenza
trasgressiva della condotta contestata alla luce della comune nozione di
“servizio”, l’assenza di dolo, l’omessa prova di un pregiudizio economico per
l’azienda . Sul presupposto che in caso di illecito contrattuale è nell’ambito
della regolamentazione del rapporto che vanno individuate le regole violate e
che il giudizio di gravità deve tenere conto della consapevolezza del dipendente
nel violare le regole aziendali e della continuità della violazione, si censura la
decisione per non avere considerato le concrete circostanze della fattispecie,
quali il ruolo rivestito dal lavoratore in azienda, il grado di affidabilità esigibile,
la reiterazione delle condotte, la piena consapevolezza dell’obbligo di utilizzo
delle autovetture aziendali per il solo espletamento di attività lavorativa
denotava, a prescindere dalla verifica di un intento fraudolento o dalla
realizzazione di un indebito vantaggio, l’ intenzionalità nel porre in essere i
comportamenti addebitati restando irrilevante, anche alla luce di precedenti di
legittimità, l’effettivo verificarsi di un danno economico per l’azienda; in ogni
caso, andava considerato il danno all’immagine aziendale consistente nella
svalutazione nei confronti degli altri dipendenti della vincolatività della
disciplina interna aziendale .
5. Con il quinto motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 25 lett. B) c.c.n.l. industria metalmeccanica del 7.5.2003

fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa

per avere la Corte di appello ritenuto determinante, al fine dell’esclusione della
proporzionalità, la circostanza che la previsione collettiva non contemplava
specificamente, fra quelle sanzionate, la condotta ascritta all’Esposito .
6. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato si deduce, ai sensi
dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti. Tale fatto, dedotto con il secondo

ventisette episodi contestati,l’ Esposito risultava essere in trasferta giornaliera
con rimborso delle spese a piè di lista, come attestato dagli statini paga, dai
moduli di riepilogo spese trasferta e dai fogli di presenza, oggetto di controllo
di merito da parte del superiore gerarchico.
7.

Il primo motivo di ricorso

principale, con il quale si censura la

interpretazione da parte del giudice di appello della richiesta di pass relativo ad
autovettura aziendale risulta, come eccepito nel controricorso, inammissibile
incorrendo nella violazione del principio di autosufficienza che risulta ora
tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute negli artt. 366, Co. 1,
n.6 e 369, co. 2, n. 4 cod. proc. civ. (v. tra le altre, Cass. 08/07/2004 n.
12577, Cass. 26/09/2002 n. 13953). Parte ricorrente si è, infatti, sottratta
all’onere prescritto al fine della valida articolazione della censura posto che non
ha riprodotto l’intero contenuto del documento (richiesta di pass) della cui
interpretazione si duole; né, ai fini dell’ammissibilità del motivo in esame,
appare sufficiente la sintesi del contenuto del documento e la trascrizione solo
parziale di alcune espressioni in esso riportate ( v., in particolare, pag. 18 del
ricorso) atteso che la verifica sollecitata alla Corte, fondata in particolare sulla
necessità del rispetto del criterio dell’art. 1363 cod. civ. implicante la necessità
di valutazione globale dell’atto da interpretare, rendeva necessaria la integrale
trascrizione del documento.
8. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile per difetto di
autosufficienza. La censura, fondata sull’assunto che la consapevolezza
nell’Esposito della violazione delle norme aziendali risultava dalle ammissioni
formulate nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, di talchè, a

motivo di appello, era costituito dalla circostanza che per ventitré dei

differenza di quanto ritenuto dal giudice di appello, non richiedeva di essere
provata, è affidata esclusivamente alla riproduzione di alcune espressioni
contenute nell’ atto evocato, intrinsecamente inidonee, in quanto avulse dal
contesto argonnentativo di riferimento, a suffragare l’assunto dell’odierna parte
ricorrente principale. La carente esposizione del fatto processuale, con specifico
riguardo alle allegazioni in fatto ed alle deduzioni in diritto sviluppate nei gradi

pertanto, di ritenere escluso dal

thema pro bandum

la verifica della

conoscenza da parte del dipendente di direttive della società datrice che
consentivano l’utilizzazione, solo per motivi strettamente lavorativi, dell’auto
aziendale. Tanto è sufficiente per respingere il motivo in esame risultando
assorbite le ulteriori deduzioni del ricorrente.
9. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per le medesime ragioni alla
base della analoga declaratoria di inammissibilità formulata in relazione al
primo motivo. La società ricorrente, infatti, non ha riprodotto il contenuto
integrale dell’atto – disposizioni aziendali di cui alla mail in data 8.5.2007 della cui interpretazione si duole. La censura articolata è, infatti, illustrata
mediante riproduzione solo parziale di alcune espressioni contenute nella
richiamata mail, risultandone preclusa a questa Corte ogni verifica

ex actis

della denunziata violazione dei criteri legali di interpretazione ed in particolare
dell’art. 1363 cod. civ., in tema di valutazione globale dell’atto da interpretare,
implicante, come già evidenziato, la riproduzione integrale del relativo testo.
10. Il quarto motivo di ricorso, incentrato, in estrema sintesi, sulla non
corretta applicazione della nozione legale di “giusta causa di licenziamento” alla
fattispecie in esame, è infondato.
10.1. Occorre premettere che, come evidenziato anche dalla parte
ricorrente principale, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte la
giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione
degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento
fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati
al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle

di merito dalle parti in ordine alla questione in argomento, non consente,

circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo
intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per
stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione
del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima
sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche
provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola

valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi
tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno
natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come
violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli
elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di
fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di
errori logici e giuridici. (v., tra le altre, Cass. 26/04/2012 n. 6498).
10.2. Questa Corte ha, inoltre, ripetutamente ribadito in tema di
licenziamento disciplinare che il principio di proporzionalità della sanzione
all’infrazione richiede che il giudice proceda all’accertamento della gravità del
fatto contestato sotto il profilo oggettivo e soggettivo ( Cass. 18/09/2012 n.
15654; Cass. 23/02/2012 n. 2720; Cass. 01/03/2011 n. 5019; Cass.
20/08/2003 n. 12273), potendosi quest’ultimo connotare da un punto di vista
psicologico sia dall’elemento della colpa che di quello del dolo ( Cass.
26/01/1991 n. 765).
10.3. Alla luce dei richiamati principi le censure della parte ricorrente si
rivelano prive di pregio. Si premette che la verifica del vizio denunziato con il
motivo in esame postula la corretta ricostruzione dell’iter logico-giuridico
seguito dal giudice di appello il quale ha fondato la valutazione di illegittimità
del licenziamento su un duplice ordine di considerazione: a) l’utilizzo
dell’autovettura nelle circostanze contestate non travalicava un concetto “lato”
di uso del mezzo per motivi di lavoro; b) in ogni caso, anche a voler ritenere la
condotta di rilievo disciplinare, la sanzione espulsiva non era proporzionata
all’intensità dell’elemento soggettivo ed all’assenza di pregiudizio derivatone
alla società.

generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite

10.4. Ciò posto, appare evidente che, nel contesto argomentativo della
decisione di appello, in relazione alla considerazione sub b), da sola idonea a
fondare la valutazione di illegittimità del recesso datoriale, l’evocazione di un
“concetto lato” di uso aziendale dell’autovettura viene in rilievo a connotare in
termini di minore gravità la condotta addebitata e non in funzione scriminante
della illiceità della condotta , nel senso di rendere la stessa legittima; in questa

ricorrente relative alla congruità di uno dei parametri utilizzati dal giudice di
appello nel dare concreta specificazione alla nozione legale di giusta causa.
10.5. Gli ulteriori elementi sulla base dei quali è stata ritenuta la non
proporzionalità della condotta addebitata risultano del tutto coerenti con il
parametro normativo di cui all’art. 2119 cod. civ. in quanto hanno riguardo
all’intensità dell’elemento soggettivo ed alle conseguenze oggettive scaturite
per la società datrice dalla condotta irregolare del dipendente; attengono, in
altri termini, alle circostanze concrete della vicenda e si collocano, quindi, sul
piano del giudizio di fatto che, in quanto privo di incongruità logiche, resta
sottratto al sindacato di legittimità.
10.6. In merito alle residue censure è da segnalare che parte ricorrente,
pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto, sotto il profilo
della corretta applicazione delle clausole generali di cui agli artt.2119 e 2106
cod. civ., non individua alcuno specifico contrasto con i criteri e principi
desumibili dall’ordinamento generale, nei parametri astratti ai quali ha fatto
riferimento il giudice di merito nel ritenere proporzionata la sanzione espulsiva;
le critiche articolate, infatti, tendono, piuttosto, a contestare la valutazione di
proporzionalità del licenziamento sotto il profilo della mancata considerazione
di alcune circostanze di fatto, che – si sostiene- avrebbero condotto ad
affermare l’applicabilità della sanzione espulsiva. In altri termini, ciò che viene
in concreto criticato è l’apprezzamento di fatto delle circostanze del caso
concreto ed il relativo giudizio di proporzionalità il quale è censurabile in sede
di legittimità solo ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (v. tra le altre,
Cass. 25/05/2012, n. 8293; Cass. 19/10/2007, n. 21965). Consegue che,

prospettiva si sottrae, pertanto, alle contestazioni formulate dalla parte

trovando applicazione, ratione temporis, il testo attualmente vigente dell’art.
360 comma primo, n. 5 cod. proc. civ., la deduzione del vizio motivazionale
poteva avvenire solo mediante la denunzia dell’omesso esame di un fatto
decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, omissione neppure
formalmente dedotta dalla società ricorrente.
11. Il quinto motivo di ricorso è anch’esso da respingere in quanto ancorato

previsione contrattuale collettiva. Il giudice di appello, a differenza di quanto
presupposto dalla società ricorrente principale, non ha affatto escluso la
proporzionalità dell’addebito contestato sul rilievo che la condotta ascritta non
era ricompresa fra quelle espressamente contemplate dalla norma collettiva
richiamata nella lettera di licenziamento ma ha ritenuto non assimilabili, in
quanto connotati da minore gravità, i fatti addebitati con quelli presi in
considerazione dalla detta previsione e da questa sanzionati con il
licenziamento per giusta causa. Quanto ora rilevato esclude in radice la
configurabilità del denunziato vizio di violazione del principio di non tassatività
delle ipotesi previste dalla norma collettiva in tema di licenziamento
disciplinare, espressione di consolidata giurisprudenza di questa Corte alla
quale si ritiene di dare continuità ( v., da ultimo, Cass. 12/02/2016 n. 2830).
12. In base alle considerazioni che precedono il ricorso principale deve
essere respinto, con effetto di assorbimento del ricorso incidentale
condizionato.
13. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
14. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30
gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17,
legge 24 dicembre 2012, n. 228 ( Cass. Sez. 17/10/2014. n. 22035/2014).
P.Q.M.

ad una lettura errata della sentenza impugnata nella parte riferita alla

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.
Condanna parte ricorrente principale alla rifusione delle spese di lite che liquida
in C 5.000,00 per compensi professionali, C 200,00 per esborsi, oltre spese
forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a

stesso articolo 13 .

Roma, 14 settembre 2017

titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello

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