Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13766 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/05/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 20/05/2021), n.13766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14339/2019 R.G. proposto da:

COMUNE DI ALTOMONTE, in persona del Commissario straordinario p.t.,

rappresentato e difeso dall’Avv. Claudia Parise, con domicilio

eletto in Roma, via Denza, n. 16;

– ricorrente –

contro

B.V., rappresentato e difeso dall’Avv. Saverio Rocco

Cetraro, con domicilio eletto in Roma, piazza della Libertà, n. 20,

presso lo studio dell’Avv. Vincenzo Antonio Reytani;

– controricorrente –

e

M.B.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 208/19,

depositata il 6 febbraio 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio

2021 dal Consigliere Guido Mercolino.

 

Fatto

RILEVATO

che:

il Comune di Altomonte ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 6 febbraio 2019, con cui la Corte d’appello di Catanzaro ha accolto l’opposizione alla stima proposta da B.V., determinando in Euro 149.311,44 l’indennità dovuta dal Comune per l’espropriazione, disposta con decreto del 21 dicembre 2011, di un’area di proprietà dell’opponente riportata in Catasto al foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);

che il B. ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L.R. della Calabria 16 aprile 2002, n. 19, art. 50, comma 6, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 32,dell’artt. 115,116 c.p.c. e dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’escludere la natura agricola dell’area espropriata, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della collocazione della stessa al di fuori del perimetro del centro abitato e della classificazione risultante dal certificato di destinazione urbanistica prodotto in giudizio, essendosi attenuta alle risultanze della c.t.u., fondate su un certificato non aggiornato, senza pronunciarsi in ordine alle critiche mosse all’elaborato peritale;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, osservando che nella liquidazione dell’indennità la sentenza impugnata non ha tenuto conto delle caratteristiche effettive dell’area espropriata e della sua destinazione ad uso agricolo, risultanti dalla relazione depositata dal primo c.t.u. nominato nel corso dell’istruttoria e dalla prima relazione depositata a seguito della rinnovazione della c.t.u., essendosi attenuta alle conclusioni apodittiche successivamente rassegnate dal secondo c.t.u.;

che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, sono parzialmente fondati;

che in questa sede non possono infatti trovare ingresso le censure riflettenti l’applicabilità della L.R. n. 19 del 2002, art. 50, comma 6, che nei comuni dotati di programma di fabbricazione estende a tutti i suoli ricadenti al di fuori del centro abitato la destinazione a zona agricola, implicando le stesse un accertamento di fatto in ordine al tipo di strumento urbanistico vigente alla data di emissione del decreto di espropriazione ed alla collocazione dell’area espropriata, e non essendo stato precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito la questione sia stata sollevata (cfr. Cass., Sez. VI, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. II, 24/01/2019, n. 2038; Cass., Sez. lav., 16/10/2018, n. 25863);

che ai fini della liquidazione dell’indennità di espropriazione la sentenza impugnata ha infatti richiamato gli accertamenti compiuti dal secondo c.t.u. nominato nel corso del giudizio, il quale, rilevato che negli strumenti urbanistici l’area espropriata risultava destinata a verde privato, ne aveva escluso l’edificabilità, ma aveva ritenuto possibili forme di sfruttamento intermedie tra quella edificatoria e quella agricola, determinandone il valore di mercato in misura pari alla media tra quello dei suoli aventi destinazione agricola e quello dei suoli a vocazione edificatoria;

che tale valore era stato contestato dalla difesa del Comune, la quale, nel corso delle indagini, aveva prodotto un certificato di destinazione urbanistica più recente di quello acquisito dal c.t.u., dal quale si evinceva l’inclusione del fondo in zona agricola, ed aveva pertanto chiesto che nella liquidazione della indennità si tenesse conto delle più limitate possibilità di sfruttamento derivanti da tale classificazione;

che l’intervenuto mutamento della destinazione urbanistica del fondo espropriato non è stato in alcun modo preso in considerazione dalla Corte territoriale, la quale non l’ha menzionato, neppure per escluderne l’anteriorità rispetto alla data di emissione del decreto di espropriazione, ma si è limitata a rilevare che il c.t.u. aveva valorizzato le possibilità intermedie di utilizzazione dell’area, previste in relazione alla classificazione anteriore a quella risultante dal certificato prodotto, senza verificare se le stesse fossero consentite anche in relazione alla nuova destinazione;

che, in quanto gravemente lacunosa con riguardo alla documentazione prodotta, e comunque non pertinente alla questione sollevata dalla difesa del Comune, tale motivazione deve ritenersi meramente apparente, e quindi inidonea ad attingere la soglia del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, non consentendo alcun controllo in ordine alla correttezza giuridica ed alla coerenza logica del ragionamento decisorio sotteso alla determinazione dell’indennità (cfr. Cass., Sez. III, 5/07/2017, n. 16502; 20/04/2017, n. 9952);

che il riferimento ad una destinazione urbanistica risultante da documenti non aggiornati, determinando un’incertezza in ordine alle forme di utilizzazione consentite dallo strumento urbanistico vigente alla data di emissione del decreto di esproprio, si pone d’altronde in contrasto con il principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di espropriazione per pubblica utilità, secondo cui le possibilità legali di sfruttamento del fondo, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, devono essere valutate in relazione al momento in cui si è perfezionata la vicenda ablativa (cfr. Cass., Sez. I, 14/02/2006, n. 3146; 26/02/2004, n. 3838; 30/ 03/2000, n. 3873);

che tale principio, enunciato con riguardo alla distinzione tra aree agricole ed aree edificabili, deve ritenersi applicabile anche relativamente alla valutazione delle differenti possibilità di utilizzazione connesse a destinazioni urbanistiche diverse, ma ugualmente idonee ad escludere la vocazione edificatoria dell’area espropriata, avendo questa Corte precisato, in riferimento alla stima di suoli non edificabili, che l’incidenza di eventuali forme di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria può costituire oggetto di valutazione soltanto a condizione che le stesse risultino assentite dalla normativa vigente, sia pure previo conseguimento delle necessarie autorizzazioni amministrative (cfr. Cass., Sez. I, 25/06/2020, n. 12618; 21/12/2019, n. 34742; 5/08/2019, n. 20899);

che il metodo di stima adottato dal c.t.u. e fatto proprio dalla sentenza impugnata non rispecchia a sua volta le caratteristiche effettive dell’area espropriata, consistendo nella mera mediazione tra il valore dei suoli agricoli, la cui riferibilità al fondo di proprietà dell’attore risulta incerta, in virtù delle considerazioni che precedono, e quello dei suoli edificabili, sicuramente non pertinente alla fattispecie in esame, e prescindendo da una specifica individuazione delle concrete possibilità di utilizzazione dell’immobile e della loro incidenza sulla valutazione di mercato dell’immobile;

che la sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Catanzaro, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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