Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13766 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 03/07/2020), n.13766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16666/2018 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Maurizio Discepolo,

domiciliato in Roma, via Conca d’Oro n. 184/190;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/11/2019 dal Dott. PIERPAOLO GORI.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con decreto n. 5656, depositato in data 4.5.2018 nella controversia iscritta al RGN 8012/2017, il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso proposto da A.A., nato in (OMISSIS), in impugnazione del provvedimento di diniego della protezione emesso il 16.6.2017, notificatogli il 23.11.2017 dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona.

– Il ricorrente chiedeva il riconoscimento del suo diritto allo status di rifugiato o, in subordine, alla protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007 o ancora il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

– Avverso la decisione il richiedente ha notificato in data 4.6.2018 ricorso, affidato a quattro motivi, che illustra con memoria, e il Ministero dell’Interno ha resistito depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, – il richiedente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, e della specifica normativa di settore di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non aver il tribunale esaminato la censura, avanti ad esso sollevata, di nullità e comunque illegittimità del provvedimento di diniego, tradotto nella lingua madre del ricorrente solo nel dispositivo, ma non nella parte motiva con conseguente pregiudizio del suo diritto di difesa.

Il motivo, che si concreta nella deduzione di un vizio processuale di omessa pronuncia, muove da un esatto rilievo, atteso che il tribunale non ha statuito sull’eccezione di nullità del decreto della C.T., puntualmente svolta dal richiedente nel ricorso introduttivo del giudizio.

Va tuttavia ricordato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, in caso di nullità della sentenza per omessa pronuncia, esigenze di economia processuale impongono di evitare la cassazione con rinvio quando, come nella specie, la questione sulla quale si riscontri mancare la pronuncia non richieda accertamenti in fatto e possa pertanto essere decisa (Cass. nn. 21257/014, 21968/015, 11838/017).

Ciò premesso, il motivo deve essere respinto.

La nullità del provvedimento amministrativo emesso dalla Commissione territoriale per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esonera, infatti, il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire: la nullità del provvedimento non rileva dunque in sè, ma solo per le eventuali conseguenze che determina sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa. (Cass. 22 marzo 2017, n. 7385).

In particolare, il richiedente non può genericamente lamentare la violazione dell’obbligo di traduzione, ma deve necessariamente indicare in modo specifico il vulnus determinato dall’atto non tradotto all’esercizio del suo diritto di difesa (cfr. Cass. 27 maggio 2014, n. 11871; Cass. 21 novembre 2011, n. 24543).

– Nel caso in esame, la mancata traduzione del decreto della Commissione Territoriale non ha impedito ad Amran di impugnarlo tempestivamente e di allegare compiutamente dinanzi al tribunalè2è ragioni di fatto e di diritto poste a sostegno delle domande, sulle quali il giudice ha pronunciato.

Va pertanto escluso che il vizio di nullità denunciato abbia arrecato un concreto pregiudizio al diritto di difesa dell’odierno ricorrente; pregiudizio che, peraltro, questi ha solo genericamente invocato.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) e dell’art. 1 A della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, oltre che D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, avendo il tribunale respinto la relativa domanda senza tener conto delle dichiarazioni del ricorrente.

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), artt. 5 e 14 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 oltre che degli artt. 3 e 32 Cost. in materia di protezione sussidiaria, per avere il tribunale escluso, nonostante quanto dichiarato dal ricorrente, che in caso di rientro nel paese di provenienza questi correrebbe il rischio effettivo di subire un danno grave.

Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 349 del 1999, art. 11, lett. c)-ter e art. 28, lett. d) oltre che dell’art. 19, comma 2 CDFUE e degli artt. 3 e 32 Cost., stante l’ingiustificata affermazione del giudice dell’assenza, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, di profili di vulnerabilità generale e personale.

In tutti e tre i motivi, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, il ricorrente lamenta in buona sostanza, in via principale, che il tribunale, pur dando atto della credibilità delle sue dichiarazioni non le abbia poi tenute in alcun conto, e che abbia rigettato le domande con motivazione generica e priva di riferimento alla sua personale vicenda.

Col terzo motivo il ricorrente contesta, inoltre, l’accertamento del tribunale secondo cui non ricorrono i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) in quanto il (OMISSIS) non versa in una situazione di violenza indiscriminata determinata da conflitto armato, e si duole che il suo transito in Libia sia stato ritenuto irrilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Questi due ultimi profili di censura vanno dichiarati inammissibili, in quanto volti ad ottenere una diversa valutazione di circostanze di fatto che il giudice ha compiutamente esaminato.

Le principali ragioni di censura sono invece fondate.

Esse, benchè dedotte sotto il profilo della violazione di legge, denunciano in realtà la mancanza assoluta, nella motivazione del provvedimento, di qualsivoglia concreto esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente e dei documenti da lui prodotti, e vanno quindi riqualificate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5.

L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta, infatti, alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014, Rv. 630239).

– Tanto precisato, va rilevato che il tribunale ha respinto le domande di Amran di riconoscimento dello status di rifugiato od, in subordine, della protezione sussidiaria relativamente alle ipotesi sub lett. a) e b) dell’art. 14 D.Lgs. cit. o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria, limitandosi ad osservare che il ricorrente non risulta riconducibile a quelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento disumano, chele dichiarazioni del ricorrente in merito alle motivazioni che lo avrebbero costretto a lasciare il proprio Paese, anche laddove credibili, restano confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune, atteso che gli aspetti evidenziati in ricorso integrano personali timori privi di concreti elementi di riscontro e, infine, che l’esistenza (nel paese di provenienza) di strumenti istituzionali, o, ancorchè privati, aventi una forma aggregativa ed una funzione di protezione dei propri membri induce a ritenere insussistente una condizione di elevata vulnerabilità.

Sennonchè, poichè il decreto difetta della, quantomeno, concisa esposizione dei fatti allegati a fondamento del diritto preteso (non avendo il giudice in misura apprezzabile fatto riferimento alla storia personale del ricorrente), dette motivazioni si risolvono in formule astratte e stereotipate, valevoli per un numero indefinito di casi, che non consentono di verificare la correttezza del ragionamento logico-giuridico posto a base della decisione.

L’affermazione secondo cui A. avrebbe dovuto richiedere la protezione del suo Paese e attenderne l’esito risulta, di conseguenza, criptica. Si è, in conclusione, in presenza di una tipica fattispecie di motivazione apparente, ovvero di motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – e, anzi, sovrabbondante, laddove il tribunale si dilunga nella descrizione della normativa che disciplina le varie forme di protezione internazionale o umanitaria – risulta tuttavia costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio (cfr., per tutte, Cass. n. 9105/2017) e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6.

L’accoglimento dei motivi nei termini di cui si è detto comporta la cassazione del decreto impugnato, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Ancona in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame del merito della controversia valutando i fatti raccolti nel processo, alla luce della prova logica desunta dagli elementi che compongono le dichiarazioni del richiedente, ritenute credibili.

P.Q.M.

La Corte, accoglie i motivi secondo, terzo e quarto del ricorso nei sensi di cui in motivazione, rigettato il primo, cassa il provvedimento impugnato e rinvia al tribunale di Ancona, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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