Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13764 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/05/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 20/05/2021), n.13764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8124/2019 R.G. proposto da:

M.D. e M.A., rappresentati e difesi

dall’Avv. Giuliano Boschetti, con domicilio eletto in Roma, via

Fosso di Dragoncello, n. 116;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI PORTO VIRO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e

difeso dall’Avv. Luigi Migliorini, con domicilio eletto in Roma, via

F. Confalonieri, n. 5, presso lo studio dell’Avv. Luigi Manzi;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Venezia depositata il 29

gennaio 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio

2021 dal Consigliere Guido Mercolino.

 

Fatto

RILEVATO

che:

M.D. ed M.A., in qualità di eredi di G.A., a sua volta erede di G.G., già proprietario di un’area della superficie di 8.399 mq. sita in (OMISSIS) e riportata in Catasto al foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), convennero in giudizio il Comune di Porto Viro, proponendo opposizione alla stima dell’indennità dovuta per l’espropriazione dell’immobile, disposta con decreto del 23 marzo 2005 ai fini della realizzazione della strada di collegamento tra la (OMISSIS) e lo svincolo tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS);

che si costituì il Comune, ed eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva, nonchè la prescrizione del diritto azionato;

che con ordinanza del 29 gennaio 2019 la Corte d’appello di Venezia ha rigettato la domanda, dichiarando prescritto il diritto all’indennità;

che avverso la predetta ordinanza i M. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi;

che il Comune ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo d’impugnazione i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 29, sostenendo che, nel dichiarare prescritto il diritto all’indennità, l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto dell’avvenuta comunicazione della stima definitiva, per effetto della quale l’opposizione doveva ritenersi ammissibile, trovando applicazione esclusivamente il termine di decadenza previsto dalla predetta disposizione;

che con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 27, comma 1, osservando che, nel qualificare la domanda come azione di determinazione dell’indennità, a causa della mancata notificazione della stima compiuta dalla Commissione espropri, l’ordinanza impugnata non ha considerato che le esigenze di conoscenza dell’atto e certezza dei rapporti giuridici soddisfatte dalla notificazione possono essere garantite anche attraverso la comunicazione a mezzo di posta elettronica certificata;

che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, sono infondati;

che, nel dichiarare prescritto il diritto all’indennità, l’ordinanza impugnata ha correttamente applicato il principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di espropriazione per pubblica utilità, secondo cui il mancato decorso del termine di decadenza per la proposizione dell’opposizione alla stima, dovuto al mancato deposito della relazione della commissione sulla misura definitiva dell’indennità, non spiega alcuna influenza sul termine di prescrizione decennale del diritto all’indennità, essendo il termine decadenziale alternativo, e non cumulativo, rispetto a quello prescrizionale, con la conseguenza che, pur in mancanza del deposito della predetta relazione, l’opposizione alla stima resta proponibile nel termine di dieci anni decorrenti dall’emanazione del provvedimento ablatorio (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 6/03/2017, n. 5517; 23/10/2014, n. 22577; 23/02/2000, n. 2052);

che, ai fini dell’applicazione di tale principio, non assume alcun rilievo la qualificazione della domanda come azione di determinazione dell’indennità, anzichè come opposizione alla stima, dovendosi intendere la predetta alternatività nel senso che, mentre la notificazione della stima effettuata dalla commissione fa sorgere a carico dell’espropriato l’onere di proporre l’opposizione entro il termine di decadenza all’uopo previsto, la cui inosservanza comporta l’inammissibilità dell’azione di determinazione dell’indennità eventualmente proposta in epoca successiva, indipendentemente dal decorso del termine di prescrizione, la scadenza di quest’ultimo, escludendo la sopravvivenza del diritto all’indennità, comporta l’infondatezza dell’opposizione, ancorchè proposta entro il termine di decadenza decorrente dalla successiva notificazione della stima;

che, in contrario, non varrebbe osservare che l’opposizione alla stima è proponibile soltanto a seguito della notificazione della determinazione effettuata dalla commissione, non potendo trovare applicazione, in tal caso, il principio actio nondum nata non praescribitur, dal momento che, pur in mancanza della stima, il diritto all’indennità può essere fatto valere dall’espropriato fin dal momento della sua insorgenza, coincidente con l’emissione del decreto ablatorio, attraverso la proposizione dell’azione di determinazione;

che l’infondatezza dell’opposizione proposta nel rispetto del termine di decadenza ma dopo la scadenza di quello di prescrizione può essere esclusa soltanto nel caso in cui la notificazione dell’indennità determinata dalla competente commissione, pur avendo avuto luogo dopo la predetta scadenza, possa essere interpretata come una manifestazione da parte dell’espropriante della volontà di rinunciare a far valere la prescrizione;

che nella specie, tuttavia, tale interpretazione non è stata prospettata nè dalla Corte territoriale, la quale si è limitata a rilevare che gli espropriati erano venuti a conoscenza della stima ben oltre il decimo anno dalla notificazione del decreto di esproprio, traendone l’unica conseguenza che fino a quella data non avrebbe potuto essere proposta opposizione alla stima, nè dai ricorrenti, i quali si sono limitati ad insistere sulla qualificazione della domanda come opposizione alla stima, nonostante il mancato rispetto delle forme previste dalla legge per la notificazione dell’indennità, senza nulla osservare in ordine alla tardiva effettuazione di tale adempimento;

che con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., comma 4, censurando l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha escluso che la prescrizione fosse stata interrotta dalle lettere raccomandate inviate per conto dei loro danti causa, senza considerare che due delle stesse, risalenti rispettivamente al (OMISSIS) e al (OMISSIS), contenevano una chiara manifestazione della volontà di ottenere la soddisfazione della pretesa azionata, con un’espressa diffida del Comune a richiedere la determinazione dell’indennità definitiva;

che il motivo è inammissibile;

che, al di fuori delle ipotesi tipicamente e specificamente previste dall’art. 2943 c.c., commi 1 e 2, l’idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione costituisce infatti oggetto di un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per vizi logici ed errori giuridici (cfr. Cass., Sez. lav., 21/ 11/2018, n. 30125; Cass., Sez. III, 27/04/2015, n. 8489; 18/09/2007, n. 19359);

che nella specie i predetti vizi non sono stati in alcun modo prospettati dai ricorrenti, i quali si sono limitati ad insistere sull’efficacia interruttiva delle lettere da loro inviate, in tal modo sollecitando una rivisitazione dell’apprezzamento risultante dall’ordinanza impugnata, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni poste a fondamento della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547; 16/12/2011, n. 27197);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

 

 

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