Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13760 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 03/07/2020), n.13760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24577/2018 proposto da:

A.E.H., elettivamente domiciliato in Civitanova

Marche, via G. Matteotti 164, presso lo studio dell’avv. Giuseppe

Lufrano, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12

presso l’1’Avvocatura dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 8644/2018 del Tribunale di Ancora, depositato

il 10/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/11/2019 da Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- A.E.H., di origine (OMISSIS) ((OMISSIS)), ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Ancona avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (diritto di rifugio; protezione sussidiaria) e del riconoscimento della protezione umanitaria.

Con decreto depositato il 10 luglio 2018, il Tribunale ha respinto il ricorso.

2.- Il Tribunale ha rilevato, con riferimento al tema del diritto di rifugio, che il ricorrente “riferisce di un solo evento talmente grave da temere per la propria vita e/o incolumità”; “in realtà, il carattere episodico e occasionale dell’evento porta a escludere una reiterazione da parte degli aggressori; pertanto il timore rappresentato dal richiedente non è giustificato e non può comunque essere sussunto nella fattispecie del diritto al rifugio”.

Difettano d’altra parte – così ha proseguito la pronuncia pure le condizioni prescritte per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Come emerge tra l’altro dal report EASO del settembre 2017, dal report di Amnesty International del 2016/2017 e dal sito Africa Intelligence (20 marzo 2018), le regioni del sud della (OMISSIS) non presentano particolari criticità sotto il profilo della situazione sociale e politica. Non sembra sussistere, d’altro canto, il “rischio che il richiedente sia sottoposto a pena capitale o trattamenti inumani o degradanti nel Paese di origine”.

In punto di protezione umanitaria, il Tribunale ha in particolare rilevato che la “mera promessa di un impiego, peraltro condizionata alla condotta del richiedente e a favorevoli condizioni di mercato, oppure l’assunzione a tempi ridotti con salario al di sotto dell’importo dell’assegno sociale” non può bastare ai fini del riconoscimento della protezione in discorso; comunque – si è anche aggiunto – “ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la prova del raggiungimento di una certa integrazione è necessario, ma non è sufficiente”.

3.- Avverso questo provvedimento E.H. presenta ricorso, affidandosi a un motivo di cassazione.

Il Ministero resiste, con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Col motivo formulato, il ricorrente lamenta, con riferimento al tema della protezione umanitaria, vizio di motivazione apparente, nonchè violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis.

Ad avviso del ricorrente, il Tribunale ha rilasciato, in proposito, una “motivazione stereotipata e carente nelle sue motivazioni, che non sono riferite al caso particolare, ma fanno parte di una serie di rigetti identici”. “Il primo giudice esprime una valutazione prognostica negativa di elevata vulnerabilità motivandola con il fatto che il salario dell’odierno ricorrente, che andrebbe a percepire, sarebbe al di sotto dell’importo dell’assegno sociale. Tale valutazione non può essere condivisa considerato che l’assegno sociale è di poco superiore a quanto andrebbe a guadagnare il ricorrente”.

5.- Il ricorso è inammissibile.

La censura svolta dal ricorrente – di sostanza in sè non particolarmente puntuale, sotto il profilo oggettivo – non risulta in ogni caso confrontarsi con l’intero assetto motivazionale del decreto impugnato. Questo, in effetti, ha anche preso in considerazione il carattere meramente precario del lavoro del richiedente, pure segnalando che, in ogni caso, l’integrazione sociale del richiedente nel Paese di destino non è circostanza in sè stessa sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria.

6.- Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 2.200.00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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