Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13759 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 03/07/2020), n.13759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24504/2018 proposto da:

K.B., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche, via G.

Matteotti 146, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Lufrano, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 9040/2018 del Tribunale di Ancora, depositato

il 16/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/11/2019 da Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- K.B., originario del (OMISSIS), ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Ancona avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (diritto di rifugio; protezione sussidiaria) e del riconoscimento della protezione umanitaria.

Con decreto depositato in data 16 luglio 2018, il Tribunale ha respinto il ricorso.

2.- Il Tribunale ha rilevato, in particolare, come il ricorrente non abbia allegato di “essere affiliato politicamente o di avere preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, nè di appartenere a una minoranza etnica e/o religiosa oggetti di persecuzione, nè lo stesso risulta riconducibile a quella categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano”; nei fatti, comunque, le dichiarazioni del richiedente, “anche laddove credibili”, rimangono “confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune”.

Pure difettano – ha aggiunto la pronuncia – le condizioni prescritte per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Come emerge tra l’altro dal report EASO del marzo 2017 e dal report di Amnesty International del gennaio 2018, il Paese del (OMISSIS) non presenta, nell’attuale, particolari criticità sotto il profilo della situazione sociale e politica. Non risulta sussistere, d’altro canto, il “rischio che il richiedente sia sottoposto a pena capitale o trattamenti inumani o degradanti nel Paese di origine”.

In punto di protezione umanitaria, il Tribunale ha rilevato che “non si ravvisano condizioni individuali di elevata vulnerabilità”; e pure ha precisato che “il richiedente non ha dato prova di avere seriamente intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativa”. E ha anche osservato che la “mera promessa di un impiego, peraltro condizionata alla condotta del richiedente e a favorevoli condizioni di mercato, oppure l’assunzione a tempi ridotti con salario al di sotto dell’importo dell’assegno sociale” non può bastare ai fini del riconoscimento della protezione in discorso; comunque – si è altresì aggiunto – “ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la prova del raggiungimento di una certa integrazione è necessario, ma non è sufficiente”.

3.- Avverso questo provvedimento il richiedente presenta ricorso, affidandosi a due motivi di cassazione.

Il Ministero resiste, con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1.- Col primo motivo, il ricorrente lamenta “violazione e mancata applicazione dell’art. 112 c.p.c.”, “non avendo il giudice di merito riferito” – come per contro era tenuto a fare – “delle dichiarazioni del cittadino straniero incidenti sulle ipotesi normative di protezione internazionale, ove, come nella specie, voglia confutarne l’adeguatezza e la coerenza”.

4.2.- Col secondo motivo, il ricorrente assume vizio di motivazione apparente relativamente alle richieste di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria, nonchè violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis. In proposito, il ricorrente segnala in particolare che “il primo giudice esprime una valutazione prognostica negativa di elevata vulnerabilità motivandola con il fatto che il salario dell’odierno ricorrente, che andrebbe a percepire, sarebbe al di sotto dell’importo dell’assegno sociale. Tale valutazione non può essere condivisa considerato che l’assegno sociale è di poco superiore a quanto andrebbe a guadagnare il ricorrente”.

5.- Il ricorso è inammissibile.

5.1.- Il primo motivo si manifesta, per più versi, non rispettoso del pur necessario requisito della autosufficienza (cfr. la norma dell’art. 366 c.p.c.).

Da un lato, il motivo non riporta il testo delle dichiarazioni del richiedente, che assume il decreto abbia trascurato: limitandosi ad accennare, in termini decisamente generici, ai problemi (di “vita o galera”) che correrebbero in (OMISSIS) i “debitori di cospicue cifre di denaro” e al “periodo di permanenza” del richiedente in Libia, Paese che avrebbe scelto come proprio luogo di stabile insediamento.

Dall’altro, il motivo non enuncia le ragioni per cui la norma dell’art. 112 c.p.c. dovrebbe assumere la valenza che, in punto di diritto, lo stesso intende assegnarle. Indicazione ancor più necessaria, nel caso concreto, posto che il decreto impugnato non manca di pronunciarsi su tutte le domande che gli stono state proposte (cfr. sopra, il n. 2).

5.2.- Quanto poi al secondo motivo, si deve osservare che la censura svolta da ricorrente – di sostanza in sè non particolarmente puntuale, sotto il profilo oggettivo – non risulta in ogni caso confrontarsi con l’intero assetto motivazionale del decreto impugnato. Questo, in effetti, ha anche preso in considerazione il carattere meramente precario del lavoro del richiedente, pure segnalando che, in ogni caso, l’integrazione sociale del richiedente nel Paese di destinazione non è circostanza in sè stessa sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria.

6.- Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 2.200.00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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