Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13756 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 03/07/2020), n.13756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20650/2018 proposto da:

T.F., elettivamente domiciliato in Pesaro, via Castelfidardo

26, presso lo studio dell’avv. Antonio Fraternale, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore

(OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 6967/2018 del Tribunale di Ancona, depositato

il 2/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/11/2019 da Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- T.F., di origine (OMISSIS) ((OMISSIS)), ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Ancona avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (diritto di rifugio; protezione sussidiaria) e del riconoscimento della protezione umanitaria.

Con decreto depositato il 2 giugno 2018, il Tribunale ha respinto il ricorso.

2.- Il Tribunale ha rilevato, in particolare, come nella specie difettino le condizioni occorrenti per l’accoglimento della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato: “le dichiarazioni del ricorrente in merito alle motivazioni che lo avrebbero costretto a lasciare il proprio Paese, anche laddove credibili, restano confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune, atteso che gli aspetti evidenziati in ricorso integrano personali timori privi di elementi concreti di riscontro”.

Difettano altresì – ha proseguito la pronuncia – pure le condizioni prescritte per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Come emerge tra l’altro dal report EASO del settembre 2017, dal report di HRW del 2017 e dal sito di African Intelligence (20 marzo 2018), le regioni del sud della (OMISSIS) non presentano particolari criticità sotto il profilo della situazione sociale e politica. Non sembra sussistere, d’altro canto, il “rischio che il richiedente sia sottoposto a pena capitale o trattamenti inumani o degradanti nel Paese di origine”.

In punto di protezione umanitaria, il Tribunale ha rilevato che “dai documenti in atti non si evince nessuno sforzo serio compiuto dal richiedente ai fini di un’effettiva integrazione nel tessuto socioeconomico nazionale”. “Va scrutinata criticamente”, d’altra parte, “la mera promessa di un impiego, peraltro condizionata alla condotta del ricorrente e a favorevoli condizioni di mercato (il contratto in essere è a tempo per alcuni mesi)”.

3.- Avverso questo provvedimento T.F. presenta ricorso, affidandosi a due motivi di cassazione.

4.- Il Ministero non ha svolto difese nel presente grado del giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.- Col primo motivo, il ricorrente lamenta, con riferimento al tema della protezione sussidiaria, la violazione della norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Sostiene dunque il ricorrente che, nella specie, si è configurato un “rischio di morte proveniente da organo non statuale (nel caso in parola, i membri del gruppo etnico antagonista)”, richiamando in proposito un brano del racconto effettuato dal richiedente (“c’erano degli scontri per i terreni, dove veniva uccisa la gente. La gente scappava. lo sono stato ferito. Per evitare di essere ucciso, sono scappato”).

Il Tribunale ha errato a non sussumere tale fattispecie nell’ambito norma dell’art. 14, lett. a) (“ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte”). Non è “francamente comprensibile” – così si argomenta – “il riconoscimento di una tutela a chi rischi la tortura o, ad esempio, di subire condizioni carcerarie degradanti (art. 14, lett. b.) e non a chi rischi di essere ucciso da un agente non statuale”.

6.- Il motivo non merita di essere accolto.

Va premesso al riguardo che, dato il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. c. la fattispecie concreta, rilevante in relazione alla norma dell’art. 14, lett. a), ben può essere determinata anche da comportamenti provenienti da organizzazioni non statali.

Tuttavia, si deve pur sempre trattare di una minaccia – o “condanna” – di morte comminata da una organizzazione potenzialmente in grado di tradurla in atto, anche in ragione del fatto che le autorità statali interessate non risultano in grado di fornire un adeguato livello di sicurezza al riguardo (cfr. ancora la norma dell’art. 5, comma 1).

Pur sempre occorre, altresì, che la minaccia in questione implichi un coinvolgimento diretto e immediato della persona del richiedente: che si tratti, cioè, di un rischio “individualizzato” (cfr., per l’analisi di quest’ultimo profilo, Cass., 20 giugno 2018, n. 16275; Cass., 21 giugno 2019, n. 15794); come pure che venga a comportare un rischio effettivo, cioè concreto, per il richiedente medesimo (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e).

Nel caso di specie, peraltro, il ricorrente si limita ad allegare, e in termini affatto generici, la sussistenza di “scontri” intervenuti tra delle opposte fazioni in relazione a non precisati “terreni”. Senza che neppure emerga – dallo svolgimento del motivo – di che fazioni si tratti, a quale fazione appartenga il richiedente e che ruolo questi abbia mai avuto nel contesto della vicenda.

7.- Il secondo motivo di ricorso assume, per il tema della protezione umanitaria, violazione delle norme del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il ricorrente censura la decisione del Tribunale perchè questo non ha tenuto in conto la “dedotta esistenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato”, “la perfetta conoscenza della lingua italiana scritta e parlata”, il fatto che il richiedente sia “mediatore culturale presso l’associazione “(OMISSIS)””.

8.- Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente si limita infatti ad allegare le dedotte circostanze, senza riportare gli atti e i modi in cui le avrebbe introdotti nel giudizio del merito. Come senz’altro avrebbe dovuto fare (ex art. 366 c.p.c.), anche in ragione del fatto che il decreto impugnato fa esplicito riferimento alla presenza di una “mera e condizionata promessa di impiego”.

9.- Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Non si deve provvedere alla liquidazione delle spese di giudizio, perchè il Ministero non si è costituito.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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