Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13740 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 03/07/2020), n.13740

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12875/2018 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in Roma Viale Bruno Buozzi, 53,

presso lo studio dell’avvocato Sparvieri Cristina, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Galletti Guido;

– ricorrente –

contro

Prefettura di Padova, Questura di Padova;

– intimato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di PADOVA, depositata il

20/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/10/2019 da Dott. RUBINO LINA;

udito l’Avvocato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello.

Fatto

FATTI DI CAUSA

rilevato che

V.G., nato in (OMISSIS), propone ricorso per cassazione articolato in due motivi nei confronti della Prefettura e della Questura di Padova, avverso l’ordinanza del Giudice di Pace di Padova, resa il 20.2.2018, con la quale veniva rigettata la sua opposizione avverso il decreto di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera, emesso dal Prefetto di Padova in data 22.11.2017, notificato al ricorrente in pari data, cui aveva fatto seguito il suo trattenimento presso il centro di permanenza per i rimpatri di (OMISSIS), in attesa dell’esecuzione del decreto;

con tale provvedimento il giudice di pace convalidava il decreto di espulsione, affermando che sussisteva il pericolo che lo straniero si sottraesse al rimpatrio, non avendo fornito alcuna prova dell’esistenza di legami familiari in Italia e non essendo stato in grado di indicare alcun domicilio o alloggio all’atto del fermo; le intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Ritenuto che:

con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 134 c.p.c., comma 1 e l’omessa o insufficiente motivazione in ordine alle questioni di fatto o di diritto che hanno determinato la decisione, anche in relazioni alle deduzioni difensive svolte in sede di ricorso in ordine alla natura ed effettività dei suoi legami sul territorio nazionale;

con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’illegittimità del decreto impugnato (rectius ordinanza, o forse fa ancora rif al decreto di espulsione) e denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 13, comma 4 bis del T.U. Immigrazione e la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5, per non avergli concesso un termine per la partenza volontaria, pur esistendone i requisiti;

il primo motivo di ricorso è inammissibile atteso che, pur formalmente denunciando la violazione del contenuto-forma dell’ordinanza previsto dall’art. 134 c.p.c., sembra sostanziarsi in una critica alla motivazione adottata, censurando peraltro presunte omissioni senza però allegare dove e quando nel corso del processo le relative questioni (pericolosità sociale, legami familiari, personalità del soggetto) siano state in precedenza introdotte, in presenzà del resto di un provvedimento adottato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b), (mancanza permesso di soggiorno), che è elemento autonomamente valutabile ai fini della declaratoria di legittimità del provvedimento prefettizio. La motivazione del giudice di pace, benchè stringata, non è meramente

apparente e dà conto del fatto che il ricorrente non è stato in grado di provare i legami in Italia; nè risulta alla prefettura ne avesse riscontro, nè il ricorrente indica quali fatti specifici e decisivi, da lui sottoposti al giudice, non siano stati presi in considerazione a questo fine;

il secondo motivo di ricorso è infondato, atteso che il provvedimento appare conforme all’insegnamento di questa Corte secondo cui in tema di immigrazione, il provvedimento di espulsione dello straniero è obbligatorio a carattere vincolato, sicchè il giudice ordinario è tenuto unicamente a controllare, al momento dell’espulsione, l’assenza del permesso di soggiorno perchè non richiesto (in assenza di cause di giustificazione), revocato, annullato ovvero negato per mancata tempestiva richiesta di rinnovo, mentre è preclusa ogni valutazione, anche ai fini dell’eventuale disapplicazione, sulla legittimità del relativo provvedimento del questore(trattandosi di sindacato che spetta unicamente al giudice amministrativo, il giudizio innanzi al quale non giustifica la sospensione di quello innanzi al giudice ordinario attesa la carenza, tra i due, di un nesso di pregiudizialità giuridica necessaria, nè la relativa decisione costituisce in alcun modo un antecedente logico rispetto a quella sul decreto di espulsione (Sez. 6-1, Ordinanza n. 12976 del 22/06/2016);

non vi è luogo per provvedere sulle spese di questo giudizio, non avendo gli intimati svolto difese;

sussistono i presupposti oggettivi, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2024, art. 13 comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ma il procedimento risulta esente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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