Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1374 del 23/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1374 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 19970-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585 – società con socio unico in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO
LUIGI, rappresentata e difesa dall’avvocato GRANOZZI
GAETANO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
TROVATO MARIA TERESA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo studio dell’avvocato
CICONTE NICOLA, rappresentata e difesa dall’avvocato RIZZA
VINCENZO, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 23/01/2014

avverso la sentenza n. 681/2010 della CORTE D’APPELLO di
CATANIA dell’8.7.2010, depositata il 27/08/2010; .
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIUSEPPE

FATTO E DIRITTO
La società Poste Italiane s.p.a. ha impugnato la sentenza della Corte
d’appello di Catania del 27 agosto 2010 che ha dichiarato nullo il
termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato dal 3
giugno al 30 settembre 2000 con Maria Teresa Trovato “per esigene
eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti
occupnionali in corso…” e l’ha condannata al risarcimento dei danni pari
alle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora.
La prima questione posta col ricorso (primo motivo) delle Poste
Italiane, notificato in data 22-29 luglio 2010 (in ordine al quale
l’intimata si è difesa in questa sede con rituale controricorso), riguarda
la risoluzione per mutuo consenso del rspporto, questione che sarebbe
stata erroneamente ritenuta infondata dalla Corte territoriale, in
violazione dell’art. 1372, primo comma, 1175, 1375 e 2697 c.c.
In proposito, richiamati i principi ripetutamente ed esaustivamente
affermati da questa Corte, secondo cui: a) in via di principio è
ipotizzabile una risoluzione del rapporto di lavoro per fatti concludenti
(dr., ad es., Cass. 6 luglio 2007 n. 15264, 7 maggio 2009 n. 10526); b)
l’onere di provare circostanze significative al riguardo grava sul datore
di lavoro che deduce la risoluzione per mutuo consenso gr. ad es.
Cass. 2 dicembre 2002 n. 17070 e 2 dicembre 2000 n. 15403); c) la
relativa valutazione da parte del giudice costituisce giudizio di merito;
d) la mera inerzia del lavoratore nel contestare la clausola appositiva
Ric. 2011 n. 19970 sez. ML – ud. 07-11-2013
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CORASANITI.

del termine, così come la ricerca medio tempore di una occupazione,
non sono sufficienti a far ritenere intervenuta la risoluzione per mutuo
consenso; deve ritenersi che la Corte di merito si sia attenuta a tali
principi nel valutare la situazione sottoposta al suo esame, con giudizio
di merito ispirato a valutazioni di tipicità sociale.

La seconda questione posta col ricorso (2° e 3° motivo) investe la
valutazione di illegittimità e quindi la dichiarazione di nullità del
termine apposto al contratto di lavoro subordinato intercorso tra le
parti: in proposito la ricorrente sostiene che la Corte territoriale
avrebbe interpretato erroneamente e in maniera immotivata gli accordi
sindacali al riguardo stipulati, violando le norme legali di ermeneutica
contrattuale.
Anche tali censure sono nel loro complesso manifestamente infondate.
Va infatti qui ribadita la consolidata monolitica giurisprudenza di
questa Corte (g%., per tutte, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866 e 20 marzo
2009 n. 6913), formatasi in ordine all’esame di fattispecie analoghe alla
presente, coinvolgenti l’interpretazione delle norme contrattuali
collettive indicate, la quale ha ripetutamente confermato le decisioni
dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto
dopo il 30 aprile 1998 a contratti di lavoro stipulati, in base alla
previsione delle “esigenze eccezionali” di cui all’accordo integrativo del
25 settembre 1997, ritenendo che i contraenti collettivi, esercitando i
poteri loro attribuiti dall’art. 23 della legge n. 56/1987, abbiano
convenuto di limitare il riconoscimento della sussistenza della
situazione indicata per far fronte alla quale l’impresa poteva
legittimamente procedere ad assunzioni di personale con contratto a
tempo determinato unicamente fino al 30 aprile 1998, con la

Ric. 2011 n. 19970 sez. ML – ud. 07-11-2013
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Il motivo appare pertanto manifestamente infondato.

conseguente illegittimità dei contratti stipulati successivamente a tale
data.
Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di
discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nel ricorso
sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte

talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai
propri precedenti, sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della
funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme
interpretazione della legge.
Col quarto motivo di ricorso, la società investe, in via subordinata, la
pronuncia quanto alle conseguenze economiche tratte dalla ritenuta
conversione a tempo indeterminato del contratto di lavoro tra le parti
e, infine, col quinto motivo, chiede, sempre in via subordinata,
l’applicazione dello

ius superveniens

con efficacia retroattiva

rappresentato dall’art. 32, commi 5-7 della legge n. 183 del 2010.
La censura che investe le conseguenze risarcitorie della
confermata illegittimità del termine impone alla Corte di applicare la
legge n. 183 del 2010, che all’art. 32, commi 5-7, che ha dettato
retroattivamente una nuova disciplina risarcitoria (cfr Cass.
n. 16266 de/26/07/2011).
Ed infatti nel giudizio di legittimità, lo ius superveniens, che introduca
una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare
applicazione alla condizione, necessaria, che la normativa sopraggiunta
sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i
principi generali dell’ordinamento in materia di processo per
cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di
legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure
espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – richiedono che il
Ric. 2011 n. 19970 sez. ML – ud. 07-11-2013
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nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque

motivo del ricorso, con cui è investito, anche indirettamente, il tema
coinvolto nella disciplina sopravvenuta, oltre che sussistente sia
ammissibile secondo la disciplina sua propria. Per conseguenza – ove
sia invocata l’applicazione dell’art. 32, commi 5, 6 e 7, legge n.183 del
2010 con riguardo alle conseguenze economiche della dichiarazione di

necessario che i motivi del ricorso investano specificamente, come è
nel caso in esame, le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del
termine.
In conclusione facendo proprie le valutazioni già espresse nella
relazione redatta ai sensi dell’art. 375 c.p.c. il ricorso va accolto nei
termini su esposti e la sentenza deve essere cassata in punto
risarcimento. Le parti vanno rimesse davanti alla Corte d’appello di
Catania, in diversa composizione, che provvederà alla liquidazione
dell’indennità onnicomprensiva prevista dall’art. 32 comma 5 1. n. 183
del 2010 sulla base dei parametri indicati dalla norma.
La Corte del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del
presente giudizio di cassazione.
PQM
LA CORTE
Accoglie in quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla
Corte d’appello di Catania in diversa composizione che provvederà
anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma il 7 novembre 2013

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nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro – è

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