Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13736 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 20/05/2021), n.13736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10105-2020 proposto da:

D.M.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

ANGELICO N. 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE;

– intimati –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI ROMA;

– intimata –

avverso il decreto 5911/2020 dell RIBUNALE di ROMA, depositato il

24/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con decreto n. 5911/2020 pubblicato il 24-2-2020 il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto da D.M.O., cittadino della Guinea, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della relativa domanda da parte della competente Commissione territoriale. Il Tribunale ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito dal suo Paese per timore di essere arrestato e condannato a morte perchè aveva ucciso due persone mentre tentava di difendere sua madre. Per quanto ancora di interesse, il Tribunale non ha ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non ravvisando alcun profilo di vulnerabilità, avuto anche riguardo alla situazione generale e geo-politica della Guinea, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza, e all’assenza di adeguata integrazione sociale e lavorativa del richiedente in Italia.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. I motivi di ricorso sono così rubricati: 1. “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il Tribunale ha errato a non applicare al ricorrente la protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario. Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per mancata cooperazione istruttoria”; 2. “Violazione dell’art. 2 Cost. e del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966, art. 11 (ratificato con L. n. 881 del 1977), violazione del CEDU, art. 8, in relazione in particolare al T.U. Immigrazione, art. 5, comma 6, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, violazione del T.U. Immigrazione, art. 19”. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’assenza di comparazione tra la sua situazione attuale e quella in cui verrebbe a trovarsi in caso di rimpatrio, avendo la Corte territoriale omesso ogni istruttoria in ordine al rischio per il ricorrente di poter essere condannato a morte per i reati commessi. Rimarca di aver lasciato il suo Paese nel 2014, all’età di 18 anni, e di essere orfano, di vivere in Italia da quattro anni e di avere dimostrato di volersi integrare, frequentando corsi di lingua e reperendo attività di lavoro regolare, seppure a tempo determinato. Con il secondo motivo deduce che la misura di protezione richiesta si applica ad una platea di soggetti più vasta rispetto a quella indicata dai Giudici di merito, ribadisce l’assenza di comparazione nel senso indicato nella pronuncia di questa Corte n. 4455/2018, poichè la condizione di vulnerabilità consegue anche da condizioni di vita inadeguate e non sufficienti per un’esistenza dignitosa e dall’incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita.

4. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, sono inammissibili.

4.1. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

4.2. Ciò posto, le censure non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato e sono prive di specifiche attinenza al decisum. In particolare il ricorrente, dolendosi del diniego della protezione umanitaria, assume genericamente di correre il rischio, in caso di rimpatrio, di essere condannato a morte per i reati commessi, senza svolgere alcuna critica al giudizio di non credibilità della sua vicenda personale espresso dal Tribunale. I Giudici di merito hanno escluso la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva, hanno esaminato la documentazione medica prodotta dal ricorrente, da cui risultava solo un problema di masticazione, ed hanno rimarcato che il richiedente non aveva allegato di aver avuto postumi traumatici dovuti al percorso migratorio. Il Tribunale ha dato altresì atto della prestazione da parte del ricorrente di attività lavorativa retribuita, ma in forza di rapporti a tempo determinato cessati nel 2018, e ha ritenuto non dimostrata un’effettiva e stabile integrazione del richiedente nel tessuto sociale.

Il ricorrente si limita a svolgere deduzioni generiche, senza confutare specificamente il percorso argomentativo del provvedimento impugnato, nè specificare con precisione perchè sia integrato, chiedendo, inammissibilmente, la rivisitazione del merito.

Se non è dimostrata l’effettiva e stabile integrazione nel territorio nazionale, come afferma il Tribunale con accertamento di fatto motivato in modo idoneo, manca il termine di comparazione rispetto a quello costituito dalla situazione del Paese di origine (Cass. S.U. n. 29459/2019 e n. 4455/2018).

5. Nulla va disposto per le spese del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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