Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13735 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 03/07/2020), n.13735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14369-2019 proposto da:

M.D.S.L.E.V., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI DARDANELLI 46, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

SPINELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI EDOARDO

FERLITO;

– ricorrente –

contro

LLOYD’S OF LONDON ASSICURAZIONI, in persona del Procuratore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA

278, presso lo studio dell’avvocato MARCO FERRARO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO MARIA

BAGNARDI;

– controricorrente –

contro

L.M.A., MI.AN.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 330/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 14/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME

GUIZZI STEFANO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che M.d.S.L.E. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 330/19, del 14 febbraio 2019, della Corte di Appello di Catania, che – rigettando il gravame dallo stesso esperito avverso la sentenza n. 4936/14, del 30 dicembre 2014, del Tribunale di Catania – ha confermato, per quanto qui ancora di interesse, la condanna dell’odierno ricorrente a risarcire il danno cagionato a L.M.A., nonchè il rigetto della domanda di manleva proposta dall’odierno ricorrente verso i Lloyd’s of London, condannandolo alle spese del grado nei confronti delle parti costituite;

– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce di essere stato convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale catanese, dalla L., la quale lamentava di aver subito l’evizione di un’unità immobiliare, assegnata a pubblico incanto in forza di un pignoramento la cui trascrizione non le era stata segnalata nè dalla parte venditrice, tale Mi.An., nè dal notaio rogante l’atto di compravendita, vale a dire il predetto M.d.S.L.;

– che, inoltre, avendo l’allora attrice chiesto dichiararsi il M.d.S.L. e la Mi. responsabili, in solido, del danno subito, l’odierno ricorrente veniva autorizzato a chiamare in causa, in manleva, la propria compagnia assicuratrice, ovvero i Lloyd’s of London;

– che, nella contumacia della Mi., il primo giudice condannava, solidalmente, i convenuti a risarcire il danno, stimato nella misura di Euro 94.500,00, oltre interessi e rivalutazione, nonchè a rifondere le spese processuali sostenute dall’attrice, rigettando la domanda di garanzia, sul presupposto che la polizza non operasse con riferimento al caso in cui il Notaio avesse omesso le visure (e non essendo stata raggiunta prova in ordine alla dispensa dall’effettuarle), compensando integralmente, quanto al rapporto processuale tra il M.d.S.L. e i Lloyd’s of London, le spese di lite;

– che esperito gravame dal solo M.d.S.L., il giudice di appello lo rigettava, provvedendo nei termini dianzi indicati;

– che avverso la decisione della Corte etnea ricorre per cassazione il M.d.S.L., sulla base di quattro motivi;

– che il primo motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione all’art. 161 c.p.c. – nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla quantificazione del danno, o meglio sul motivo volto a contestare detta quantificazione, censura che era stata basata sul rilievo che il danno da trascrizione immobiliare pregiudizievole non si identifica col prezzo pagato dall’acquirente, allorchè lo stesso, all’atto della stipula, risulti interamente pagato;

– che il secondo motivo deduce “travisamento del contenuto della prova orale, falsa interpretazione delle evidenze istruttorie e contraddittorietà della sentenza impugnata”, censurando la sentenza impugnata per aver escluso l’esistenza di un accordo verbale di esonero dalle visure sulla base della ritenuta inattendibilità della teste Ma.An., la quale avrebbe anche confermato la conoscenza, da parte dell’attrice L., dell’avvenuta trascrizione;

– che il terzo motivo lamenta “illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza con riferimento all’invocata garanzia assicurativa”, per essersi ritenuta operante l’esclusione della stessa, costituita dalla mancata estrazione delle visure da parte del professionista, quantunque, secondo l’odierno ricorrente, la circostanza che le medesime fossero state sia richieste al professionista che dallo stesso estratte, salvo poi le parti chiedere di non tenerne conto, fosse stata confermata dalla teste Ma., la cui asserita inattendibilità avrebbe portato, erroneamente, la Corte territoriale ad escludere quella dispensa dall’effettuare le visure che, a termini di contratto, avrebbe reso la polizza nuovamente operativa;

– che con il quarto motivo il ricorrente si duole della “erronea statuizione afferente i capi di sentenza per spese di lite”, in quanto l’istruttoria svolta “e la corretta interpretazione della stessa” avrebbero dovuto indurre i giudici del doppio grado di merito a condannare la parte attrice in primo grado;

– che hanno resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, i Lloyd’s of London, esclusivamente con riferimento al terzo motivo (il solo che concerna la domanda di manleva), assumendone, preliminarmente, l’inammissibilità ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., ricorrendo nel presente caso l’ipotesi della cd. “doppia conforme di merito”, e comunque la non fondatezza, non essendo stata, nella specie, raggiunta alcuna prova della dispensa del notaio dall’effettuazione delle visure;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

– che entrambe le parti hanno depositato memorie, insistendo nelle rispettive argomentazioni, nonchè formulando, il ricorrente, rilievi -che il collegio ritiene di non condividere – alla proposta avanzata dal consigliere relatore.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è manifestamente infondato;

– che il primo motivo è inammissibile, non confrontandosi con la effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata, dal momento che non vi è stata alcuna “omessa pronuncia” sul motivo di gravame relativo alla quantificazione del danno, ma la declaratoria di inammissibilità dello stesso, sul presupposto che l’allora appellante si fosse limitato – nel contestare la perizia estimativa di controparte (sulla cui base il primo giudice aveva determinato il “quantum debeatur”) – alla sola parte “demolitiva” della censura, senza che ad essa facesse seguito “una parte costruttiva che (previa indicazione degli errori estimativi e del perchè la valutazione sarebbe soprastimata) indichi i nuovi e diversi valori”;

– che, pertanto, trova applicazione, in relazione al presente motivo dell’odierno atto d’impugnazione, il principio secondo cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso), (o, come nella specie, del singolo motivo), “rilevabile anche d’ufficio” (Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01);

– che, d’altra parte, a superare tale esito non vale il rilievo – sul quale insiste il ricorrente, in particolare nella memoria depositata in vista dell’adunanza camerale – secondo cui la declaratoria di inammissibilità “celerebbe” un’omessa pronuncia sulla censura formulata “nella comparsa conclusionale”, giacchè, tale atto defensionale non era certamente idoneo a veicolare motivi di gravame, donde l’inammissibilità della censura di legittimità che si dolga dell’omessa pronuncia su di essi (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 5 agosto 2005, n. 16582, Rv. 582835-01);

– che il secondo motivo di ricorso non è fondato, dal momento che il ricorrente si duole della valutazione di inattendibilità della teste Ma. operata (anche) dalla Corte d’Appello, ipotizzando la violazione dell’art. 116 c.p.c., e lamentando il “travisamento del contenuto della prova orale”, senza considerare che:

— “in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4), solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01), e non è, pertanto, invocabile – come si insiste, invece, nel sottolineare nella già citata memoria defensionale – in caso di un cattivo uso del potere di “prudente apprezzamento” delle prove;

— che l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito, investendo “l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare”, si caratterizza proprio “perchè non è mai sindacabile in sede di legittimità”, in ciò distinguendosi dall’errore di percezione, che “cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 c.p.c., norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte” (Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01), restando, peraltro, inteso che il cd. “errore percettivo” che dà luogo al “travisamento della prova” richiede “una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale” (atto del quale, nel presente caso, il ricorrente non fa neppure cenno), evenienza, quest’ultima, ipotizzabile solo quando “l’informazione probatoria riportata ed utilizzata dal giudice per fondare la decisione sia diversa ed inconciliabile con quella contenuta nell’atto e rappresentata nel ricorso o addirittura non esista” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 25 maggio 2015, n. 10749, Rv. 635564-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2020, n. 1163, Rv. 656633-02);

– che anche il terzo motivo non è fondato, dal momento che l’esclusione della garanzia assicurativa, lungi dall’essere espressione di una motivazione illogica e contraddittoria, appare la coerente conseguenza del mancato raggiungimento della prova in ordine alla dispensa, del notaio, dall’effettuazione delle visure, il tutto, peraltro, al netto del rilievo che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01), sicchè lo scrutinio di questa Corte è ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, cioè a dire quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-0), o perchè affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 65001801);

– che in senso contrario non vale il rilievo – svolto dal ricorrente, nuovamente nella memoria depositata per replicare alla proposta di rigetto del ricorso formulata dal consigliere relatore – secondo cui il giudice di appello sarebbe pervenuto all’esito dell’esclusione della garanzia assicurativa sulla base di una “interpretazione” illogica e contraddittoria del contratto di assicurazione;

– che, invero, la Corte territoriale, solo dopo aver escluso – ritendendo, come detto, la teste Ma. non attendibile – che vi fosse prova dell’avvenuta estrazione delle visure, ha aggiunto che, in ogni caso, la pattuizione contrattuale dovesse intendersi nel senso che la sola estrazione delle visure, in difetto di idonea informazione data al cliente circa il loro contenuto, non fosse sufficiente ai fini dell’operatività della garanzia assicurativa;

– che essendovi, pertanto, sul punto una doppia “ratio decidendi”, il rigetto della censura volto a contestare la valutazione di inattendibilità della teste Ma. rende per ciò solo inammissibile la censura che investe l’altra “ratio” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493, Rv. 648023-01), e ciò a prescindere dal rilievo che la denuncia di un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale implica, per il ricorrente, “l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (così, tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2017, n. 28319, Rv. 646649-01);

– che, infine, il quarto motivo è inammissibile, non sostanziando alcuna specifica censura in ordine alla regolamentazione delle spese di lite (censura, peraltro, ipotizzabile entro ristretti limiti, visto che “la liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali”; cfr. Cass. Sez. 1, sent. 4 luglio 2011, n. 14542, Rv. 618601-01), essendosi il ricorrente limitato ad affermare la necessità di un diverso “assetto” delle stesse, quale conseguenza dell’accoglimento del ricorso, donde l’applicazione del principio secondo cui, essendo il motivo d’impugnazione “costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea”, nonchè traducendosi “in una critica della decisione impugnata”, esso non può “prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4)” (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01);

– che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo;

– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando M.d.S.L.E. a rifondere ai Lloyd’s of London le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, più spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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