Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13734 del 08/06/2010

Cassazione civile sez. II, 08/06/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 08/06/2010), n.13734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.S.S., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. AMATO Oronzo, elettivamente

domiciliato in Roma, presso lo studio dell’Avv. Cristina Varano, via

Emilio Faà di Bruno, n. 4;

– ricorrente –

contro

REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza del Giudice di pace di Trinitapoli in data 28

novembre 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 2

8 gennaio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha

concluso per la trattazione del ricorso in pubblica udienza;

sentito l’Avv. Oronzo Amato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che D.S.S. ha proposto opposizione avverso l’ordinanza- ingiunzione in data 29 settembre 2004 con cui la Regione Puglia gli aveva intimato il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 15.434,30 per avere proceduto – come accertato in data 2 febbraio 2000 dal Comando della stazione forestale di Manfredonia e come contestato il successivo 7 aprile 2000 – all’estirpazione di 1015 piante d’olivo, senza la prescritta autorizzazione;

che, nella resistenza della Regione Puglia, l’adito Giudice di pace di Trinitapoli ha rigettato l’opposizione, rilevando: (a) che l’ordinanza-ingiunzione è stata emessa tempestivamente, non essendo applicabili i termini di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241; (b) che il verbale di contestazione contiene una sufficiente descrizione del fatto, idonea ad assicurare la tempestiva difesa dell’interessato;

(c) che l’estirpazione degli olivi ad opera del D.S. emerge dalla documentazione in atti (certificazione dell’Aprol di Foggia;

rilievo aerofotogrammetrico) e dal verbale di visita ispettiva dei forestali, i quali hanno accertato che dal terreno sporgevano ancora i resti degli apparati radicali;

che per la cassazione della sentenza del Giudice di pace il D. S. ha proposto ricorso, sulla base di otto motivi;

che l’intimata Regione Puglia non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il primo motivo – con cui ci si duole che il Giudice di pace non abbia dichiarato la nullità dell’ordinanza-ingiunzione, in quanto emessa tardivamente, oltre il termine di trenta giorni dalla chiusura delle indagini, come previsto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2, comma 3 – è infondato;

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un., 27 aprile 2006, n. 9591; Sez. 1^, 16 novembre 2006, n. 24436; Cass., Sez. 5^, 28 luglio 2009, n. 17526), la disposizione di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2, comma 3, tanto nella sua originaria formulazione, applicabile ratione temporis, secondo cui il procedimento amministrativo deve essere concluso entro il termine di trenta giorni, quanto nella formulazione risultante dalla modificazione apportata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 36 bis, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, secondo cui detto termine è di novanta giorni, nonostante la generalità del testo legislativo in cui è inserita, è incompatibile con i procedimenti regolati dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine così breve;

che con il secondo mezzo si prospetta violazione di legge e vizio di motivazione, deducendosi che la mancanza, nel verbale di contestazione, di un elemento essenziale (la data dell’avvenuta estirpazione degli olivi) avrebbe dovuto indurre il Giudice di pace a dichiarare la nullità dell’ordinanza-ingiunzione;

che la censura è infondata;

che, in tema di infrazioni amministrative, l’atto di notificazione degli estremi della violazione deve contenere indicazioni sufficienti ad assicurare la tempestiva difesa dell’interessato (Cass., Sez. 1^, 27 marzo 1996, n. 2767);

che il Giudice di pace ha al riguardo accertato – con congrua motivazione, priva di vizi logici e giuridici – che nel verbale di contestazione si da compiutamente atto del fatto che la violazione – estirpazione dal fondo rustico di proprietà del D.S., posto nel Comune di San Ferdinando di Puglia, di piante di olivo senza la prescritta autorizzazione – fu accertata in data 2 febbraio 2000, alla presenza del trasgressore, nel mentre si stavano compiendo le ultime operazioni inerenti allo svenimento delle piante;

che tanto basta a ritenere che, sin dal primo atto, il D.S. è stato posto a conoscenza di tutti gli elementi costitutivi dell’addebito mossogli, nonchè delle circostanze idonee a collocare nello spazio e nel tempo la commissione della violazione;

che il terzo motivo prospetta il vizio di omessa motivazione (violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, con riferimento alla L. n. 689 del 1981, art. 23), denunciandosi che la Regione avrebbe omesso di depositare tutti gli atti a base dell’ordinanza- ingiunzione, in particolare “sopprimendo” o “non esibendo” un atto, datato 14 luglio 1990, redatto da tre funzionari della Regione, che conteneva elementi comprovanti l’estraneità del D.S., e che il ricorrente avrebbe scoperto solo in data 11 dicembre 2006;

che il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile;

che, per un verso, in tema di sanzioni amministrative, il mancato deposito, da parte dell’amministrazione che ha irrogato la sanzione amministrativa, nel corso del giudizio di opposizione all’ordinanza- ingiunzione, di tutti i documenti relativi all’infrazione ed alla sua contestazione, non comporta alcuna conseguenza sul piano processuale, in mancanza di un’espressa previsione nella L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23: tale inosservanza assume rilevanza solo sul piano probatorio, allorchè l’opponente possa dimostrare la fondatezza dei motivi di opposizione unicamente sulla base di tali documenti (Cass., Sez. 1^, 24 marzo 2004, n. 5891; Cass., Sez. 1^, 26 maggio 2004, n. 10113);

che, per l’altro verso, la scoperta, dopo la sentenza, di un documento decisivo, che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, è motivo di impugnazione per revocazione (art. 395 cod. proc. civ., n. 3), ma non si traduce in vizio della sentenza impugnata per omessa motivazione in relazione ad un documento non depositato nel procedimento concluso con quella decisione;

che il quinto motivo – prospettando, sotto diversi profili, vizi di motivazione della sentenza impugnata – è infondato;

che – occorre premettere – il Giudice di pace ha accertato che il D. S. ha acquistato il terreno de quo con atto pubblico del 6 ottobre 1999 e ha ritenuto che la clausola del rogito descrivente il bene come investito a seminativo e pascolo e comunque non arborato, non essendo coperta da fede privilegiata, è superabile da prove contrarie; ha inoltre giudicato inattendibili e compiacenti i testi addotti dall’opponente, che hanno riferito che il terreno acquistato era incolto e pieno di erbacce; ed ha dato rilievo ai seguenti dati (dimostrativi della sussistenza dell’illecito e della sua imputabilità al D.S.): l’attestazione del dante causa del D. S., C.L., all’Aprol di Foggia del 30 novembre 1998, in cui si afferma che a quella data sul terreno insistevano piante di ulivo produttive; il rilievo aerofotogrammetrico del 1999, attestante che in quel tempo il terreno era investito ad uliveto, ed il rilievo aerofotogrammetrico del 2003, da cui emerge la destinazione a pescheto; la visita ispettiva del 2 febbraio 2000 ad opera dei forestali, i quali hanno accertato che dal terreno sporgevano ancora i resti degli apparati radicali;

che il ragionamento del Giudice di pace è sorretto da una motivazione coerente e scevra di vizi logici e giuridici, che, come tale, sfugge alle doglianze articolate con i motivi;

che le censure svolte dal ricorrente si sostanziano in un autonomo ordine soggettivo di considerazioni ed apprezzamenti sulle risultanze istruttorie, inammissibilmente contrapposto all’Iter logico seguito dal giudice a quo per pervenire al suo convincimento, esposto esaurientemente e con proposizioni internamente e reciprocamente coerenti;

che, in particolare, non attiene ad un punto decisivo della controversia la dichiarazione in data 5 agosto 2003 a firma del presidente del Consorzio guardie campestri, in cui si attesta che il terreno de quo è di natura pescheto di nuovo impianto, e che in precedenza è stato sempre incolto e privo di alberi: sia perchè la dichiarazione riguarda un periodo (l’agosto 2003) successivo alla commissione dell’illecito, sia perchè il riferimento al periodo pregresso non è sufficientemente circostanziato da un punto di vista temporale ed è generico nella indicazione delle fonti di conoscenza (“gli atti esistenti in Ufficio”; la “conferma” delle “stesse guardie giurate del suddetto Consorzio”);

che, inoltre, quanto ai rilievi aerofotogrammetrici, la sentenza impugnata da atto che si tratta di documentazione ritualmente acquisita, in ordine alla quale è mancata una tempestiva contestazione da parte dell’opponente, laddove in questa sede il ricorrente, prospettando che dall’esame di detta documentazione non si ricavano nè la località, nè le particelle, nè la data, nè la provenienza dei rilievi, sollecita un riesame in fatto non consentito in sede di legittimità;

che, del pari, quanto alla dichiarazione del dante causa del D. S., a fronte dell’argomentato riconoscimento della valenza probatoria operato nella sentenza, non è consentito a questa Corte sminuirne l’attendibilità in ragione dell’interesse del predetto a conseguire, in ragione di essa, il previsto contributo finanziario;

che del pari infondato è l’ottavo motivo, con cui si lamenta violazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, penultimo comma, prospettandosi che, mancando prove sufficienti della responsabilità dell’opponente, l’opposizione avrebbe dovuto essere accolta: la censura muove infatti da un presupposto – la mancanza di prove sufficienti della responsabilità dell’opponente – che il primo giudice ha escluso, con statuizione che si sottrae ai rilievi articolati;

che, invece, fondata appare la denuncia di vizio di motivazione avanzata con il sesto ed il settimo motivo, in ordine al numero delle piante divelte, perchè il Giudice di pace, a fronte della specifica contestazione mossa dal ricorrente, non motiva in alcun modo sulla base di quali risultanze sia pervenuto a quantificare in 1.015 il numero delle piante divelte dal D.S., nè tiene conto della lettera dell’Aprol di Foggia in data 10 febbraio 2005, diretta al Comando stazione forestale di Manfredonia, in cui si precisa in relazioni a quali particene di terreno, e con quale numero di piante su di esse insistenti, fu chiesta dal C., dante causa del D. S., l’integrazione;

che per effetto dell’accoglimento del sesto e del settimo motivo resta assorbito l’esame del quarto mezzo, relativo all’entità della sanzione;

che, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta;

che la causa deve essere rinviata al Giudice di pace di Trinitapoli, che la deciderà in persona di diverso giudicante;

che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo, il terzo, il quinto e l’ottavo motivo; accoglie il sesto ed il settimo; dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese, al Giudice di pace di Trinitapoli, in persona di diverso giudicante.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2010

 

 

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