Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13728 del 22/06/2011

Cassazione civile sez. II, 22/06/2011, (ud. 15/04/2011, dep. 22/06/2011), n.13728

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.P., S.S., S.V.,

S.R., M.C. e M.G.,

rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del

ricorso, dagli Avv Santucci Ettore e Giovanni Morana, elettivamente

domiciliati nello studio dell’Avv. Paolo Panariti in Roma, via

Celimontana, n. 38;

– ricorrenti –

contro

L.D. e G.A., rappresentati e difesi, in

forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.

Belmonte Guido, per legge domiciliati nella Cancelleria civile della

Corte di cassazione, piazza Cavour, Roma;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

S.M., S.G., S.A. e S.

L.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli n.

1301 in data 16 aprile 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15 aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che il consigliere designato ha depositato, in data 1 febbraio 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: “Il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza depositata il 27 giugno 2005, ha accolto la domanda proposta da L.D. e G.A. ed ha condannato P. B., S.M., S.R., G. B., S.A., S.V., L. S., S.A.M. e S.S. a regolarizzare la luce esistente sul muro di confine secondo il disposto dell’art. 901 cod. civ. ed a risarcire i danni, liquidati in Euro 2.000, ha rigettato le domande riconvenzionali spiegate dai germani B. ed ha posto a carico dei medesimi il pagamento delle spese di lite.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 1301 depositata il 16 aprile 2009, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da B.R., S.V. e S. S. e dell’appello incidentale proposto da P. S., ha rigettato, in parziale riforma della sentenza impugnata, la domanda di risarcimento dei danni proposta da D. L. e G.A., regolando le spese del doppio grado.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello P., S., V. e S.R. nonchè C. e M.G., queste ultime in qualità di successori a titolo particolare nel diritto controverso, hanno proposto ricorso, con atto notificato il 1 giugno 2010, sulla base di cinque motivi.

Hanno resistito, con controricorso, il L. e la G., mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 36, 99, 112, 115, 116 e 342 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2907, 2908 e 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 24 e 113 Cost..

Con il secondo mezzo si prospetta “violazione e/o falsa applicazione di legge; errore nella valutazione di principi giuridici nell’attribuzione di efficacia e/o inefficacia giuridica in derivazione delle domande riconvenzionali (cui hanno fatto seguito appello principale notificato il 22 settembre 2006 ed appello incidentale 3 gennaio 2007), nel corretto esame del materiale probatorio acquisito; vizio di omessa pronuncia; error in procedendo”.

Il terzo motivo è rubricato “violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5″.

Il quarto motivo censura violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in relazione all’art. 342 cod. proc. civ. (error in procedendo). Il quinto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5; vizio di omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione (error in procedendo – error in iudicando). Tutti i motivi sono inammissibili.

Essi sono inammissibili, là dove prospettano vizi nella motivazione, per mancanza del quesito di sintesi, imposto dall’art. 366 cod. proc. civ., ratione temporis applicabile.

Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente o contraddittoria, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897;

Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741).

Gli stessi motivi, nella parte in cui denunciano vizi di violazione o falsa applicazione di legge, sono inammissibili, perchè non recano il conclusivo quesito di diritto, anch’esso imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ..

Questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640).

Per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di colla-borare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto (o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma).

Il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153). Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Letta la memoria di parte controricorrente.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011

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