Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13728 del 06/07/2016

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2016, (ud. 23/09/2015, dep. 06/07/2016), n.13728

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – rel. Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

s.r.l. Storo Productions in liquidazione, con sede a

(OMISSIS), in persona del liquidatore A.

M., elettivamente domiciliata in Roma, via Federico Confalonieri

n. 5, presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi del foro di Roma,

che, unitamente (anche disgiuntamente) all’avvocato Arturo Knering

del foro di Bolzano, la rappresenta e difende giusta procura speciale

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 37/2/09 della Commissione tributaria di 2^

grado di Bolzano, depositata il 25 maggio 2009, notificata il 25

settembre 2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23

settembre 2015 dal consigliere dottor Stefano Bielli;

udito, per la ricorrente, l’avvocato dello Stato Mario Capolupo,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’avvocato Carlo Albini su delega

dell’avvocato Luigi Manzi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore generale

dottor Fuzio Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.- Con sentenza n. 37/2/09, depositata il 25 maggio 2009 e notificata il 25 settembre 2009, la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano (hinc: “CT 2”) rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della contribuente s.r.l.

Storo Productions in liquidazione avverso la sentenza n. 66/01/2008 della Commissione tributaria di primo grado di Bolzano (hinc: “CT 1”), compensando le spese di lite fra le parti, attesa la complessità dei dati a disposizione dei verificatori.

Il giudice di appello premetteva che: a) con avviso di accertamento, seguito ad una verifica della Guardia di finanza relativa agli anni dal 1999 al 2001, l’Agenzia delle entrate aveva effettuato riprese fiscali a titolo di IVA, IRPEG ed IRAP del 2001 nei confronti della suddetta s.r.l., in conseguenza sia di incongruenze riscontrate nei movimenti di magazzino (dalle quali aveva ritenuto di desumere l’effettuazione di acquisti e vendite in nero), sia di fatture concernenti prestazioni fornite dalla cittadina elvetica B. G. ritenute non inerenti all’attività societaria; b) la contribuente aveva impugnato l’avviso davanti alla CT l, deducendo:

b.1) che non era obbligata alla tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino e, quindi, le operazioni asseritamente effettuate in nero non “trovavano più la loro ragion d’essere”; b.2.) che i verificatori avevano utilizzato un software realizzato dalla società per scopi meramente gestionali, inidoneo a fornire elementi per la ricostruzione dei movimenti in entrata ed in uscita dei materiali e dei prodotti; b.3.) che gli stessi verificatori, inoltre, non avevano tenuto conto nè delle registrazioni di movimenti di materiali effettuate dai dipendenti con la procedura “manna” nè dei consistenti scarti di produzione; b.4.) che le prestazioni della B. erano evidenziate da regolari fatture ed erano inerenti all’attività produttiva perchè, “pur in assenza di specifico contratto”, riguardavano attività di procacciamento d’affari; c) l’Agenzia aveva resistito osservando che: c.1.) la s.r.l. aveva l’obbligo di tenere le scritture contabili di magazzino; c.2.) in ogni caso in sede dì accertamento potevano essere valutate le risultanze di scritture gestionali alternative alle suddette scritture ausiliarie; c.3.) erano inammissibili (perchè generiche, proposte solo con memoria illustrativa e sfornite di prova) le deduzioni relative alla mancata considerazione degli scarti dì produzione e delle operazioni registrate con la procedura “manna;

c.4.) in mancanza di uno specifico contratto, le prestazioni della B. non potevano essere ritenute inerenti all’attività societaria; d) l’adita CT 1 aveva accolto il ricorso, ritenendo che:

d.1.) le deduzioni sugli scarti e le procedure “manna” erano ammissibili, perchè costituivano semplici ampliamenti delle deduzioni del ricorso e non nuovi motivi di doglianza; d.2.) nel 2001, la contribuente non era obbligata alla tenuta di scritture ausiliarie di magazzino; d.3.) il software gestionale della società aveva valore, appunto, solo gestionale e non anche di prova dei movimenti di magazzino; d.4.) le giustificazioni addotte dalla contribuente in ordine alle asserite incongruenze nei movimenti di magazzino erano “credibili”; d.5.) le fatture emesse dalla B. a titolo di “consulenza” riguardavano operazioni inerenti; e) l’ente impositore aveva interposto appello deducendo che: e.1.) le deduzioni contenute nella memoria illustrativa della contribuente erano inammissibili; e.2.) dall’esame effettuato dai verificatori in base al software gestionale erano emerse significative differenze rispetto a quanto dichiarato dalla società; e.3.) le operazioni “manna” non erano state prese in considerazione perchè prive di riscontro nel libro giornale; e.4.) dalle fatture della B. non emergeva l’esatta natura delle prestazioni e, quindi, non emergeva la loro inerenza all’attività societaria.

Su queste premesse, la CT 2, nel rigettare l’appello, rilevava che:

a) le deduzioni contenute nella memoria illustrativa della contribuente erano ammissibili, perchè costituivano estensione di quanto già esposto nel ricorso introduttivo; b) le operazioni di cui alle 16 fatture emesse dalla B. (relative a “consulenza vendita – export”, con l’indicazione di “acconto” e dell’importo, spesso pari a “SFR 8.000”; una, cioè la n. 14 del 24 luglio 2001, relativa ai mesi ottobre-dicembre 2000 recante la precisazione anche del fatturato procacciato in Francia) erano inerenti all’attività societaria, tenuto conto che non risultava che la s.r.l. si servisse di rappresentanti commerciali o procacciatori di affari e che non v’era obbligo di stipulare un “specifico contratto a tale titolo”; c) non v’era neppure obbligo di tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino nel 2001; d) i verificatori potevano avvalersi del software gestionale aziendale, ma non avevano tenuto conto che, in base alla relazione tecnica di tale software (redatta dal suo ideatore ing. R.), non solo non v’era connessione con le scritture contabili obbligatorie, ma venivano gestite con separati codici anche le attività di altre società (con una sorta di “multiutenza”) ed inoltre erano gestiti direttamente i materiali allocati presso ditte esterne; e) i verificatori non avevano poi tenuto conto delle operazioni “manual” (non risultanti dal software, come evidenziato dalla citata relazione tecnica) relative a spostamenti di materiali all’interno del magazzino, a carichi e scarichi per forniture, a resi in conto visione e campioni gratuiti, a scarti di lavorazione e ad inserimento nell’inventario (per il quale sarebbe stata necessaria la ricognizione fisica dei materiali giacenti nei diversi magazzini); e) le conclusioni del processo verbale di constatazione, pertanto, non erano attendibili in ordine alla ricostruzione dei movimenti di magazzino ed all’esattezza dei valori attribuiti alle rimanenze, anche perchè alcuni prospetti analitici utilizzati dai verificatori per calcolare l’omessa fatturazione di componenti positivi e negativi non erano stati inseriti negli atti processuali.

2.- Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi e notificato il 24 – 30 novembre 2009.

3.- La contribuente resiste con controricorso notificato il 5 – 11 gennaio 2010 ed illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo di ricorso, corredato da quesito di diritto, la ricorrente Agenzia delle entrate denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la violazione del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 18 con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ.. Secondo la ricorrente, la CT 2, nel ritenere che, nel merito, i dati estrapolati dai verificatori dal software aziendale non comportassero nè una attendibile ricostruzione dei movimenti di magazzino nè l’esattezza dei valori attribuiti alle rimanenze, non ha considerato che la società non ha mai contestato nel merito le risultanze dei verificatori ed il valore probatorio del suddetto software, ma ha solo eccepito, nel ricorso introduttivo, l’inutilizzabilità di tale software in sede di accertamento. Il giudice di appello, pertanto, sarebbe incorso in un vizio di ultrapetizione, “andando al di là dei limiti della domanda”.

1.1.- Il motivo è infondato.

Dagli stessi escerti del ricorso introduttivo della contribuente riportati dalla ricorrente Agenzia emerge che la società aveva sin dall’inizio eccepito che il software gestionale, per le sue caratteristiche e finalità (in quanto privo di connessioni con le scritture obbligatorie e non comprensivo nè delle annotazioni manual nè degli scarti) non era (di per sè solo) idoneo a fornire una attendibile ricostruzione dell’attività d’impresa. La stessa richiesta di CTU avanzata dalla medesima contribuente dimostra la originaria contestazione della pretesa impositiva e la formulazione di censure basate sui limiti funzionali e di rilevazione dei dati del software. Anche nell’esposizione dei fatti di causa, la CT 2 riferisce che la contribuente aveva impugnato l’avviso davanti alla CT 1, deducendo, tra l’altro, che i verificatori avevano utilizzato un software realizzato dalla società per scopi meramente gestionali, inidoneo a fornire elementi per la ricostruzione dei movimenti in entrata ed in uscita dei materiali e dei prodotti. La CT 2, inoltre osserva che il richiamo della contribuente ad una consulenza tecnica di parte sui limiti della valenza probatoria del software rientra nei limiti delle “normali estensioni di quanto già esposto nel ricorso introduttivo”.

Non è dunque rispondente al vero l’asserzione contenuta nel ricorso per cassazione che la società non ha mai contestato nel merito le risultanze dei verificatori ed il valore probatorio del suddetto software. Al contrario, detta contestazione rientra a pieno titolo nel thema decidendum originario della causa e, pertanto, non sussiste il denunciato vizio di ultrapetizione.

2.- Con il secondo motivo di ricorso, corredato da quesito di diritto, la ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione dell’art. 2697 cod. civ..

Secondo la ricorrente, a fronte di un accertamento basato sui dati contabili desunti dal software gestionale utilizzato dalla s.r.l., la CT 2, nell’affermare che tale software non offriva nè una contabilizzazione separata dei dati manuali nè un riepilogo degli scarti di lavorazione, si era basata non su fatti accertati, ma sulle valutazioni della relazione tecnica redatta dall’ideatore del programma informatico aziendale ing. R., con ciò “in pratica” rilevando la contribuente dall’onere probatorio a suo carico di fornire la prova contraria rispetto ai dati contabili rilevati dai verificatori.

2.1.- Il secondo motivo è inammissibile, perchè non è pertinente alla ratio decidendi della sentenza impugnata e prospetta, incongruamente, un vizio motivazionale sotto il profilo della violazione di legge.

La CT 2, infatti, ha deciso sulla base non di una erronea applicazione della regola di ripartizione dell’onere probatorio, ma della valutazione la punto di fatto che i dati presi in considerazione dai verificatori non sono attendibili, perchè desunti da un software aziendale strutturalmente e funzionalmente non correlato alle scritture contabili obbligatorie e non comprensivo nè dei dati inseriti con procedura “maritar nè di un riepilogo degli scarti di lavorazione. Il giudice di appello, in particolare, ha ritenuto che i limiti del software aziendale (costituenti, per la Commissione tributaria, un fatto) lisciavano dalla relazione tecnica depositata dalla contribuente. Come si vede, la decisione è motivate non sull’erroneo rilievo in punto di diritto, indicato dalla ricorrente, secondo cui, per sottrarsi a riprese fiscali, è sufficiente per il contribuente negare l’esistenza degli elementi provati dall’amministrazione finanziaria (circostanza, del resto, che integrerebbe, a rigore, non già la dedotta inversione dell’onere probatorio, ma addirittura l’assurdo principio che l’ente impositore non sarebbe mai ammesso a provare il fondamento della pretesa tributaria in caso di diniego degli addebiti da parte del contribuente), ma solo sulla valutazione in punto di fatto che i dati addotti dall’Agenzia delle entrate a sostegno della ripresa fiscale non sono attendibili. Se, poi, la ricorrente abbia inteso, con il motivo in esame, negare la fondatezza della suddetta valutazione in punto di fatto effettuata dalla CT 2, l’inammissibilità della censura sarebbe ancora più evidente, perchè (come già accennato) verrebbe in tal modo prospettato un vizio motivazionale della sentenza sotto un profilo di violazione di legge.

3.- Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, non corredati da momenti di sintesi, la ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – la insufficiente motivazione della sentenza circa: a) l’utilizzazione della relazione tecnica di parte sul software, quando la stessa contribuente l’aveva ritenuta insufficiente chiedendo la nomina di un consulente tecnico d’ufficio violazione per un esame contabile (istanza istruttoria del tutto trascurata); b) la mancata considerazione delle argomentazioni addotte dall’ufficio tributario a sostegno dell’attendibilità delle conclusioni esposte all’esito della verifica.

3.1.- Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili, perchè non accompagnati dal separato momento riepilogativo (cosiddetto momento di sintesi) richiesto (all’epoca) dal combinato disposto dell’art. 366-bis c.p.c., secondo periodo (il ricorso “deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”) e dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (“secondo quanto previsto dall’art. 366 bis”).

In base alla giurisprudenza di questa Corte, infatti – tenuto conto della rullo del menzionato combinato disposto, diretta a consentire alla Corte medesima di comprendere immediatamente l’errore imputato al giudice di merito, con ciò facilitando l’esercizio della funzione nomofilattica ed inducendo indirettamente la deflazione del contenzioso l’impugnazione per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis), deve essere corredata, a pena di inammissibilità, da una indicazione riassuntiva e sintetica della censura, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo (e, pertanto, non integrabile dal contenuto della doglianza): in tal senso, ex plurimis, Cass. sez. un. n. 20603 del 2007; n. 8897 del 2008; n. 4556 del 2009; n. 2805 e n. 24255 del 2011.

Nella specie, la ricorrente ha omesso di formulare tale “momento di sintesi”: di qui la riscontrata inammissibilità.

4.- Con il quinto motivo di ricorso, corredato da quesito di diritto, la ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione del D.Lgs. n. 917 del 1986, (TUIR), art. 75, (ora artt. 64 e 109). Secondo l’Agenzia delle entrate, la CT 2 – nel considerare inerenti all’attività societaria le 16 fatture emesse dalla cittadina elvetica B. (relative a “consulenza vendita –

export”, con l’indicazione di “acconto” e dell’importo, spesso pari a “SFR 8.000”; una, cioè la n. 14 del 24 luglio 2001, relativa al periodo ottobre-dicembre 2000, recante la precisazione anche del fatturato procacciato in Francia) e nel motivare tale conclusione in base al fatto che non risultava l’impiego da parte della s.r.l. di rappresentanti commerciali o procacciatori di affari e che non v’era obbligo di stipulare uno “specifico contratto a tale titolo” –

avrebbe violato l’evocato art. 75 del TUIR, perchè le fatture erano generiche, in quanto riportavano solo gli importi complessivi, senza indicare nè i tempi nè la specie delle prestazioni (non essendo sufficiente l’indicazione del genere “consulenza vendita – export”) e perchè non sarebbe dimostrato (tantomeno documentalmente) che l’attività fatturata aveva prodotto materia imponibile.

4.1.- Il quinto motivo è inammissibile, perchè la sentenza impugnata non ha fatto uso di una errata nozione di inerenza, in violazione della evocata norma del TUIR, ma ha solo ritenuto provata in concreto, da parte della contribuente, l’inerenza delle operazioni fatturate. La ricorrente, pertanto, ha inammissibilmente dedotto come violazione di legge un vizio di motivazione: con la censura in esame, infatti, viene in sostanza a denunciarsi (incongruamente) la insufficiente motivazione della decisione di appello circa la ritenuta inerenza.

5.- Con il sesto ed ultimo motivo di ricorso, non corredato da momento di sintesi, la ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – l’insufficiente motivazione circa l’inerenza delle operazioni fatturate dalla B.. La ricorrente, nel richiamare le circostanze esposte ad illustrazione del quinto motivo di ricorso, assume che la CT 2 ha concluso per l’inerenza delle operazioni fatturate trascurando le argomentazioni addotte dall’Agenzia delle entrate e, in particolare, quella concernente la genericità delle fatture e la carenza di un contratto scritto di procacciamento di affari.

5.1.- Il sesto motivo è inammissibile, perchè non accompagnato dal separato momento riepilogativo (cosiddetto momento di sintesi) richiesto (all’epoca) dal combinato disposto dell’art. 366-bis c.p.c., secondo periodo e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Si rinvia alle considerazioni svolte supra al punto 3.1.

6.- Le spese di lite (per un valore dichiarato di Euro 2.200.000,00) seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibili gli altri;

condanna la ricorrente Agenzia delle entrate a rimborsare alla controricorrente s.r.l. Storo Productions in liquidazione le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 13.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15 per cento ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5 sezione civile, il 23 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2016

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