Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13727 del 06/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 06/07/2016, (ud. 23/09/2015, dep. 06/07/2016), n.13727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – rel. Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Z.P.T., residente a

(OMISSIS), elettivamente domiciliato a Roma, via Ofanto n. 18,

presso lo

studio dell’avvocato Marco Attanasio, che lo rappresenta e difende

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore generale pro tempore,

con sede a (OMISSIS), domiciliata in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello

Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/05/07 della Commissione tributaria

regionale del Veneto, depositata l’11 giugno 2007, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23

settembre 2015 dal Consigliere Dottor Stefano Bielli;

udito, per il ricorrente, l’avvocato Guido Liuzzi su delega

dell’avvocato Marco Attanasio, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito, per la controricorrente Agenzia delle entrate, l’avvocato

dello Stato Mario Capolupo, che ha chiesto dichiararsi

inammissibile il ricorso;

udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale

Dottor FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.- Con sentenza n. 36/05/07, depositata l’11 giugno 2007, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Veneto (hinc:

“CTR”) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di Z.P.T. avverso la sentenza n. 82/09/2005 della Commissione tributaria provinciale di Padova (hinc:

“CTP”) e, in riforma della sentenza appellata, respingeva il ricorso originario compensando tra le parti le spese di lite, considerata la complessità delle norme applicate.

Il giudice di appello premetteva che: a) in relazione ad un atto di compravendita di un immobile, registrato il 15 novembre 2000, l’ente impositore aveva revocato l’agevolazione dell’aliquota ridotta dell’IVA (4%) emettendo un avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni per l’IVA 2000, notificato il 4 novembre 2004; b) il contribuente aveva impugnato l’avviso, rilevando che questo gli era stato notificato oltre il termine triennale previsto a pena di decadenza del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2; c) l’adita CTP aveva accolto il ricorso; e) la sentenza di primo grado era stata appellata dall’Agenzia delle entrate, la quale aveva dedotto che nella specie era applicabile la proroga di due anni per l’accertamento prevista della L. n. n. 289 del 2002, dai commi 1 e 1-

bis, per il caso in cui risulti non presentata o priva di effetto l’istanza di definizione per condono; d) il contribuente non si era costituito in giudizio.

Su queste premesse, la CTR rilevava che, ai sensi della L. n. 289 del 2002, commi 1 e 1-bis e della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 46, si applicava la proroga dei termini di accertamento e che, pertanto, l’appello proposto doveva essere accolto.

2.- Avverso la sentenza di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 12-15 giugno 2009, affidato ad un unico motivo ed illustrato da successiva memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

3.- L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso notificato il 21 – 22 luglio 2009. Eccepisce preliminarmente l’improcedibilità e l’inammissibilità del ricorso, rispettivamente, per la mancata richiesta da parte del ricorrente della trasmissione del fascicolo d’ufficio e per la tardività della notifica in quanto effettuata oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La controricorrente eccepisce preliminarmente l’improcedibilità del ricorso per la mancata richiesta da parte del ricorrente della trasmissione del fascicolo d’ufficio.

1.1.- L’eccezione non è fondata per due diverse ed autonome ragioni.

In primo luogo, risulta depositata in atti, in data 5 giugno 2009, l’istanza di pari data con la quale il ricorrente ha chiesto la trasmissione del fascicolo d’ufficio ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3. L’eccezione, quindi, è infondata in punto di fatto.

In secondo luogo, la suddetta istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio non è prevista a pena di improcedibilità. Infatti, il mancato deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio nel termine fissato per il deposito del ricorso per cassazione, cioè entro venti giorni dalla notificazione, determina l’improcedibilità del ricorso stesso soltanto se l’esame di quel fascicolo – non allegato agli atti del processo – risulti indispensabile ai fini della decisione del giudice di legittimità: ex plurimis, Cass. n. 5108 del 2011; nello stesso senso, in particolare, numerose pronunce rese a sezioni unite (n. 764 del 1995; n. 30131 del 1996; n. 145 del 1999; n. 7869 del 2001; n. 20504 del 2006) e a sezioni semplici (n. 870, n. 2099 e n. 4148 e del 1982; n. 1629 del 1983; n. 1385 del 1998; n. 7892 del 2000; n. 7869 del 2001; n. 3852 del 2002; n. 729 e n. 15996 del 2003).

2.- La controricorrente eccepisce altresì (sempre in via preliminare) l’inammissibilità del ricorso per la tardività della notifica in quanto effettuata oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c..

2.1.- L’eccezione è fondata e va accolta.

L’impugnata sentenza della CTP, non notificata, risulta depositata l’11 giugno 2007 ed il ricorso per cassazione è stato notificato il 12-15 giugno 2009, cioè oltre il termine annuale previsto dall’art. 327 c.p.c. (aumentato del periodo di sospensione feriale dei termini), nel testo applicabile ratione temporis.

Il ricorrente obietta che il ricorso è, invece, tempestivo, perchè, quale appellato, era rimasto contumace nel giudizio di secondo grado e non aveva avuto comunicazione della data fissata per la trattazione dell’appello: solo in data 21 maggio 2008 gli era stata notificata una cartella di pagamento basata sulla rettifica oggetto del giudizio di appello. Assume che la mancata comunicazione della data di trattazione è equivalente all’omessa notificazione dell’atto di citazione (ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 2) e ne deduce che il termine decadenziale non era decorso alla data del 12 giugno 2009, perchè il dies a quo doveva computarsi dal 21 maggio 2008, data nella quale aveva indirettamente avuto notizia dell’esito del suddetto giudizio.

L’obiezione è priva di fondamento.

La comunicazione della data di trattazione deve essere effettuata solo alle parti costituite (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 31, comma 1, applicabile al giudizio di appello in forza dell’art. 61 del citato D.Lgs.; analoga regola è stabilita, per la comunicazione del dispositivo, dagli artt. 37 e 61 del medesimo D.Lgs.) e il contribuente non si era costituito in appello. Del resto, anche se fosse stato costituito, il dies a quo sarebbe comunque decorso dal deposito della sentenza. L’omessa comunicazione, infatti, non equivale alla mancata notificazione dell’appello (regolarmente effettuata) all’appellata e l’omessa comunicazione dell’avviso di trattazione può essere fatta valere solo con impugnazione tempestiva (tra le tante, Cass. n. 23323 del 2013; n. 11114 del 2008).

In particolare, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, consente il superamento del termine lungo di impugnazione di cui al primo comma dell’art. 327 c.p.c. (decorrente dalla “pubblicazione della sentenza”) esclusivamente nel caso in cui la parte non costituita “dimostri di non aver avuto conoscenza del processo” a causa del ricorrere delle seguenti circostanze (ex plurimis, Cass., n. 833 del 2007): a) “nullità” della notificazione del ricorso introduttivo; b) “nullità” della comunicazione dell’avviso di udienza. Nella specie, non solo la parte privata era ricorrente in primo grado, ma neppure è controversa la regolare notifica dell’appello e, quindi, la conoscenza (anche) del processo di appello da parte dell’appellata, rimasta “volontariamente” contumace in tale grado: l’inesistenza del requisito dello stato di “involontaria” ignoranza del processo davanti ai giudici di merito rende applicabile dell’art. 327 c.p.c., comma 1 e, pertanto, tardivo e inammissibile –

per intervenuto giudicato – il proposto ricorso per cassazione.

In questo senso si è già espressa questa Corte, con consolidato orientamento (ex plurimis, Cass. n. 6692, n. 6513, da n. 3304 a n. 3308, n. 919 del 2015; n. 19049 del 2014; n. 23323 del 2013; n. 11114 del 2008). Va perciò disattesa l’isolata l’impostazione seguita da Cass. n. 6048 del 2013, secondo cui, nelle controversie in cui non sia operante ratione temporis l’istituto della rimessione in termini previsto dall’art. 153 c.p.c., comma 2 (introdotto dalla L. n. 69 del 2009), il termine lungo per l’impugnazione delle sentenze di cui dell’art. 327 c.p.c., comma 1, decorre, per la parte alla quale non siano stati debitamente comunicati nè l’avviso di trattazione dell’udienza (ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22), nè il dispositivo della sentenza (ai sensi dell’art. 37 del medesimo D.Lgs.), dalla data in cui essa ha avuto conoscenza di tali sentenze (in applicazione del principio della effettività della tutela giurisdizionale scolpito sia nell’art. 111 Cost., sia nell’art. 6 della CEDU). E’ appena il caso di rilevare, infatti, che non v’è stata nel giudizio qui in esame, nè una “indebita” omissione (le comunicazioni sopra indicate non sono dovute alle parti non costituite) nè un contrasto con la Costituzione o con la CEDU (contrasto che, non solo sarebbe rilevabile solo mediante eccezione di legittimità costituzionale della norma processuale applicata, ma che è manifestamente escluso, in concreto, dall’inesistenza di qualsiasi vulnus ai diritti di difesa e di uguaglianza sanciti dagli artt. 3, 24 e 113 Cost., stante la conoscenza del processo e, quindi, la possibilità per la parte di attivarsi a tutela dei propri diritti e stante, altresi, l’inesistenza di una incompatibilità puntuale con la normativa sovranazionale, CEDU o unionale: v. umplius, sul punto, le più recenti pronunce sopra citate).

3.- Con l’unico motivo di ricorso, privo di quesito di diritto, il ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza per la mancata comunicazione, quale vincitore in primo grado e appellato contumace, della data di fissazione dell’udienza di trattazione in appello, con lesione del proprio diritto di difesa e violazione degli artt. 3, 24 e 113 Cost., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 54, 23, 32 e 40, art. 327 c.p.c., comma 2. Secondo il contribuente, la legge non indica espressamente il termine entro cui le parti diverse dal’appellante possono costituirsi, limitandosi a stabilire l’inammissibilità dell’appello incidentale non proposto nel termine di 60 giorni dal giorno in cui l’appello è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale (combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 54 e 23). Ad avviso della ricorrente, in difetto di una specifica disposizione, l’appellato può costituirsi con memoria depositata fino a 10 giorni liberi prima della data stabilita per la trattazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 2 (vengono citate le pronunce di Cass. n. 6044 del 1998 e n. 5495 del 1999), o fino al momento della discussione in pubblica udienza: ne desume che la data di trattazione deve essere portata a conoscenza della parte costituita nel giudizio di primo grado (anche se non in secondo grado) e che l’omessa comunicazione comporta la nullità della sentenza di appello.

3.1.- La suddetta rilevata inammissibilità del ricorso, per tardività, inibisce l’esame del motivo. Solo per completezza si può soggiungere che detto motivo sarebbe stato comunque inammissibile per la mancata formulazione del quesito di diritto richiesto (all’epoca) dall’art. 366-bis c.p.c. (circa l’infondatezza, si è accennato sopra, incidentalmente, al punto 2.1) 4.- Le spese del presente giudizio di legittimità (per un valore dichiarato tra Euro 5.200,01 e Euro 26.000,00) sono a carico del ricorrente, dato l’esito della lite.

PQM

Rigetta l’eccezione di improcedibilità del ricorso; dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente Agenzia delle entrate le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.700,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 23 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2016

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