Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13726 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 03/07/2020), n.13726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 35635/2018 r.g. proposto da:

H.R., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Roberto

Maiorana, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma,

Viale Angelico n. 38.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, depositata in

data 17.9.2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/1/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha respinto l’appello proposto da H.R., cittadina (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Catania datata 8 giugno 2016, con la quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso presentato in primo grado perchè non tempestivo.

La corte del merito ha ritenuto che: a) il ricorso in primo grado era stato invece presentato tempestivamente perchè spedito a mezzo posta – come consentito dal D.L. n. 150 del 2011, art. 19 – in data 7.3.2013 e pervenuto in cancelleria il 12.3.2013; b) non era fondata la domanda di protezione umanitaria (quale reiterazione di altra precedente domanda già rigettata in precedenza), avendo ritenuto non credibile il racconto in relazione alla violenza sessuale subita a quattordici anni in Nigeria (racconto prospettato, peraltro, tardivamente solo in sede di reiterazione della domanda di protezione); c) non era significativa, da un punto di vista probatorio, la documentazione rilasciata dal Centro Caritas di (OMISSIS) (contenente il racconto della “tratta” subita dalla donna), perchè priva di autenticità e di genuinità in ordine alle modalità di raccolta delle informazioni; d) non erano rilevanti neanche i fatti nuovi esposti nell’appello relativi alle condizioni di salute della richiedente (intervento chirurgico seguito da aborto), perchè non si trattava di patologie invalidanti ovvero non curabili nel paese di origine; e) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, posto che nel Delta Niger non vi è attualmente una situazione di conflitto armato generalizzato e che, comunque, non era stato allegato da parte della richiedente un riscontro individualizzante, che consentisse l’evidenza di un concreto rischio a carico di quest’ultima.

2. La sentenza, pubblicata il 17.9.2018, è stata impugnata da H.R. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la parte ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, si duole del mancato riconoscimento della richiesta protezione sussidiaria in ragione delle attuali condizioni socio-politiche della Nigeria. Si evidenzia da parte della ricorrente che la situazione interna nel Delta State non è tale da garantire la sicurezza dei cittadini, essendo la predetta regione attraversata da conflitti interni, per i quali, peraltro, i giudici del merito avrebbero dovuto attivare i loro poteri officiosi di indagine, in ossequio al principio della cooperazione istruttoria.

2. Con il secondo mezzo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione di legge in riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e all’art. 19 T.U. Imm., per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

3. Il ricorso è fondato nei limiti qui di seguito precisati.

3.1 Il primo motivo è, in realtà, inammissibile.

3.1.1 La doglianza è volta a sollecitare la Corte di legittimità ad una rivalutazione delle fonti informative, già correttamente scrutinaee dai giudici del merito, per accreditare un diverso giudizio in relazione al profilo della pericolosità interna della regione del Delta State, profilo quest’ultimo sul quale la corte territoriale ha argomentato in modo adeguato e scevro da aporie ovvero da altre criticità motivazionali, avendo, invero, il giudice del gravame evidenziato che nel Delta State non vi è una situazione di violenza interna generalizzata e diffusa e che anche gli eventuali profili di rischio collegati a possibili conflitti locali avrebbero dovuto essere accompagnati da un adeguato corredo allegatorio che individualizzasse il rischio della richiedente per la finalità di tutela di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

3.2 Il secondo motivo – articolato in relazione al diniego della protezione umanitaria – è, invece, fondato.

Orbene, il giudice di merito mostra, in realtà, di dubitare della credibilità del racconto della richiedente con motivazione solo apparente, avendo collegato il giudizio di non attendibilità al solo profilo della tardività nel racconto della vicenda umana della ricorrente e alla non genuinità della documentazione del Centro accoglienza della Caritas, attestante il primo racconto dell’accaduto per come raccolto dagli operatori del predetto Centro, senza neanche esaminare funditus la documentazione medica (intervento chirurgico e susseguente aborto), il cui corretto scrutinio avrebbe potuto, invece, far emergere importanti valutazioni di convergenza probatoria rispetto ai dettagli raccontati dalla richiedente protezione (cfr. la vicenda della “tratta” e della violenza sessuale subita nell’età adolescenziale).

Sul punto, va precisato che, nonostante la formale intestazione del motivo di doglianza come violazione di legge, la censura in realtà intercetta il vizio di motivazione, così come sopra rilevato, e dunque merita accoglimento.

3.2.1 Occorre, poi, che il giudice del rinvio acceda alla valutazione comparativa tra la odierna situazione della ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio in Nigeria, da condurre in ossequio ai principi che si andranno ad esporre.

Sul punto, non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4455/2018, per come confermata anche da Cass., ss.uu., sent. 29459/2019), in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (così, Cass. 1104/2020).

Ciò posto, occorre, come detto, rimettere al giudice del rinvio la valutazione della predetta comparazione (invece assente nella motivazione impugnata) tra la odierna condizione della richiedente asilo e quella cui egli verserebbe in caso di suo rimpatrio in Nigeria, e ciò con particolare riferimento a quei profili di particolare vulnerabilità resi evidenti dalla vicenda personale del ricorrente, che è stato oggetto di tratta e di violenza sessuale.

Osserva il collegio, in proposito, che è compito del giudice di merito procedere ad una accurata ed approfondita valutazione della situazione di vulnerabilità sopra descritta.

Il giudizio comparativo tra la condizione personale del richiedente protezione e le conseguenze di un suo eventuale rimpatrio – giudizio alla luce del quale, secondo l’insegnamento di questa Corte (Cass. 4455/2018), andranno valutati funditus, operandone poi un bilanciamento di tipo ipotetico, l’attuale condizione dell’istante nel Paese di accoglienza ed il suo futuro ricollocamento in quello di provenienza – non può prescindere dall’analisi e dal significato del sintagma “condizione di vulnerabilità” vulnerabilità che, alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite, rappresenta soltanto una delle ipotesi per le quali può riconoscersi la protezione umanitaria (così, Cass. 1104/2020, cit. supra).

Le sezioni unite, invero, con la sentenza poc’anzi citata, hanno definitivamente chiarito, quanto ai presupposti necessari per ottenere la protezione umanitaria (in consonanza con la citata pronuncia 4455/2018 di questa Corte, ed in difformità da quanto ritenuto dalla ordinanza di rimessione 11749/2019):

1. che non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano;

2. che gli interessi protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096);

3. che le relative basi normative non sono, allora, “affatto fragili” (come affermato, invece, nell’ordinanza di rimessione), ma “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, con il sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione;

4. che andava, pertanto, condiviso l’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e seguito, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, cit.) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

5. che, con riferimento all’ipotesi che precede, non poteva, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, “nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072). Si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304)”.

Il collegio esprime convinta adesione (al di là del vincolo ex lege che lo impone) a tale insegnamento.

Chiariti i principi posti a presidio dell’istituto della protezione umanitaria, caratterizzata dalla morfologica esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali, condotte caso per caso (onde impedire che il giudice di merito si risolva a declinare valutazioni di tipo “seriale”, improntate ai più disparati quanto opinabili criteri altrettanto seriali), va nuovamente riaffermato il principio secondo il quale, in subiecta materia, oggetto del giudizio è pur sempre la persona, i suoi diritti fondamentali, la sua dignità di essere umano (così, Cass. 1104/2020, cit. supra).

Il giudizio di bilanciamento evocato dalle sezioni unite di questa Corte, che ne sottolineano il rilievo centrale, ha, testualmente, ad oggetto la valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare, si ripete, la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

Si impone pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato per una rivalutazione della domanda di protezione umanitaria improntata ai principi sopra esaminati.

Le spese del giudizio di legittimità sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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