Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13725 del 20/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/05/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 20/05/2021), n.13725

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13183-2020 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE N. 76, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 4768/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 4768/2019, depositata il 5/11/2019, ha respinto l’impugnazione proposta da L.A., cittadino della Nigeria, avverso la decisione del Tribunale che, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, aveva respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici d’appello, all’esito di udienza di comparizione delle parti, hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per sfuggire alle minacce degli aderenti ad una confraternita universitaria, per avere egli denunciato alla polizia l’autore del rapimento di un amico, un musicista noto nel campus universitario, che era stato poi ucciso) non era credibile, per incoerenza interna e contraddizioni e mancanza di precisione (essendo peraltro egli in grado di acquisire informazioni, presso i parenti, sullo stato del processo e sul suo ruolo di testimone), e non integrava i presupposti richiesti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), con riguardo a rischi di persecuzione o di danno grave in caso di rientro nel Paese d’origine; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), il Paese d’origine non risultava interessato da situazione di violenza indiscriminata o generalizzata (come risultava dai Report annuali dei siti Refworld 2016 e Coi/EASO 2017 e 2018); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero.

Avverso la suddetta sentenza, non notificata, L.A. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/5/2020, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge difese).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, Dir. Procedure 2013/32 UE, art. 16, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in punto di valutazione espressa dalla Corte di merito sulla non credibilità delle dichiarazioni del richiedente; 2) con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 7 e art. 14, lett. b), in punto di mancanza di un’indagine officiosa sulla situazione in Nigeria ed in particolare sulla effettiva attivazione da parte delle autorità nigeriane per offrire protezione al richiedente; 3) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in ordine alla situazione politica del Paese d’origine; 4) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in punto di protezione umanitaria, essendo stata omessa la verifica dei presupposti richiesti dalle norme vigenti.

2. Le prime due censure, connesse, sono inammissibili.

La Corte d’appello ha esaminato puntualmente sia le dichiarazioni rese dal richiedente, sia la situazione del Paese d’origine.

Quanto alla lamentata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b), (esame su base individuale della dichiarazione e della documentazione presentate dal richiedente) non può essere inteso nel senso di imporre l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto al giudicante, il quale, al contrario, è tenuto a enunciare le ragioni del proprio convincimento senza tuttavia dover passare in rassegna ciascuna delle prove offerte dal richiedente asilo ed effettuare una precisa esposizione di tutte le singole fonti di prova e del loro specifico peso probatorio; la stessa norma, al comma 5, detta i criteri della decisione in merito alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ma non prescrive una valutazione, separata e prioritaria, dei documenti prodotti dal migrante; al contrario, il giudicante è tenuto a un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, cosicchè anche in questa materia la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie ma deve soltanto fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti; nel caso di specie, il giudice di merito, facendo corretta applicazione dei principi sopra enunciati, ha ritenuto che i molteplici aspetti di genericità e contraddittorietà delle dichiarazioni del migrante pregiudicassero l’accoglimento della domanda di protezione internazionale presentata e, in questo modo, ha attribuito alla inverosimiglianza del racconto carattere determinante.

Quanto alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria del giudice, vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma la Corte di merito ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Inoltre, si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. anche (Cass. 27503/2018 e Cass.29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018).

Sempre in tema (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

Nella specie, tutti gli aspetti significativi della vicenda narrata dal richiedente sono stati esaminati e si è proceduto quindi ad un approfondimento istruttorio, confermandosi, con ampia motivazione, il giudizio di inattendibilità (a fronte di un racconto generico e stereotipato) già espresso in primo grado. La valutazione di non credibilità del racconto ha comportato la non necessità di verifica officiosa della protezione offerta dalle autorità statali nel Paese d’origine, ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b).

3. La terza censura è inammissibile.

La Corte d’appello ha esaminato puntualmente sia le dichiarazioni rese dal richiedente, sia la situazione del Paese d’origine.

Quanto alla verifica officiosa sulla situazione della Nigeria in punto di sicurezza, se è vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), deve tuttavia rilevarsi che la Corte distrettuale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato, consultando fonti internazionali. Inoltre, come già rilevato da questa Corte (Cass.19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicchè “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale” (in termini anche Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).

Ora, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica, in relazione al decisum (avendo la Corte d’appello attivato i poteri di acquisizione officiosa delle informative), e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni e le fonti ufficiali delle stesse che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (limitandosi a richiamare precedenti di altri uffici giudiziari).

In tema di protezione internazionale, il ricorrente per cassazione che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non deve limitarsi a dedurre l’astratta violazione di legge, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate dal giudice di merito avrebbero dovuto ragionevolmente condurre ad un diverso esito del giudizio. La mancanza di tale allegazione impedisce alla Corte di valutare la rilevanza e decisività della censura, rendendola inammissibile (Cass. 22210/20).

La doglianza è altresì inammissibile perchè mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

4. Anche la quarta censura è inammissibile.

Il diritto alla protezione umanitaria è in ogni caso collegato alla sussistenza di “seri motivi”, non tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore (prima della Novella di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018), cosicchè essi costituiscono un catalogo aperto, tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità individuale attuali o pronosticate in dipendenza del rimpatrio: non può essere in nessun caso elusa la verifica della sussistenza di una condizione personale di vulnerabilità, occorrendo dunque una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio: i seri motivi di carattere umanitario possono allora positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti non soltanto un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, ma siano individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente, “perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al citato D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

In conclusione, la sproporzione tra i due contesti di vita non possiede di per sè alcun rilievo, salvo emerga che essa ha determinato specifiche ricadute individuali, distinte da quelle destinate a prodursi sulla generalità delle persone provenienti dal medesimo ambito territoriale.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nelle recenti sentenze nn. 29459 e 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria “.

In definitiva, il carattere “aperto” dei motivi di accoglienza tutelati con la protezione umanitaria non fa venir meno la necessità dell’effettivo riscontro di una situazione di vulnerabilità che non può non partire dalla situazione del Paese di origine del richiedente, correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza.

Ora, nel ricorso, si deduce, genericamente, che la situazione del Paese d’origine è idonea a determinare la privazione dei diritti fondamentali in relazione anche ai problemi di sicurezza interna.

3. Per quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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