Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13722 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 03/07/2020), n.13722

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 34990/2018 proposto da:

Q.M., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Antonino Novello, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 129/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 15/3/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/01/2020 dal Cons. Dott. PAZZI ALBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Caltanissetta, con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., del 18 luglio 2017, rigettava il ricorso presentato da Q.M., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2. La Corte d’appello di Caltanissetta, fra l’altro: i) rilevava che le dichiarazioni del migrante (il quale aveva raccontato di essersi allontanato dal suo paese nel 2010, dopo che alcuni terroristi, entrati in casa del padre per costringerlo a prestar loro delle cure, avevano lì avuto uno scontro con i rangers, che ora lo ricercavano con l’accusa di appoggiare i ribelli), di tenore generico e contraddittorio, non apparivano credibili e comunque si riferivano a circostanze non più attuali; ii) riteneva che in Pakistan non vi fosse una situazione di violenza indiscriminata in una condizione di conflitto interno che comportasse un pericolo nei confronti dell’appellante; iii) osservava che dalle dichiarazioni del migrante non emergeva neppure alcun ulteriore specifico rischio per l’incolumità fisica derivante da persecuzioni, esecuzione di pena di morte, minaccia, violenza indiscriminata o tortura, rilevando altresì che i fatti riferiti risalivano al 2010; iv) escludeva, per le medesime ragioni, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria; v) di conseguenza, con sentenza pubblicata il 15 marzo 2018, rigettava l’appello.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Q.M. prospettando tre motivi di doglianza.

L’amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5: malgrado il ricorrente avesse fornito un racconto del tutto verosimile, compiendo ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e fornendo ogni elemento in suo possesso, la Corte di merito avrebbe erroneamente apprezzato la verosimiglianza delle sue dichiarazioni, in violazione dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e non avrebbe considerato che ai fini del riconoscimento della protezione richiesta è sufficiente che lo Stato tolleri, approvi tacitamente o non sia in grado di fronteggiare la situazione di violenza e sopraffazione esistente nel paese.

4.2 Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.

4.2.1 In materia di protezione internazionale il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare nel caso in cui questi, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 15794/2019).

La valutazione di affidabilità del dichiarante è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati all’interno dell’art. 3, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei a illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019).

La norma in parola obbliga in particolare il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto a un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche a una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019).

La Corte di merito si è ispirata a questi criteri laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese nel corso del colloquio amministrativo, ha rilevato – come previsto dall’art. 3, comma 5, lett. a) e c), appena citato – che il racconto offerto dal richiedente asilo era generico (e dunque non adeguatamente circostanziato) e contraddittorio e non risultava plausibile sotto il profilo della credibilità razionale della concreta vicenda narrata.

Una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; si deve invece escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate, nel senso proposto dal ricorrente, trattandosi di censura attinente al merito.

Censure di questo tipo si riducono infatti all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 3340/2019).

4.2.2 La valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, rendeva inutile un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione personale nel paese di origine (Cass. 16925/2018).

4.2.3 La sentenza impugnata non fa poi il minimo cenno a forme di persecuzione o di danno grave provocate da soggetti non statuali rispetto ai quali lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato non possano o non vogliano fornire protezione, così come dalla lettura della decisione non risulta che una simile questione fosse stata posta dall’appellante.

Allo stesso modo dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, non risulta che il richiedente asilo, nel corso del giudizio di merito, avesse mai allegato simili circostanze. Sicchè trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).

5.1 Il secondo mezzo lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): la corte distrettuale, al fine di riconoscere la protezione sussidiaria, avrebbe erroneamente preteso la rappresentazione coerente di un quadro individuale di esposizione diretta a pericolo, quando in realtà tale condizione non era necessaria; il collegio d’appello, inoltre, avrebbe omesso di valutare autorevoli fonti di informazione il cui contenuto dimostrava che nella regione di provenienza del migrante esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato di livello così elevato da porre in pericolo la vita o la sicurezza dei civili ivi presenti.

5.2 Il motivo è inammissibile.

5.2.1 La Corte di merito, una volta esclusa la credibilità del migrante, ha ritenuto che per il riconoscimento della protezione sussidiaria fosse necessaria una situazione di violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno a cui si assommasse un pericolo derivante negli specifici confronti del richiedente asilo.

5.2.2 Un simile assunto merita di essere corretto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

In vero secondo la giurisprudenza di questa Corte l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 14006/2018).

In questo secondo caso il riconoscimento della protezione non è subordinato alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico dalla situazione generale a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale, ma sussiste anche qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (Cass. 25083/2017).

Dunque ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non sempre sono necessarie la deduzione e la dimostrazione del fatto che, accanto alla situazione di violenza indiscriminata, sussista anche una condizione di minaccia individuale dovuta a elementi che riguardino la situazione personale del migrante.

5.2.3 E’ poi dovere del giudice, rispetto alla seconda ipotesi di riconoscibilità della protezione sussidiaria, verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica allegata dal richiedente asilo, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale deve essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018).

Nel caso di specie la corte distrettuale, pur richiedendo a torto la prova di un riflesso del contesto generale di violenza sulla condizione individuale, ha comunque escluso, all’esito dell’esame delle fonti internazionali reperite, che “in Pakistan vi sia una situazione di violenza indiscriminata in condizione di conflitto interno nei termini richiesti dalla legge”.

A fronte di tali accertamenti la seconda doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito.

L’accertamento del ricorrere di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, compiuta a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisce infatti un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018).

Nè giova al ricorrente la contestazione concernente la mancata valutazione di altre fonti, sia perchè non risulta che le stesse fossero state esplicitamente indicate al giudice di merito (Cass. 29056/2019), sia perchè il mezzo non critica specificamente l’attendibilità della fonte consultata dal collegio di merito.

6.1 Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, art. 8 CEDU e art. 1 Cost., in quanto la Corte distrettuale avrebbe omesso del tutto l’esame della sussistenza dei requisiti per la concessione della protezione per motivi umanitari, facendo discendere la statuizione di rigetto sul punto in maniera automatica dalla reiezione delle domande relative alle misure tipiche.

6.2 Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale, dopo aver evidenziato la mancata prospettazione di una situazione personale di pericolo che giustificasse il riconoscimento della protezione sussidiaria, anche per il carattere inattuale dei fatti riferiti, ha aggiunto che “le suindicate ragioni escludono altresì la sussistenza di ragioni di protezione umanitaria”, intendendo così sostenere che il riconoscimento di quest’ultima forma di protezione rimaneva preclusa non a causa della reiezione delle domande concernenti le forme di protezione maggiori, ma per ragioni coincidenti con quelle poste a base delle precedenti statuizioni e cioè per la carente allegazione di una situazione personale idonea a giustificare un provvedimento di accoglimento.

Con ciò intendendo la Corte d’appello per implicito ribadire gli argomenti già illustrati sul punto dal Tribunale, che – come ricorda lo stesso ricorrente a pag. 3 – aveva sottolineato come il richiedente asilo non avesse dedotto situazioni personali che potessero far ritenere sussistenti i presupposti per accordargli la protezione umanitaria.

La critica non incontra quindi la ratio decidendi della decisione impugnata e se ne astrae, risultando così inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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