Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13721 del 31/05/2017


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Cassazione civile, sez. un., 31/05/2017, (ud. 09/05/2017, dep.31/05/2017),  n. 13721

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19184-2011 proposto da:

M.E., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso il

proprio studio, rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

e contro

UNIONE NAZIONALE DEI GIUDICI PACE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 535/2010 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 14/03/2011;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2017 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

IACOVIELLO FRANCESCO MAURO, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso;

udito l’Avvocato M.E..

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il (OMISSIS) l’avv. M.E., giudice di pace in Rieti, ricorreva dinanzi al tribunale di Perugia, in funzione di giudice del lavoro, per sentir dichiarare, nei confronti del Ministero della giustizia, il diritto di ripetere il contributo integrativo per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e di rivalersi dell’imposta sul valore aggiunto esposta in fattura (riguardo al trattamento economico erogatogli dal mese di aprile del 2004 al mese di dicembre del 2005) e di conseguire anche le ulteriori differenze maturate (per il mese di gennaio 2006). Il primo giudice in rito declinava a favore del giudice tributario la giurisdizione sulla rivalsa dell’IVA e nel merito negava che fosse dovuta l’invocata contribuzione previdenziale su redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente (art. 50, lett. f), t.u.i.r.).

2. Per riforma di tale decisione l’avv. M. proponeva appello. Sosteneva che l’esclusione legale dal regime dei redditi assimilati per le prestazioni rese dagli esercenti una professione riguardasse anche la posizione dei giudici di pace, considerata nell’ultima parte della disposizione. Aggiungeva che, riguardo alla rivalsa dell’IVA, ricorreva l’ordinaria giurisdizione civile avendo il professionista già emesso fattura per il trattamento economico dovutogli come giudice di pace.

3. La Corte territoriale rigettava entrambe le doglianze. In primo luogo osservava che, stante la collocazione della deroga nel mezzo del periodo e non alla fine, la norma fiscale escludeva l’assimilazione ai redditi da lavoro dipendente di indennità, gettoni e compensi relativi a prestazioni rese nell’esercizio di arte, professione o impresa. Il che non poteva avvenire per i giudici di pace, senza che ciò ridondasse in violazione degli artt. 3 e 38 Cost., trattandosi di regime previsto per l’intera magistratura onoraria a prescindere dall’iscrizione o meno in albi professionali. In punto di giurisdizione, osservava che non valeva a radicare la giurisdizione ordinaria il solo fatto che l’avv. M. avesse emesso, peraltro erroneamente, fattura per asserite prestazioni di lavoro autonomo.

4. Per la cassazione di tale decisione, il soccombente ha proposto ricorso affidato a due motivi e memoria. Il Ministero della giustizia resiste con controricorso. L’intimata Unione nazionale dei giudici di pace non svolge attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, denunciando violazione dell’art. 50, lett. f), t.u.i.r. ovvero la sua incostituzionalità (artt. 3 e 38 Cost.), l’avv. M. censura la sentenza d’appello laddove nega l’assoggettamento del trattamento economico percepito quale giudice di pace alla contribuzione per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e all’imposizione sul valore aggiunto. Assume che la disposizione in esame – laddove stabilisce che sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni – stabilisce una regola che è derogata dal successivo inciso “semprechè le prestazioni non siano rese da soggetti che esercitano un’arte o professione e non siano state effettuate nell’esercizio di impresa commerciale”. Osserva che tale deroga sarebbe confermata per i giudici onorari dall’ulteriore riferimento “nonchè i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del tribunale di sorveglianza”. Ne deriverebbe, sul piano letterale e logico, la piena equiparazione di tutti i “soggetti che esercitano un’arte o professione” e che contemporaneamente percepiscono “compensi corrisposti dallo Stato (…) per l’esercizio di pubbliche funzioni”. Il che rileverebbe tanto ai fini di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni in esame, laddove diversamente vi sarebbe violazione degli artt. 3 e 38 Cost.. Infine, nella memoria illustrativa, l’avv. M. premesso che il 16 aprile 2015 la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense avrebbe deliberato la futura contribuzione obbligatoria anche riguardo alle funzioni onorarie – ribadisce la persistenza dell’interesse processuale per il periodo antecedente che è oggetto di causa.

1.1 Il primo motivo non è fondato.

Sul piano dell’evoluzione letterale delle disposizioni sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, si osserva che l’originario testo dell’art. 47, comma 1, lett. f), t.u.i.r. stabiliva che “Sono assimilati a quello di lavoro dipendente (…) le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni, ad esclusione di quelli che per legge debbono essere riversati allo Stato”.

Il D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 2, comma 1, lett. a), n. 2), ha integrato il testo originario nel senso che “Sono assimilati a quello di lavoro dipendente (…) le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni “nonchè i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del Tribunale di sorveglianza”, ad esclusione di quelli che per legge debbono essere riversati allo Stato”.

La legge finanziaria 2004 (L. 24 dicembre 2003, n. 350), art. 2, comma 36, ha ulteriormente novellato il testo inserito nel nuovo art. 50 t.u.i.r. nel senso che: “Sono assimilati a quello di lavoro dipendente (…) le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni, “semprechè le prestazioni non siano rese da soggetti che esercitano un’arte o professione di cui all’art. 49, comma 1, e non siano state effettuate nell’esercizio di impresa commerciale,” nonchè i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del tribunale di sorveglianza, ad esclusione di quelli che per legge devono essere riversati allo Stato”.

Il richiamo all’art. 49 deve intendersi riferito al nuovo art. 53 t.u.i.r, come disposto dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 2, comma 3.

1.2 In sintesi, all’interno del testo già integrato nel 1997 – “Sono assimilati a quello di lavoro dipendente (…) le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni nonchè i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del Tribunale di sorveglianza, ad esclusione di quelli che per legge debbono essere riversati allo Stato” – è stata inserita, tra due virgole un frase incidentale – “semprechè le prestazioni non siano rese da soggetti che esercitano un’arte o professione di cui all’art. 49, comma 1, e non siano state effettuate nell’esercizio di impresa commerciale” – che svolge sintatticamente la funzione di una proposizione subordinata (ipotassi) rispetto a quella che la precede. Le parole successive “nonchè i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del Tribunale di sorveglianza” – sono rette dalla congiunzione “nonchè” nel senso che le è proprio di “e anche”, “e inoltre”. Essa, stabilendo una correlazione tra le parole che seguono e l’iniziale proposizione principale, resta senza relazione sintattica diretta con la proposizione incidentale (ipotassi). Da qui l’esattezza del rilievo del giudice d’appello secondo cui, diversamente, “il legislatore avrebbe collocato la deroga alla fine del periodo e non nel bel mezzo”.

1.3 Peraltro la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che il compenso percepito dai giudici di pace va assoggettato a tassazione secondo le regole dettate prima dall’art. 47, comma 1, lett. f) e ora dall’art. 50, comma 1, lett. f), t.u.i.r. laddove assimila ai redditi di lavoro dipendente le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti a tutti coloro che comunque espletano un’attività comportante l’esercizio di pubbliche funzioni. Si è, inoltre, negato che a diversa conclusione possa condurre qualsiasi argomentazione relativa sia alla natura dell’attività medesima – onoraria ed estranea al rapporto di lavoro dipendente – sia al carattere dell’emolumento percepito indennitario in senso lato – trattandosi di considerazioni irrilevanti di fronte a una disposizione che, elencando i redditi da ritenere, ai fini fiscali, assimilati a quelli del lavoro dipendente, presuppone proprio che si tratti di somme estranee al concetto di reddito di lavoro dipendente in senso stretto. Si è, infine, precisato non assume rilievo il fatto che i compensi corrisposti ai giudici di pace siano stati espressamente inseriti nella previsione normativa solo con il D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 2 dovendosi a questa disposizione attribuire una mera funzione esplicativa e di eliminazione di ogni incertezza rispetto a quanto era già chiaramente insito nel testo previgente della norma (Cass. 14/09/2016, n. 18031; conf. Cass. 16/05/2005, n. 10230). Si tratta di conclusioni già raggiunte da tempo anche per i giudici tributari (Cass. 19/12/2002, n. 18067) e per i vice pretori onorari (Cass. 06/08/2004, n. 15237).

1.4 Gli approdi della giurisprudenza della sezione tributaria della Corte si raccordano a quelli delle sezioni unite in tesi generale (Cass., Sez. U, 09/11/1998, n.11272; conf. Sez. U, 04/09/2015, n. 17591) e della sezione lavoro in particolare (Cass. 09/09/2016, n. 17862), laddove si è osservato che la categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte il giudice di pace (L. 21 novembre 1991, n. 374, art. 1, comma 2) ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l’impiego pubblico.

Si è precisato, inoltre, che i due rapporti si distinguono in base a taluni indici rivelatori quali ad esempio:

a) la scelta del funzionario, che nell’impiego pubblico viene effettuata mediante procedure concorsuali di carattere tecnico-amministrativo;

b) l’inserimento nell’apparato organizzativo dell’amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario;

c) il compenso, che consiste in una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario;

d) la durata del rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (con eventuale rinnovo) quanto al funzionario onorario.

Si chiarito, infine, che l’art. 54 Cost., costituendo l’unica fonte della disciplina costituzionale dell’attribuzione di funzioni pubbliche al cittadino al di fuori del rapporto di pubblico impiego, esclude qualsiasi connotato di sinallagmaticità tra esercizio delle funzioni e trattamento economico per tale esercizio, che è, invece, proprio di quel rapporto; mentre il termine “affidamento”, lungi dal configurarsi come un richiamo a quel connotato, vale, invece, a generalizzare il contenuto della norma, al fine di ricomprendere tutti i casi in cui sia affidata al cittadino – in qualunque modo – una funzione pubblica, imponendogli che essa sia assolta con disciplina ed onore (conf. Cass. 04/11/2015, n. 22569 e 03/05/2005, n. 9155 che hanno escluso la parasubordinazione del giudice di pace).

A conclusione analoghe giunge anche la dottrina nell’affermare che i compensi corrisposti ai giudici di pace, giudici tributari etc. sono assimilati al lavoro dipendente.

1.5 Orbene, riguardo al contributo integrativo per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, esso è previsto dall’art. 1, n. 2, del Regolamento dei contributi vigente pro tempore e adottato in forza del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 1, comma 3. Il successivo art. 6 stabilisce che il contributo integrativo è costituito da “una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume generale d’affari ai fini dell’IVA”, mentre “i contribuenti minimi (…) devono applicare la maggiorazione in fattura commisurandola al corrispettivo lordo dell’operazione”; precisa, inoltre, che “la maggiorazione è ripetibile nei confronti del cliente”. Dunque è lo stesso Regolamento a individuare la base imponibile del contributo integrativo, a carico finale del cliente, con riguardo all’ammontare del corrispettivo dovuto dallo stesso. Il che va escluso non potendosi configurare un rapporto di clientela tra il Ministero della giustizia e il singolo giudice di pace per lo svolgimento di funzioni pubbliche di rango giudiziario, che, come si è visto, non prevedono compensi sinallagmatici ma indennità funzionali assimilate, ai fini fiscali, ai redditi da lavoro dipendente.

1.6 L’esclusione di qualsiasi connotato di sinallagmaticità tra esercizio delle funzioni di giudice di pace e trattamento economico per tale esercizio e la consequenziale natura indennitaria dell’erogazione erariale per l’esercizio di una funzione pubblica portano il rapporto col Ministero della giustizia al di fuori dal rapporto di lavoro e, dunque, al di fuori del perimetro assistenziale e previdenziale approntato dall’art. 38 Cost.. Di ciò v’è indiretto riscontro nel contenuto della L. 28 aprile 2016, n. 57 (Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace), che all’art. 2, comma 13, lett. f), indica come principio direttivo, per il futuro, quello di “individuare e regolare un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell’incarico, senza oneri per la finanza pubblica, prevedendo l’acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull’indennità”, secondo la tecnica non inconsueta della traslazione degli oneri previdenziali a carico del beneficiario (v. es. legge finanziaria 2006, art. 1, comma 208).

1.7. Ogni questione circa l’asserito sopravvenire il 16 aprile 2015 di una pretesa delibera della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense sulla futura eventuale contribuzione obbligatoria anche riguardo alle funzioni onorarie resta estranea al perimetro impugnatorio del ricorso in esame, come lo stesso ricorrente riconosce in memoria.

2. Col secondo motivo, denunciando violazione delle regole sul riparto di giurisdizione, il ricorrente contesta la devoluzione al giudice tributario della controversa imposizione sul valore aggiunto, atteso che, essendo stata già emessa fattura secondo le regole fiscali dettate per il lavoro autonomo, residuerebbe solo un contenzioso sulla misura globale delle spettanze dell’avv. M., devoluta alla cognizione dell’A.G.O..

2.1 Il secondo motivo è fondato.

La controversia promossa dal prestatore nei confronti del beneficiario delle prestazioni per asserita rivalsa dell’IVA esposta in fattura ha natura privatistica, senza alcun profilo o riflesso di spettanza del giudice tributario, atteso che la statuizione al riguardo non investe il rapporto tra contribuente e amministrazione finanziaria, ma si risolve in un accertamento incidentale nell’ambito del rapporto privatistico fra soggetto attivo e soggetto passivo della rivalsa, nel quale l’invocata obbligazione ex lege, se e in quanto realmente operante, si aggiungerebbe all’ammontare del compenso, rimanendo soggetta al relativo regime civilistico (Cass., Sez. U, 04/04/2016, n. 6451; conf. Sez. 1, 15/09/2004, n. 18577; Sez. U, 22/05/1998, n. 5140; Sez. U, 14/12/1992, n. 13199; Sez. U, 03/02/1989, n. 657; Sez. U, 22/07/2002, n. 10693; Sez. U, 29/04/2003, n. 6632; Sez. U, 07/02/2007, n. 2686; Sez. U, n. 08/02/2007, n. 2775).

2.2 Invero, sulla scorta dell’orientamento sopra citato, da tempo le sezioni unite hanno chiarito che nella disciplina dell’imposta sul valore aggiunto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l’obbligazione tributaria, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi specificamente contemplate, insorge a carico del cedente del bene o del prestatore del servizio (art. 17) che svolga operazioni imponibili. Il cessionario del bene od il committente del servizio è assoggettato al diritto-dovere del cedente o prestatore di rivalersi della somma versata all’erario addebitandola sul corrispettivo (art. 18). Il cessionario o committente sopporta quindi l’onere economico della tassazione, ove non possa detrarre l’IVA addebitatagli (art. 19), ma non è debitore d’imposta, e, in coerenza con la mancanza di tale qualità, non è interlocutore dell’amministrazione finanziaria. Pertanto, la controversia sulla legittimità dell’addebito dell’IVA in via di rivalsa riguarda solo le parti del rapporto privatistico, non il rapporto tributario col fisco. La terzietà erariale non viene meno quando sia controverso il presupposto della rivalsa, cioè l’obbligazione d’imposta del cedente/prestatore, perchè l’indagine richiesta da tale deduzione resta sul piano dell’accertamento incidentale di una questione pregiudiziale, non introduce una causa pregiudiziale e non potrebbe introdurla, essendo riservato al debitore d’imposta di sollecitare il sindacato giudiziale sull’an od il quantum del credito tributario (Cass., Sez. U, 07/11/2000, n. 1147).

2.3 A conclusioni non dissimili si deve giungere anche riguardo alla giurisprudenza Europea (Corte giustizia, 15/03/2007, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH), laddove si afferma che – ad eccezione dei casi espressamente previsti dalle disposizioni della sesta direttiva (art. 21, punto 1) – solo il prestatore dev’essere considerato debitore dell’imposta sul valore aggiunto nei confronti delle autorità tributarie dello Stato membro del luogo delle prestazioni (v. punto 33, dispositivo 2). Il che conferma che l’adempimento di una asserita obbligazione di pagare l’IVA in via di rivalsa è estranea alla giurisdizione sul rapporto d’imposta devoluta al giudice tributario, spettando all’ordinamento degli Stati membri stabilire la modalità procedurali per garantire la salvaguardia dei singoli (v. punti 42, 45, dispositivo 3).

3. Tirando le fila del discorso sin qui condotto, una volta rigettato il primo motivo, va accolto il secondo e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario riguardo alla controversia sulla rivalsa dell’IVA; la sentenza impugnata va, pertanto, cassata sul punto con rinvio, anche per le spese, al tribunale di Perugia in diversa composizione.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; dichiara sul punto la giurisdizione del giudice ordinario; rinvia al tribunale di Perugia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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