Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13721 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 03/07/2020), n.13721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 32731/2018 proposto da:

H.U., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Antonino Novello, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 154/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 23/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/1/2020 dal Cons. Dott. PAZZI ALBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. H.U., cittadino (OMISSIS) proveniente dall'(OMISSIS), presentava ricorso avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Siracusa al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il Tribunale, una volta respinta la domanda volta a riconoscere lo status di rifugiato, accoglieva invece la domanda di protezione sussidiaria in ragione della situazione di violenza generalizzata, ritenuta di estrema gravità, esistente nell'(OMISSIS).

2. La Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza pubblicata il 23 marzo 2018, accoglieva l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Interno, ritenendo che il migrante, in caso di rimpatrio, non sarebbe stato soggetto ad alcun grave rischio, in considerazione del carattere non veritiero delle sue dichiarazioni e del fatto che nella regione di provenienza vi erano tensioni sicuramente preoccupanti, ma non comportanti una condizione di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso H.U. prospettando tre motivi di doglianza.

L’amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5: malgrado il ricorrente avesse fornito un racconto del tutto verosimile, compiendo ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e fornendo ogni elemento in suo possesso, la Corte di merito avrebbe erroneamente apprezzato la verosimiglianza delle sue dichiarazioni, in violazione dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e non avrebbe considerato che ai fini del riconoscimento della protezione richiesta è sufficiente che lo Stato si disinteressi, per inerzia o scelta politica, di proteggere i suoi cittadini, lasciandoli in balia di terroristi o gruppi sociali violenti.

4.2 Il secondo mezzo lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): la corte distrettuale, al fine di riconoscere la protezione sussidiaria, avrebbe erroneamente preteso che il migrante fornisse la prova di un diretto coinvolgimento nel conflitto esistente nel Paese di origine piuttosto che limitarsi a constatare che la sola presenza in quei luoghi avrebbe comportato una minaccia alla sua vita o alla sua persona; il collegio d’appello, inoltre avrebbe omesso di valutare autorevoli fonti di informazione il cui contenuto dimostrava che nella regione di provenienza del migrante esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato di livello così elevato da porre in pericolo la vita o la sicurezza dei civili ivi presenti.

4.3 I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione del rapporto di stretta connessione che li lega, risultano inammissibili, pur con le precisazioni che si vanno a illustrare.

4.3.1 A fronte del riconoscimento da parte del primo giudice della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e dell’appello su questo specifico punto del Ministero dell’Interno (in quanto non sarebbe sussistita la situazione di violenza generalizzata a ciò necessaria, come risulta indicato a pag. 2 della sentenza impugnata), la Corte di merito, una volta esclusa la credibilità del migrante, ha ritenuto che per il riconoscimento di una simile forma protezione fosse necessaria una situazione di violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale di livello così elevato da far ritenere che un civile correrebbe il rischio di subire una minaccia alla sua vita o alla sua incolumità per la sua sola presenza nel territorio.

Il che significherebbe, a parere della Corte territoriale, che alla situazione di conflitto armato si dovrebbe quindi sommare, quale ulteriore presupposto, “il riscontro effettivo di una “minaccia grave e individuale” alla vita e alla persona del civile”.

4.3.2 Un simile assunto merita di essere corretto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

In vero secondo la giurisprudenza di questa Corte l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 14006/2018).

In questo secondo caso il riconoscimento della protezione non è subordinato alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico dalla situazione generale a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale, ma sussiste anche qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (Cass. 25083/2017).

Dunque ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non sempre sono necessarie la deduzione e la dimostrazione del fatto che, accanto alla situazione di violenza indiscriminata, sussista anche una condizione di minaccia individuale dovuta a elementi che riguardino la situazione personale del migrante.

4.3.3 Il ricorrere della prima ipotesi sopra indicata, ricollegata alla situazione soggettiva del richiedente, rimaneva precluso dal giudizio di non credibilità del ricorrente.

Tale valutazione di affidabilità del dichiarante è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati all’interno dell’art. 3, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei a illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019).

La norma in parola obbliga in particolare il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto a un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche a una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019).

La Corte di merito si è ispirata a questi criteri laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante, ha rilevato – come previsto dall’art. 3, comma 5, lett. a) e c), appena citato – che il racconto offerto dal richiedente asilo era vago (e dunque non adeguatamente circostanziato) e contraddittorio e non risultava plausibile sotto il profilo della credibilità razionale della concreta vicenda narrata.

Una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; si deve invece escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, nel senso proposto in ricorso, trattandosi di censura attinente al merito.

Censure di questo tipo si riducono infatti all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 3340/2019).

4.3.4 La valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, rendeva inutile un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione personale nel paese di origine (Cass. 16925/2018).

4.3.5 La sentenza impugnata non fa poi il minimo cenno a forme di persecuzione o di danno grave provocati da soggetti non statuali rispetto ai quali lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato non possano o non vogliano fornire protezione, così come dalla lettura della decisione non risulta che una simile questione fosse stata posta dall’appellante.

Allo stesso modo dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, non risulta che il richiedente asilo, nel corso del giudizio di merito, avesse mai allegato simili circostanze. Sicchè trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).

4.3.6 Va detto, inoltre, che la Corte di merito non ha affatto ritenuto implicitamente necessario un coinvolgimento attivo dell’autorità statuale in termini di persecuzione diretta o collusione con gruppi privati (reputando invece, come detto, che alla presenza di un conflitto armato dovesse assommarsi il riscontro effettivo di una minaccia grave e individuale), di modo che il profilo di doglianza formulato a questo proposito risulta privo del carattere di riferibilità alla decisione impugnata.

4.3.7 Rispetto alla seconda ipotesi di riconoscibilità della protezione sussidiaria è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica allegata dal richiedente asilo, astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018).

La corte distrettuale, pur richiedendo a torto la prova di un riflesso del contesto generale di violenza sulla condizione individuale, ha comunque escluso, all’esito dell’esame delle fonti internazionali reperite, che nella regione di provenienza del migrante, pur in presenza di “tensioni sicuramente preoccupanti”, sussistesse una situazione tale da costituire una “minaccia grave e individuale alla vita di un civile”.

A fronte di tali accertamenti la seconda doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito.

L’accertamento del ricorrere di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, compiuta a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisce infatti un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018).

Nè giova al ricorrente la contestazione concernente la mancata valutazione di autorevoli fonti, sia perchè non risulta che le stesse fossero state esplicitamente indicate al giudice di merito (Cass. 29056/2019), sia perchè il mezzo non critica specificamente l’attendibilità della fonte consultata dal collegio di merito.

6.1 Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32: la corte territoriale, a seguito dell’accoglimento dell’appello rispetto alla domanda di protezione sussidiaria, avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di concessione della protezione umanitaria, che il ricorrente aveva proposto in primo grado e su cui il Tribunale non aveva provveduto ritenendola assorbita.

6.2 Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 11799/2017) ha infatti chiarito che la parte deve proporre appello incidentale ogni volta che una sua domanda ed eccezione sia stata espressamente rigettata in prime cure, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza.

La devoluzione al giudice di appello della cognizione di una simile questione ad opera della parte, pur se vittoriosa quanto all’esito finale della lite, esige quindi la proposizione di appello incidentale (implicitamente condizionato all’accoglimento dell’appello principale avversario); è sufficiente invece la mera, ma espressa, riproposizione della questione, ex art. 346 c.p.c., ove la domanda non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, da parte del giudice di primo grado.

La domanda rimasta tecnicamente assorbita nell’accoglimento della domanda principale, perchè proposta in via subordinata, deve dunque essere riproposta dall’appellato vittorioso, a mente dell’art. 346 c.p.c. e si intende diversamente rinunciata.

Sul punto occorre pertanto ribadire che l’appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione (Cass. 7457/2015).

Nel caso di specie, in mancanza di alcuna riproposizione della domanda volta a ottenere la protezione umanitaria – che l’odierno ricorrente non ha neppure allegato di aver fatto – nessuna omissione di pronuncia può essere predicata, dato che la domanda doveva intendersi come rinunciata ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto.

La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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