Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13720 del 03/07/2020

Cassazione civile sez. I, 03/07/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 03/07/2020), n.13720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32879/2018 proposto da:

A.W., elettivamente domiciliato in Mazzarino, alla via Bivona

n. 37, presso lo studio dell’Avv. A. Ficarra, che lo rappresenta e

difende per procura rilasciata in foglio separato ma unito a

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 195/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 18/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2019 da Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Caltanissetta ha respinto il gravame proposto da A.W., cittadino (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta che, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente di religione sunnita) ha riferito di essere fuggito da (OMISSIS) temendo di essere ucciso dai membri di un gruppo estremista della sua stessa etnia, perchè dopo alcuni scontri mortali tra sciiti e sunniti, suo padre aveva testimoniato, in un processo penale, contro i membri del proprio gruppo facendo si che due di essi fossero condannati alla pena capitale. Da quel momento, la famiglia del ricorrente era stata rinnegata dalla comunità sunnita e dallo stesso Iman, ed era rimasta vittima di alcuni attentati, pertanto egli, esortato dal padre, aveva deciso di lasciare il Pakistan.

Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello: (i) sotto un primo profilo, per mancata traduzione nella lingua conosciuta da ricorrente sia della decisione amministrativa della commissione (in particolare, la parte motiva), sia dell’impugnata sentenza; (il) sotto un secondo profilo, per conseguente nullità per mancanza di motivazione in lingua comprensibile al ricorrente; (iii) sotto un terzo profilo, perchè il racconto del richiedente asilo doveva essere considerato preciso, veritiero e non contraddittorio, secondo i parametri della credibilità soggettiva e del necessario approfondimento istruttorio, alla luce del conflitto di religione che costituisce nella specie, il presupposto per il riconoscimento della protezione internazionale; (iv) sotto un quarto profilo, per errata contestualizzazione della vicenda del ricorrente nel quadro generale del paese di provenienza, dove i conflitti di religione e la diffusa corruzione del sistema di polizia,, rendono esposto il ricorrente al rischio per la propria incolumità in caso di rimpatrio.

Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, perchè connessi, sono inammissibili, in quanto il profilo della mancata traduzione della decisione della Commissione territoriale (relativamente alla sola parte motiva) è “nuovo”, non essendo state riportate le corrispondenti censure svolte in primo e secondo grado; mentre, in riferimento al profilo della mancata traduzione della sentenza impugnata, lo stesso è infondato, in quanto, ai sensi dell’art. 122 c.p.c.,”in tutto il processo è prescritto l’uso della lingua italiana” (cfr. Cass. n. 23760/19), mentre, se sussiste un problema di comprensione nello svolgimento del relativo giudizio, il giudice può nominare un interprete, circostanza non oggetto di censura, inoltre, il ricorrente, che si è pienamente difeso nel merito, non ha evidenziato alcun vulnus al proprio diritto di difesa, trattandosi, pertanto, di una censura genericamente formulata.

Il terzo e quarto motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono inammissibili perchè non censurano la ratio decidendi sul giudizio di non credibilità (vedi p. 5 della sentenza impugnata); inoltre, la Corte d’appello ha accertato, con giudizio di fatto insindacabile in questa sede. (che richiama i più recenti reports sul Pakistan), che nella zona di provenienza del ricorrente non vi è conflitto al livello di guerra civile, nè violenza indiscriminata, tale da costituire grave pericolo di vita qualora il ricorrente dovesse tornare nel proprio paese.

Infine, i suesposti motivi, propongono in maniera inammissibile esclusivamente censure di merito.

La mancata costituzione dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2020

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