Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13715 del 07/06/2010

Cassazione civile sez. I, 07/06/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 07/06/2010), n.13715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5014-2008 proposto da:

M.O., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARRA ALFONSO LUIGI, giusta procura, speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

3430 avverso il decreto N. 54004/05 R.G.A.D. della CORTE D’APPELLO di

ROMA del 29/05/06, depositato il 31/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che M.O., con ricorso dell’8 febbraio 2008, ha impugnato per cassazione – deducendo numerosi motivi di censura, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 31 gennaio 2007, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della M. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso, ha condannato il resistente a pagare alla ricorrente la somma di Euro 250,00 a titolo di equa riparazione, nonchè la somma di Euro 800,00, di cui Euro 500,00 a titolo di onorari ed Euro 250,00 a titolo di diritti, oltre accessori;

che il Ministro della giustizia, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva; che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo presupposto, proposta con ricorso del 26 luglio 2005, era fondata sui seguenti fatti: a) la M. creditrice di differenze retributive e previdenziali, aveva proposto – con ricorso del 1 febbraio 2001 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 12 aprile 2002; e) avverso tale sentenza era stato proposto appello con ricorso del 14 marzo 2003, ancora pendente; che la Corte d’Appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto di primo grado, periodo nella specie non superato -, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata del processo di appello, alla data del deposito del ricorso di equa riparazione, in poco più di quattro mesi ed ha liquidato a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale la somma di Euro 250,00, per l’esiguità dell’eccedenza rispetto alla ragionevole durata del processo di appello (Euro 750,00:12×4= Euro 250,00);

Considerato che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni, vengono denunciati come illegittimi: a) la considerazione del solo periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto (tre anni), anzichè l’intera durata dello stesso; b) l’applicazione di un parametro di liquidazione dell’indennizzo ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; c) il mancato riconoscimento del diritto al supplemento di indennizzo per il danno non patrimoniale, in relazione al bonus forfetario dovuto in ragione della materia previdenziale trattata nel processo presupposto; d) la violazione dei minimi tariffar forensi nella liquidazione delle spese di giudizio di merito; che il ricorso non merita accoglimento;

che, in particolare, la censura sub a) è infondata, perchè, secondo il costante orientamento di questa Corte, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta non incoerente rispetto alle finalità sottese, all’art. 6 della CEDU, impone di correlare l’indennizzo al solo periodo eccedente la ragionevole durata di tale processo, eccedente cioè il periodo di tre anni per il giudizio di primo grado, quale quello di specie (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8714 del 2006, 14 del 2008, 10415 del 2009); che la censura sub b) è infondata, perchè i Giudici a quibus non si sono sostanzialmente discostati dal consolidato orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni, consentendo una ragionevole riduzione dell’indennizzo nel caso, quale quello di specie, di non eccessiva eccedenza rispetto al triennio di ragionevole durata;

che la censura sub c) è infondata alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la liquidazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale possa giungere fino a 2000 Euro per anno, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo, potendo il giudice del merito tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura giuslavoristica della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 17684 del 2009);

che la censura sub d) è infondata, in quanto – posto che ai fini della liquidazione delle spese processuali, il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nè rientra tra quelli speciali di cui alla tabelle A) e B) allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3) , per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata a detto decreto ministeriale, i procedimenti in camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 25352 del 2008), nella specie, tenuto conto dell’indennizzo liquidato di Euro 250,00, la liquidazione dei diritti e degli onorari operata dai Giudici a quibus non eccede i limiti minimi della predetta tariffa, mentre quanto agli esborsi la censura è inammissibile per assoluta genericità (manca l’indicazione delle singole spese asseritamente non riconosciute);

che, pertanto, il ricorso deve essere complessivamente respinto;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 300,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2010

 

 

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