Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13713 del 31/05/2017

Cassazione civile, sez. III, 31/05/2017, (ud. 29/03/2017, dep.31/05/2017),  n. 13713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1156-2016 proposto da:

V.L., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE

CLODIA 36, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE MARIO VAVALA’,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUCA

PRONESTI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta

Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO

COLONNA 27, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA CIOTOLA, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3257/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato RAFFAELE MARIO VAVALA’.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 26 maggio 2015, ha rigettato l’appello proposto da V.L., quale socio e legale rappresentante di GEPA Srl, e da B.M., quale socia di GEPA Srl, avverso sentenza n. 8443/2011 del Tribunale di Roma, che aveva rigettato la loro domanda di revocazione ex art. 395 c.p.c. avente ad oggetto due convalide di licenza per finita locazione attinenti a due immobili siti in via (OMISSIS) e ottenute nei loro confronti dalla Regione Lazio; contro tale sentenza ha presentato ricorso il V. in proprio e quale legale rappresentante della GEPA Srl sulla base di tre motivi, sviluppati poi anche in memoria; si difende con controricorso la Regione Lazio.

2. Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 326 e 398 c.p.c., per essere stata la revocazione dichiarata tardiva per un mutamento giurisprudenziale posteriore alla proposizione della domanda, anzichè con ricorso, con atto di citazione come ad avviso del ricorrente insegnava la giurisprudenza dell’epoca, mutamento che, pena violazione degli artt. 24 e 111 Cost., sarebbe inapplicabile.

Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 359 e 40 c.p.c. per avere la corte territoriale rigettato l’appello per non impugnabilità di più provvedimenti con un atto unico, che invece sussisterebbe in caso di provvedimenti riguardanti le stesse parti e questioni di diritto analoghe purchè non si confonda il giudice con motivi non specifici: e i requisiti qui ricorrerebbero.

Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 1 per avere il giudice d’appello negato la sussistenza del dolo revocatorio per la presenza norme di legge conosciute o conoscibili trattandosi invece, secondo il ricorrente, di un caso di ignoranza inevitabile – e per non avere ravvisato il dolo revocatorio anche nel silenzio della Regione Lazio sulle “circostanze che le impedivano” di “introdurre i procedimenti di finita locazione”.

3. La sentenza impugnata si fonda su tre rationes decidendi, a ciascuna delle quali è dedicato uno dei tre motivi appena esposti. E il primo motivo è infondato, giacchè non corrisponde al vero l’asserto che sia avvenuto posteriormente alla causa qui in esame un mutamento dell’orientamento giurisprudenziale nel senso di pretendere che il giudizio di revocazione si instauri con lo stesso rito che ha governato il giudizio da cui è sortito il provvedimento rispetto al quale la revocazione viene chiesta. Che il giudizio di revocazione rispetto ad una sentenza pronunciata con rito del lavoro o locatizio debba essere instaurato con ricorso, e non con atto di citazione, costituisce insegnamento consolidato già ben prima di questa causa (oltre a Cass. sez. 3, 9 giugno 2010 n. 13834 – correttamente richiamata dal giudice d’appello -, tra gli arresti massimati si sono pronunciati nello stesso senso Cass. sez. L, 9 gennaio 1979 n. 136, Cass. sez. 3, 24 febbraio 1982 n. 1167, Cass. sez. 3, 14 aprile 1992 n. 4537 e Cass. sez. L, 23 giugno 2016, n. 13063; e cfr. pure Cass. sez. L, 8 aprile 1991 n. 3680 e Cass. sez. 3, 29 settembre 2009 n. 20812).

Da ciò consegue che, assorbiti per l’autonomia di questa non inficiata ratio decidendi gli ulteriori motivi, il ricorso deve essere rigettato, e il ricorrente condannato alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo; sussistono inoltre D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art..

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 3000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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