Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13707 del 31/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.31/05/2017),  n. 13707

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31-2015 proposto da:

S.G. VED. G., SI.EM., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6, presso lo studio

dell’avvocato ADOLFO DI MAJO, rappresentati e difesi dall’avvocato

UGO SCIRE’ giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

LA SORGENTE SOCIETA’ COOPERATIVA A RL IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Commissario Liquidatore Avv. SO.RO., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio

dell’avvocato SALVATORE TORRISI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PIETRO BRUNO giusta procura a margine del

controricorso;

D.C.B.N., G.C., I.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANDREA MILLEVOI, 73/81,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FIERTLER, che li rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SANDRO DE GIUSEPPE giusta procura

in calce al controricorso;

F.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI

21, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TORRISI, rappresentato

e difeso dall’avvocato FRANCESCO CAPOLUPO giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

V.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 622/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 03/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/03/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con la sentenza impugnata, pubblicata il 3 maggio 2014, la Corte di Appello di Catanzaro ha rigettato l’appello principale proposto da Si.Em. e S.G. nei confronti di La Sorgente Società Cooperativa a r.l. e F.D., nonchè di I.G., N.D.C.B., G.C., V.S., e l’appello incidentale di questi ultimi quattro avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza dell’8 maggio 2008.

Questa era stata pronunciata nel giudizio introdotto da Si.Em. nei confronti della Cooperativa La Sorgente a r.l. e dei componenti del Consiglio di Amministrazione al fine di sentire emettere una sentenza produttiva degli effetti del contratto di assegnazione definitiva non concluso per colpa della cooperativa e del suo presidente ( I.G.) o eventualmente di tutti i componenti del CDA, relativamente alle unità immobiliari specificate in atti, con la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, e, in via subordinata, la declaratoria di illegittimità dell’operato del CDA in ordine all’approvazione delle tabelle millesimali allegate al regolamento condominiale e la consequenziale illegittimità della loro applicazione per la quantificazione dei costi di costruzione e del relativo conguaglio (pari ad Euro 2.875,79) preteso dalla cooperativa per la stipula dell’assegnazione definitiva.

Nel giudizio era intervenuto G.F., spiegando analoga domanda in riferimento alle unità immobiliari specificate nell’atto di intervento volontario, deducendo l’illegittimità della pretesa della cooperativa della somma ulteriore, a titolo di conguaglio, di Euro 2.936,68.

I convenuti si erano tutti costituiti in giudizio resistendo alle domande, che il Tribunale, con la sentenza di cui sopra, aveva rigettato, compensando le spese di lite.

2. La Corte d’appello -adita in via principale dal Si. e da S.G., erede di G.P., ed in via incidentale da quattro dei componenti del CDA evocati in proprio, in riferimento al capo di sentenza col quale erano state compensate le spese di lite e rigettata la loro domanda di condanna degli attori per lite temeraria- ha confermato la sentenza di primo grado. Respinti gli appelli, principale ed incidentale, la Corte ha compensato parzialmente le spese del secondo grado di giudizio tra appellanti principali ed incidentali ed ha condannato i primi all’integrale pagamento delle spese del grado in favore della cooperativa e del F..

3. Si.Em. e S.G., vedova G. (erede di G.P.), propongono ricorso per cassazione con otto motivi.

La Cooperativa Edilizia La Sorgente a r.l. in liquidazione e F.D., nonchè congiuntamente I.G., N.D.C.B., G.C. si difendono con distinti controricorsi.

Non si difende V.S..

Fissata la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi dall’art. 375 c.p.c., comma 2, il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte; le parti ricorrenti ed i resistenti I., D.C. e G. hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.I primi cinque motivi di ricorso sono rivolti contro la statuizione del giudice d’appello con la quale, una volta accertato che la pretesa della cooperativa di pagamento del conguaglio non risultava illegittima (come si dirà trattando dei restanti tre motivi) e che gli attori poi appellanti non si erano dichiarati disponibili ad eseguire la propria prestazione, ha escluso di poter emettere una sentenza costitutiva che tenesse luogo dell’assegnazione definitiva, con effetto traslativo condizionato al pagamento del conguaglio.

1.1. Contro questa decisione, col primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2932 e 1208 c.c. e segg..

Col secondo, illustrato congiuntamente (ma in modo che sia possibile distinguere il vizio di motivazione da quello di violazione di legge: cfr., per l’ammissibilità, Cass. S.U. 9 maggio 2015, n. 9100), si deduce omesso esame documentale e vizio di motivazione.

I ricorrenti sostengono che il giudice d’appello, nel rigettare la domanda ex art. 2932 c.c., avrebbe omesso di considerare che la questione relativa al conguaglio preteso dalla cooperativa -e ritenuto non dovuto dai soci Si. e G.- aveva comunque formato oggetto di una (richiesta di) statuizione subordinata ed accessoria all’accoglimento della domanda costitutiva. Pertanto, secondo i ricorrenti, il giudice -anche se era stato domandato dai soci l’accertamento della legittimità del conguaglio, da loro contestato-ben avrebbe potuto subordinare l’accoglimento della domanda di assegnazione definitiva ex art. 2932 c.c. al versamento del conguaglio, come d’altronde richiesto anche dalla cooperativa, con la comparsa di costituzione e risposta in primo grado. Aggiungono che non sarebbe stata necessaria l’offerta formale della controprestazione e che la serietà dell’offerta di pagamento del saldo si sarebbe dovuta ritenere in re ipsa nel caso di specie per due ordini di ragioni: l’esiguità degli importi pretesi a conguaglio, a fronte degli importi già interamente versati dai soci come prezzo degli alloggi (pari ad Euro 112.804,00 ciascuno); la non esigibilità della prestazione del conguaglio al momento della domanda giudiziale ma tutt’al più al momento della stipulazione del contratto definitivo, in quanto pretesa non a titolo di saldo prezzo ma a titolo, appunto, di conguaglio (come da lettere a firma del Presidente della cooperativa prodotte in giudizio e da conclusioni rassegnate dalla stessa cooperativa, non considerate dal giudice a quo). Concludono, osservando che, dati i principi giurisprudenziali affermati al riguardo (in particolare da Cass. n. 28454/13 e n. 19984/13, oltre che da Cass. n. 17688/10 e n. 477/10 ed, in termini, da Cass. n. 21896/11, tutte richiamate dai ricorrenti), la pronuncia condizionata al pagamento del conguaglio non sarebbe stata affatto viziata da ultrapetizione, come erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello.

1.2.Col terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2932 c.c., comma 2, e art. 1460 c.c.. I ricorrenti sostengono che il giudice d’appello ha affermato l’inadempimento dei soci, senza che fosse stata formalmente avanzata l’eccezione ai sensi dell’art. 1460 c.c.. Rilevano che, nell’atto di costituzione in primo grado, la cooperativa aveva fatto presente di avere tutto l’interesse alla stipula degli atti pubblici di trasferimento degli immobili già assegnati ai signori Si. e G., anche perchè avrebbe consentito “tra l’altro, di liquidare il sodalizio”. Ancora, secondo i ricorrenti, la Corte di merito non avrebbe nemmeno considerato la scarsa importanza del mancato pagamento del conguaglio a fronte dell’importo di prezzo già corrisposto e non avrebbe effettuato alcuna valutazione comparativa delle contrapposte prestazioni.

2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati, nei limiti e per le ragioni di cui appresso.

I principi di diritto da applicare sono proprio quelli richiamati dai ricorrenti, che conseguono alla corretta interpretazione dell’art. 2932 c.c., comma 2.

L’orientamento consolidato di questa Corte è infatti nel senso che “Nel caso in cui le parti di un contratto preliminare di vendita immobiliare abbiano convenuto che il pagamento del residuo prezzo debba essere effettuato all’atto della stipulazione del contratto definitivo, l’offerta di cui all’art. 2932 c.c., comma 2 è da ritenersi soddisfatta con la domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto, essendo essa necessariamente implicita nella domanda, così che, in tale ipotesi, deve senz’altro essere emessa la sentenza produttrice degli effetti del contratto non concluso ed il pagamento del residuo prezzo deve essere imposto come condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo derivante dalla pronuncia del giudice. Ne consegue che il contraente che chieda l’esecuzione specifica di un contratto preliminare di vendita è tenuto ad eseguirne la prestazione o a farne offerta se questa sia esigibile al momento della domanda giudiziale, mentre non è tenuto a pagare il prezzo quando, in virtù delle obbligazioni nascenti dal preliminare, il pagamento di esso o del residuo risulti dovuto all’atto della stipulazione del definitivo” (così Cass., 14 gennaio 2010, n. 477; ma cfr., nello stesso senso, tra le altre, già Cass. 10 novembre 2003, n. 16822; Cass. 21 aprile 2005, n. 8368; Cass. 31 luglio 2007, n. 16881; nonchè, più recentemente, Cass. 19 dicembre 2013, n. 28454 e Cass. 23 maggio 2016, n. 10605).

2.1. Nel caso di specie, la non esigibilità della prestazione del pagamento del conguaglio al momento della domanda, ma soltanto al momento della stipulazione del contratto definitivo, risulta, come notano i ricorrenti, dalle lettere del Presidente della cooperativa prodotte in giudizio e non considerate dalla Corte d’appello. Con queste lettere (datate 1 agosto 2003 per il Si. e 5 settembre 2003 per il G.), è stato dato conto del fatto che il conguaglio avrebbe potuto essere pagato “anche contestualmente alla stipula dell’atto di assegnazione”.

D’altronde, la cooperativa, non solo non ha mai contestato questo dato, ma l’ha condiviso quando, nel costituirsi in giudizio, ha dichiarato di avere tutto l’interesse alla stipula degli atti pubblici di trasferimento degli immobili già assegnati ai soci Si. e G., pur subordinando questo interesse al pagamento dei conguagli, ritenuto perciò ancora possibile al momento, appunto, dell’assegnazione definitiva. Giova aggiungere che la cooperativa non ha svolto domanda di risoluzione del preliminare, nè eccezione d’inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c..

2.2. Date queste risultanze in fatto, il principio di cui sopra sarebbe stato applicabile de plano. Tuttavia, occorre farsi carico della decisione della Corte di merito che ha ritenuto di non poter disporre il trasferimento coattivo degli immobili subordinandolo al pagamento dei conguagli, sulla base dei seguenti due argomenti: a) gli attori non si erano dichiarati disponibili a eseguire la propria prestazione di pagamento del conguaglio; b) comunque non avrebbero avanzato specifica domanda, nemmeno subordinata, di emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., condizionata al relativo pagamento.

Entrambe tali affermazioni sono errate, per le ragioni appresso per ciascuna indicate.

a) Con riferimento alla ritenuta necessità di manifestare la disponibilità al pagamento del conguaglio, va evidenziato come corollario del principio di diritto sopra enunciato è quello per il quale, ai sensi dell’art. 2932 c.c., comma 2, non solo non è richiesta nessuna offerta formale, ma nemmeno è necessaria la manifestazione espressa della volontà o della disponibilità di corrispondere la controprestazione, poichè questa si ritiene implicita nella domanda di sentenza costitutiva (cfr., oltre alle sentenze su citate, anche Cass. 30 agosto 2013, n. 19984). Peraltro, in senso contrario, non appare affatto decisivo l’atteggiamento processuale tenuto dagli attori, nel senso che debba essere interpretato -come sembra averlo interpretato il giudice a quo- come se, al rifiuto di pagare il conguaglio manifestato prima dell’instaurazione del giudizio, sia seguito analogo ed insistito rifiuto anche in sede giudiziale. In effetti, la formulazione ed il coordinamento delle domande proposte con l’atto introduttivo del giudizio non sono particolarmente puntuali, in quanto alla domanda subordinata di accertamento dell’illegittimità dei conguagli (sulla quale si insiste col primo motivo di ricorso) non è stata fatta espressamente seguire ulteriore domanda subordinata di trasferimento coattivo condizionato al pagamento comunque del conguaglio, per l’eventualità che invece questo fosse ritenuto legittimo (come di fatto è poi accaduto). Tuttavia, proprio la contestualità delle due domande e l’esiguità delle somme in contestazione, a fronte del prezzo complessivamente già pagato alla cooperativa per l’assegnazione degli immobili, avrebbero dovuto essere valutate dal giudice come indici della serietà della pretesa degli attori ad ottenere la sentenza costitutiva, anche condizionata, senza necessità di offerta di pagamento del conguaglio. Si tratta di un contesto processuale analogo a quello riconosciuto come ammissibile dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte quando consente di proporre, cumulativamente e contestualmente, una domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di vendita e una domanda di riduzione del prezzo per vizi della res (cfr., tra le altre, Cass. 26 gennaio 2010, n. 1562 secondo cui, in presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene, ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 c.c., chiedendo cumulativamente e contestualmente l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo) e conclude nel senso che “l’offerta del prezzo, prevista dall’art. 2932 c.c., comma 2, non è necessaria, ove il pagamento, quale che risulti il prezzo ancora dovuto all’esito dell’accertamento sull’esistenza dei vizi della cosa venduta, non sia esigibile prima della conclusione del contratto definitivo” (così Cass. 30 agosto 2013, n. 19984). Analogamente, nel caso di specie, va affermato che l’offerta del prezzo prevista dal secondo comma dell’art. 2932 c.c. non è necessaria, ove il pagamento non sia esigibile al momento della domanda, quale che risulti il prezzo ancora dovuto all’esito dell’accertamento dell’importo complessivo da corrispondere, contestualmente richiesto dall’attore, promissario acquirente, che contesti la pretesa di maggior prezzo avanzata dal convenuto, promittente alienante.

b) La sentenza impugnata, non solo non si è attenuta a questa conclusione, ma, nel pretendere apposita domanda (sia pure subordinata) di sentenza costitutiva subordinata al pagamento del prezzo, ha finito per disattendere un altro orientamento univoco di questa Corte di legittimità.

Si tratta dell’orientamento espresso dal principio di diritto ripetuto per il quale “l’offerta ex art. 2932 c.c. della prestazione corrispettiva da parte del contraente che abbia proposto la domanda di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare avente per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, costituendo una condizione dell’azione (che è necessario ma anche sufficiente che sussista al momento della decisione), può essere validamente fatta in tutto il corso del giudizio” (così già Cass. 30 gennaio 1995, n. 3077 e, di recente, Cass. 29 agosto 2011, n. 17717, precisando entrambe che a nulla rileva nemmeno che il convenuto abbia intanto proposto in via riconvenzionale la contrapposta domanda di risoluzione del preliminare per inadempimento dell’attore – che, come detto, nel caso di specie nemmeno è stata avanzata).

L’offerta della prestazione corrispettiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., non solo non presuppone apposita domanda, ma ben può essere avanzata anche in grado di appello (così testualmente Cass. 9 agosto 1996, n. 7352).

Nel caso di specie, pertanto, la deduzione fatta in appello da entrambi gli appellanti, secondo cui il giudice avrebbe “dovuto e potuto” disporre il trasferimento coattivo degli immobili subordinandolo al pagamento dei conguagli (di cui è detto in sentenza: cfr. pag. 7) avrebbe dovuto essere considerata sufficiente dalla Corte d’appello per emettere siffatta sentenza condizionata, potendo essere intesa come offerta implicita di controprestazione.

Nè si può ritenere che la sentenza sarebbe stata viziata da ultrapetizione, solo perchè le parti attrici non si erano incondizionatamente dichiarate disponibili al versamento del conguaglio.

Non può essere citata come precedente in tal senso la sentenza di questa Corte del 29 luglio 2004 n. 14378 (con la quale si è affermato che il giudice d’appello non può d’ufficio, in mancanza di una specifica richiesta della parte in tal senso, condizionare il trasferimento della proprietà al pagamento di una somma superiore a quella fissata dal giudice di primo grado), in quanto la decisione è stata adottata in un caso del tutto peculiare. Infatti, la promissaria acquirente aveva subordinato la domanda di sentenza costitutiva al pagamento del prezzo inferiore.

Nel caso di specie, come detto, le parti attrici, pur contestando di dovere il conguaglio, non hanno subordinato la richiesta di sentenza costitutiva al suo mancato pagamento. Anzi, in appello, chiedendo comunque la sentenza costitutiva, hanno dimostrato disponibilità all’adempimento di un’eventuale condizione di pagamento.

D’altronde, il giudice ha finito per emettere sentenza contraddittoria, laddove, pur non avendo escluso che il conguaglio dovesse essere pagato al momento della stipulazione del definitivo e pur avendo ritenuto ammissibile la domanda di accertamento dell’illegittimità del conguaglio -sia pure addivenendo al rigetto- ha concluso per l’impossibilità di emettere la sentenza costitutiva per la mancata offerta dello stesso importo che risultava in contestazione. Una volta ritenuta ammissibile la domanda di accertamento, la Corte, a fronte dell’atteggiamento processuale dei soci e della cooperativa di cui si è detto sopra, non sarebbe certo incorsa nel vizio di ultrapetizione se avesse emesso la sentenza condizionata al pagamento del saldo prezzo come definitivamente accertato (cfr. Cass. 21 ottobre 2011, n. 21896, in motivazione, e Cass. 30 agosto 2013, n. 19984, cit.).

I primi tre motivi di ricorso vanno perciò accolti, per quanto di ragione. Restano assorbiti i motivi quarto (col quale si ripropongono sostanzialmente le doglianze di cui sopra con riferimento alla norma dell’art. 112 c.p.c., perchè la Corte si sarebbe pronunciata su un’eccezione di inadempimento non proposta ed avrebbe omesso invece la pronuncia, con sentenza condizionata, sulla domanda ex art. 2932 c.c.) e quinto (col quale le stesse questioni vengono prospettate con riferimento ad asseriti vizi di motivazione).

3. I restanti tre motivi riguardano la statuizione di rigetto della domanda di accertamento dell’illegittimità del conguaglio preteso dalla cooperativa.

La Corte d’appello ha ritenuto infondati tutti i corrispondenti motivi di appello per le seguenti ragioni:

a) ha ritenuto che gli artt. 22 e 23 del regolamento interno dovessero essere interpretati, come fatto dal Tribunale, nel senso che i soci avessero demandato al CDA il compito di predisporre le tabelle millesimali di proprietà e di utilizzare queste ultime per la ripartizione dei costi di costruzione, senza necessità di approvazione preventiva da parte dell’assemblea; ancora, ha escluso che dalla lettura dello statuto si rinvenissero disposizioni da cui inferire l’indebita ingerenza del CDA nelle prerogative riservate all’assemblea dei soci, evidenziando la differenza tra questa e l’assemblea dei condomini;

b) ha ritenuto che gli attori non avessero dimostrato che il CDA fosse incorso in errori tali da inficiare le tabelle millesimali approvate, non essendo idonea allo scopo la relazione di parte dell’arch. Fo. (perchè questi si era limitato a contestare il criterio adottato col regolamento interno in quanto, a suo giudizio, non idoneo a ripartire i costi di costruzione, ma non aveva evidenziato “con la dovuta chiarezza e specificità gli errori che avrebbe commesso il CDA nel determinare le tabelle millesimali”); ha perciò confermato il rigetto della richiesta di CTU – già pronunciato con ordinanza istruttoria- in quanto avente “mere finalità esplorative”.

3.1.Col sesto motivo si censura la statuizione di cui a questo secondo punto (sub b), denunciando i ricorrenti omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e che “ha determinato omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in relazione all’art. 116 c.p.c.”. Sostengono che il rifiuto di disporre una CTU per la “verifica tecnica dei calcoli millesimali posti a base di calcolo per i costi di costruzione degli appartamenti in assegnazione ai soci” si fonderebbe su “una errata ed insufficiente valutazione del materiale probatorio dedotto dai ricorrenti” e sull’erronea qualificazione della consulenza tecnica d’ufficio come “esplorativa”.

3.2. Col settimo motivo si censura la statuizione di cui al punto sopra esposto sub a), deducendo i ricorrenti violazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1398, 1470, 2377, 2378, 2379 e 2388 c.c. e agli artt. 22 e 23 del Regolamento interno della cooperativa.

Con l’ottavo motivo, illustrato congiuntamente al settimo, si deducono vizi di motivazione in riferimento alla stessa questione.

Con entrambi i motivi i ricorrenti riproducono le argomentazioni già svolte in sede di merito, circa il fatto che il CDA della cooperativa, nel servirsi delle tabelle millesimali per ripartire i costi di costruzione, avrebbe “esorbitato dai propri poteri gestori incidendo sui diritti soggettivi dei soci senza sottoporre alla discussione e all’approvazione di questi ultimi, in sede assembleare, i risultati dei compiti tecnici” che sarebbero stati conferiti ai membri del CDA, ai sensi degli artt. 22 e 23 del Regolamento interno. Secondo i ricorrenti queste norme dovrebbero essere interpretate nel senso che sarebbero stati conferiti al CDA soltanto compiti “funzionali”, da svolgere previa acquisizione di un parere di un tecnico (che non sarebbe mai stato acquisito), senza che fosse mai stata attribuita alcuna delega ad assumere decisioni di pertinenza dell’assemblea dei soci.

4.- I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.

Il settimo e l’ottavo attengono all’attività interpretativa del regolamento interno che, in quanto atto negoziale, è rimessa al giudice di merito e non è censurabile in cassazione se non per violazione delle norme di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (quest’ultimo deducibile nei limiti dell’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

I ricorrenti non evidenziano alcun errore interpretativo – nè peraltro menzionano quale delle norme degli artt. 1362 c.c. e seg. sarebbe stata violata- nè alcun fatto decisivo che sarebbe stato omesso dal giudice.

Insistono nella loro personale interpretazione degli artt. 22 e 23 del regolamento interno, che è superata dalla contrapposta interpretazione del giudice. Questa, peraltro, è conforme a diritto anche quanto al risultato ermeneutico raggiunto dal momento che si è ritenuta legittima l’adozione, per la ripartizione tra i soci di una cooperativa edilizia del costo di costruzione, del criterio di riparto per tabella millesimale (che differenzia i singoli alloggi in base alle loro caratteristiche), in luogo di quello fondato sui costi di produzione (cfr. Cass., 4 gennaio 1995, n.111).

4.1. Il sesto motivo è inammissibile perchè le censure attengono alla valutazione degli elementi probatori – come d’altronde riconosciuto anche dai ricorrenti- e la deduzione del vizio di motivazione non evidenzia alcun fatto decisivo e controverso il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito, incorrendo nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr., per le modalità di deduzione del vizio ai sensi di questa norma, Cass. S.U. n. 8053/14; cfr., tra le altre, anche Cass. 10 giugno 2016, n. 11892, nel senso che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice del merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile col ricorso per cassazione).

Non appare d’altronde pertinente il richiamo dell’art. 116 c.p.c., poichè la norma non attiene al cattivo esercizio del prudente apprezzamento della prova non legale (cfr. Cass. 19 giugno 2014 n. 13960).

Dato quanto sopra, ed accertato da parte del giudice che non erano stati evidenziati errori significativi nella redazione delle tabelle millesimali, l’ammissione della consulenza tecnica d’ufficio sarebbe stata in violazione del divieto di consulenza esplorativa, alla stregua del principio per il quale “la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, con la conseguenza che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. Al limite costituito dal divieto di compiere indagini esplorative è consentito derogare unicamente quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo in questo caso consentito al c.t.u. anche di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse” (Cass. 14 febbraio 2006, n. 3191 e, di recente, Cass. 11 gennaio 2017, n. 512).

I motivi sesto, settimo e ottavo vanno perciò dichiarati inammissibili.

5. In conclusione, accolti i primi tre motivi, la sentenza impugnata va cassata nei limiti di questo accoglimento e le parti vanno rimesse dinanzi alla Corte d’appello di Catanzaro per nuovo esame della domanda di pronuncia di sentenza costitutiva, anche condizionata, che tenga luogo dell’assegnazione definitiva delle unità immobiliari specificate in atti, con applicazione dei principi di diritto su enunciati.

Si rimette al giudice del rinvio anche la valutazione dell’eccezione della cooperativa concernente l’esercizio, da parte del liquidatore, dell’opzione di sciogliersi dal preliminare, previa verifica dell’esistenza o meno di regolare trascrizione delle domande introduttive dei presenti giudizi (rilevanti in base al principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 16 settembre 2015, n. 18131).

Si rimette al giudice del rinvio, infine, la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

 

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso; dichiara assorbiti il quarto ed il quinto; dichiara inammissibili i restanti. Cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2017

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