Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13707 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. I, 19/05/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 19/05/2021), n.13707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35970/2018 proposto da:

O.O., elettivamente domiciliato in Roma Viale Manzoni N. 81

presso lo studio dell’avvocato Giudice Emanuele che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 09/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/03/2021 da CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Con il decreto impugnato il Tribunale di Torino ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da O.O., cittadino nigeriano proveniente dall’Edo State, dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il primo Giudice ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha narrato: i) di essere nato in Nigeria, di essere di religione cristiana e di aver lasciato il Paese in data 12.6.2015 per motivi sociali e di essere transitato per Niger e per la Libia e di essersi imbarcato per l’Italia.

Il Tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a) e b), ritenendo il racconto del richiedente non credibile sicchè non potevano dirsi integrati i presupposti applicativi della invocata tutela protettiva, e perchè, quanto alla invocata protezione sussidiaria, non vi erano elementi alla luce delle dichiarazioni rese dallo stesso richiedente per ritenere che il ricorrente fosse concretamente esposto al rischio di procedimenti penali, b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito all’Edo State, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato,; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che in Nigeria non si assiste ad una compressione del nucleo fondamentale dei diritti umani.

Il decreto, pubblicato il 9.11.2018, è stato impugnato da O.O. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, comma 1 e 3 lett. A) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1.

Si critica la valutazione espressa dal tribunale in merito alla situazione esistente in Nigeria di segno contraria a quella allegata dal ricorrente.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), in relazione all’art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 3.

Si lamenta che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso che la situazione generale del paese di origine e della zona di provenienza del richiedente potesse integrare la fattispecie normativa del D.Lgs. n. 251 del 2007.

Con l’ultimo motivo si duole della violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si contesta la valutazione espressa dal Tribunale in merito alla protezione umanitaria sostenendo che non avrebbe speso neppure una parola sulla situazione soggettiva del ricorrente omettendo di compiere la necessaria comparazione fra i livelli di integrazione raggiunti in Italia e quelli esistenti nel paese d’origine.

I primi due motivi che vanno esaminati congiuntamente sono inammissibili.

Le censure non comprendono le rationes decidendi poste a sostegno del rigetto della richiesta protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b e cioè la mancanza proprio alla luce delle dichiarazioni rese dal ricorrente della sottoposizione a procedimenti penali del richiedente, di una sua esposizione ad un concreto rischio.

A fronte di tale chiara motivazione il ricorrente si limita a contrapporre sotto lo schermo di una violazione di legge una diversa valutazione che sconfina con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che (come detto) possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella specie neppure dedotta.

Parimenti per quanto riguarda la dedotta violazione dell’art. 14, lett. c) le censure si compongono solo di generiche doglianze volte a far ripetere alla Corte di legittimità una rivalutazione in fatto sulla condizione di pericolosità interna della Nigeria – giudizio già svolto dal tribunale con motivazione adeguata e scevra da criticità argomentative (quanto al diniego della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. c) e per il quale sono state anche indicate ed allegate fonti di conoscenza qualificate – e perchè, quanto all’ulteriore richiesta di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b), medesima fonte normativa da ultimo citata, le censure non colgono, ancora una volta, la ratio decidendi che si fonda su un giudizio di mancanza del presupposto della concretezza ed attualità del pericolo denunciato dal ricorrente.

Il terzo motivo è anch’esso inammissibile perchè volto a richiedere a questa Corte di legittimità una rivalutazione del merito della decisione in ordine alla ricorrenza dei presupposti fattuali di applicazione della richiesta protezione umanitaria, e ciò in relazione al profilo, da un lato, della condizione di soggetto vulnerabile e, dall’altro, dell’integrazione sociale in Italia, profili sui quali invece si assiste, nel provvedimento impugnato, ad un’adeguata motivazione in fatto, che non può essere più censurata in questa sede giudiziale attraverso il denunciato vizio di violazione e falsa applicazione di legge.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese della presente fase in assenza della costituzione della parte intimata.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

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