Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13701 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. I, 19/05/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 19/05/2021), n.13701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10808/2019 proposto da:

J.I., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Della Bona ed

elettivamente domiciliato in Roma, Via Ippolito Nievo n. 61, presso

lo studio dell’Avv. Rossella De Angelis;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 07/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/03/2021 da ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano con decreto del 07/12/2018 ha rigettato il ricorso il D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 e art. 737 e ss. c.p.c., proposto da J.I., cittadino del Bangladesh, avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale in data 29/05/2017 (notificato il 26/09/2017).

2. Il richiedente ha chiesto in via principale il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ed, in via subordinata, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. In merito alle ragioni che lo hanno condotto all’espatrio, ha affermato di essere stato accusato ingiustamente di aver violentato una ragazza minorenne (di anni quattordici). Precisamente, quest’ultima è stata indotta dal Sindaco del villaggio ad identificare falsamente il richiedente quale autore del reato al fine di fermare la sua ascesa politica nel partito del BNP (partito contrapposto a quello del Sindaco).

2.1. A sostegno della domanda è stata prodotta copia della sentenza di condanna del richiedente e di altre due persone a 20 anni di reclusione, emessa dalle autorità competenti del Paese di origine nell’ottobre 2014.

3. Il Tribunale ha posto a fondamento della decisione le seguenti ragioni.

3.1. In primo luogo, ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente in quanto confuso e privo di coerenza logica interna, soprattutto con riferimento al partito politico del BNP, di cui il ricorrente ignora il significato dell’acronimo ed i colori della bandiera. Appare inoltre implausibile che il Sindaco temesse l’impegno politico del ricorrente che svolgeva attività di mero sostenitore del partito a tal punto da farlo incolpare falsamente di un reato.

3.2. Infine, è stato evidenziato che dalla sentenza di condanna dedotta in giudizio si desume che l’esito del processo non è dipeso affatto dal Sindaco, essendo la sentenza stata pronunciata sulla base delle testimonianze assunte e delle altre prove acquisite al processo.

3.3. Il richiedente non ha allegato nè di non potersi difendere dalla falsa accusa di reato, nè che il sistema giudiziario del Bangladesh sia corrotto.

3.4. Alla luce di tali elementi il Tribunale ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

3.5. Tantomeno è stata ritenuta integrata la diversa ipotesi di danno grave di cui alla successiva lett. c) del citato art. 14, poichè le informazioni sul Paese di origine del richiedente, acquisite e consultate nel presente procedimento, hanno escluso che il Bangladesh sia caratterizzato da una generalizzata situazione di violenza indiscriminata.

3.6. Da ultimo, è stato escluso il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, posto che il richiedente si è limitato ad affermare di lavorare come lavapiatti senza contratto e di frequentare un corso di lingua, senza allegare elementi per poter ritenere che abbia raggiunto una situazione personale e familiare rilevante ai sensi dell’art. 8 CEDU, ovvero che abbia lasciato il suo Paese di origine per la necessità di sottrarsi a condizioni di vita al limite della sopravvivenza.

4. Avverso il presente decreto il cittadino straniero ha proposto ricorso per cassazione. Il Ministero Intimato ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo di ricorso si censura la violazione dell’art. 111 Cost., il D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 e 35-bis e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per avere il Tribunale di Milano cumulato la domanda di protezione umanitaria, soggetta ad ordinaria azione di cognizione (nonchè ad eventuale impugnazione dinanzi la Corte di Appello), assieme alle domande di protezione internazionale soggette a rito speciale camerale, con conseguente vulnus irrimediabile per i diritti del Sig. J.. Il giudice del merito, in ottemperanza al proprio dovere di cooperazione ufficiosa avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la domanda di protezione umanitaria, ovvero separarla da quelle soggette a rito speciale.

5.1. Il primo motivo è inammissibile per le ragioni che seguono.

Si evidenzia preliminarmente che il ricorso per cassazione risulta carente di interesse ogni qual volta, come nel caso di specie, il ricorrente denunci la mancata adozione del rito ordinario di cognizione con riferimento alla domanda di protezione umanitaria, dopo aver egli stesso instaurato il giudizio di merito mediante la proposizione di un ricorso unico ed unitario ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, avente ad oggetto la richiesta di ogni forma di protezione, per giunta senza eccepire in alcun modo nel giudizio camerale la mancata adozione (peraltro da egli stesso provocata) del rito ordinario per la domanda di protezione umanitaria, previa separazione dei giudizi da lui congiuntamente instaurati (Cass. 9658/2019).

Inoltre, la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ha più volte affermato che, pur essendo il rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis (prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni in L. n. 132 del 2018) operante per le sole azioni volte al riconoscimento della protezione internazionale, qualora le azioni dirette ad ottenere le protezioni internazionali tipiche (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e le azioni volte al riconoscimento di quella atipica (protezione umanitaria) siano state contestualmente proposte con un unico ricorso, per libera e autonoma scelta processuale del ricorrente, trova comunque applicazione per tutte le domande connesse e riunite il rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis davanti alla sezione specializzata del Tribunale in composizione collegiale, in ragione della profonda connessione, soggettiva ed oggettiva, esistente tra le predette domande e della prevalenza della composizione collegiale del Tribunale in forza del disposto dell’art. 281 nonies c.p.c.(Cass. 25703/2019; Cass. 13575/2020; Cass. 2120/2020).

6. Nel secondo motivo di ricorso si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, atteso che il racconto del ricorrente è stato ritenuto attendibile senza che sia stata presa in considerazione la circostanza che, all’epoca dei fatti, egli era molto giovane (aveva solo 20 anni); circostanza alla luce della quale si spiegano le apparenti genericità e contraddizioni.

6.1. La censura non supera il vaglio di ammissibilità poichè il ricorrente si è limitato contestare genericamente la valutazione di credibilità operata dal Tribunale e correttamente motivata alla luce dei criteri procedimentali di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Tale valutazione, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta di motivazione, ovvero come motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere, come nel caso di specie, l’ammissibilità di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, peraltro fondata su un unico elemento, quello dell’età, incapace di scalfire la ratio del provvedimento impugnato (Cass. 3340/2019).

7. Con il terzo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), considerato che il Tribunale ha del tutto omesso di condurre un’indagine ufficiosa circa l’effettivo impegno delle autorità statali del Paese di origine nel contrastare la situazione di discriminazione e di violenza presente in Bangladesh, nonchè di accertare se l’incolumità del ricorrente possa essere pregiudicata in caso di rimpatrio. I riferimenti generici alle COI consultate, presenti nel decreto impugnato, non permettono di ritenere ottemperato il dovere di cooperazione istruttoria.

7.1. La censura è inammissibile per difetto di specificità. Il Tribunale, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, ha ottemperato al proprio dovere di cooperazione istruttoria, posto che ha acquisito ed indicato le COI alla luce della quali ha escluso che il Bangladesh sia caratterizzato da una situazione di violenza indiscriminata di intensità tale da legittimare il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Per contro, il ricorrente si è limitato a contestare la mancata attivazione dei poteri istruttori e l’inadeguatezza delle COI consultate dal Tribunale in modo del tutto generico, senza allegare nel ricorso le fonti alternative ritenute idonee a prospettare un diverso esito del giudizio, così precludendo a questa Corte la possibilità di valutare la teorica rilevanza e decisività della censura (Cass. 22769/2020).

8. Nel quarto motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, poichè il diniego della protezione umanitaria si è basato sull’errato presupposto che il ricorrente avrebbe dovuto allegare fatti diversi ed ulteriori rispetto a quelli posti a fondamento della domanda delle protezioni maggiori. Al contrario, gli stessi fatti, in quanto gravi e seri, dovevano essere comparati con la situazione geopolitica del Bangladesh al fine di valutare i rischi per il ricorrente in caso di rimpatrio.

8.1. Il motivo è inammissibile poichè generico. Il Tribunale ha tenuto conto della vicenda narrata dal ricorrente e dei fatti allegati in sede di merito, nonchè ha congruamente motivato circa l’assenza di un percorso di integrazione effettiva nel Paese di accoglienza e di una situazione di vulnerabilità meritevole di tutela attraverso il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Del pari, anche nel presente ricorso, il ricorrente non ha allegato o dedotto alcun profilo di vulnerabilità soggettiva o di integrazione da comparare alla situazione generale di privazione dei diritti umani nel Paese di origine (Cass. 13573/2020).

9. Con il quinto motivo di ricorso si censura la mancata sottoposizione a contraddittorio delle COI acquisite d’ufficio dal giudice e poste a fondamento della decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4. Il Collegio avrebbe dovuto indicare le COI consultate ed assegnare un termine ex art. 101 c.p.c., perchè il ricorrente, tramite il difensore, presane conoscenza, potesse svolgere la propria attività difensiva.

9.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

Il ricorrente non ha indicato le circostanze fattuali decisive da sottoporre al contraddittorio, tantomeno, dopo essere venuto a conoscenza delle COI acquisite d’ufficio e rese note nella motivazione del provvedimento finale, ha indicato fonti alternative volte a dimostrare l’inadeguatezza di quelle poste a fondamento della decisione di merito ed il conseguente vulnus che ne deriva al suo diritto di difesa.

Più in generale, occorre osservare che è proprio il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ad imporre l’acquisizione di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, non potendo perciò ipotizzarsi la violazione dell’art. 115 c.p.c., ravvisabile solo qualora il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass. 5422/2019, 7580/2019).

10. Nel sesto motivo si eccepisce l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1-bis, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 8 e 9, così come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017 nella parte in cui prevedono che la C.T. possa procedere alla raccolta di prove senza che il richiedente possa svolgere attività difensiva al riguardo; prove essenziali per la decisione della C.T. che conservano la propria efficacia anche nel successivo giudizio di opposizione davanti al Tribunale.

10.1. La questione di legittimità costituzionale, genericamente sollevata nel presente ricorso, in relazione a tutte le norme richiamate, prima che manifestamente infondata, è priva di rilevanza nel presente giudizio posto che si riferisce alla fase amministrativa che ha avuto luogo davanti la Commissione territoriale, e non alla successiva fase giudiziale dinanzi al Tribunale che ha emesso il decreto impugnato in tal sede.

11. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in 2100,00 Euro oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato par a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

 

 

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