Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13700 del 22/06/2011

Cassazione civile sez. II, 22/06/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 22/06/2011), n.13700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.S.F. e I.A., rappresentati e difesi,

in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Dal

Piaz Claudio e Mario Contaldi ed elettivamente domiciliati presso lo

studio del secondo, in Roma, via Pier Luigi da Palestrina, n. 63;

– ricorrenti –

contro

C.P. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa,

in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dagli

Avv.ti Coda Pio ed Enrico Sordi e presso lo studio del secondo, in

Roma, viale Bruno Buozzi, n. 51, elettivamente domiciliata;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 1178/2004,

depositata il 26 luglio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

uditi gli Avv.ti Romano Ricci, per delega, nell’interesse dei

ricorrenti, e Marco Fagiolo, per delega, nell’interesse della

controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 2 febbraio 1995, i coniugi D. S.F. e I.A., sulla premessa di essere comproprietari di un immobile sito nel territorio del Comune di (OMISSIS) costituito da fabbricato rurale con antistante cortile e vigneto, sul quale assumevano che transitava senza titolo, sia pedonalmente che con mezzi meccanici, C.P., convenivano quest’ultima dinanzi al Tribunale di Ivrea per sentir accertare l’inesistenza del suddetto diritto di passaggio con l’emanazione del conseguente ordine di cessazione da ogni turbativa e molestia al loro diritto di proprietà.

Radicatosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio la convenuta, la quale chiedeva, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’avvenuta costituzione della contestata servitù di passaggio per intervenuta usucapione. Espletata la fase istruttoria, la Sezione stralcio dell’adito Tribunale, con sentenza n. 61 del 2001, accoglieva la domanda riconvenzionale formulata dalla C..

Interposto appello da parte degli originari attori, nella costituzione dell’appellata, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 1178 del 2004 (depositata il 26 luglio 2004), rigettava l’appello e condannava gli appellanti alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale, ravvisata l’irrilevanza di appositi elementi documentali e incentrando il suo esame sulla valutazione delle risultanze della complessiva prova orale esperita, confermava l’emergenza della fondatezza della domanda riconvenzionale di usucapione avanzata dalla C., con il conseguente assorbimento della domanda di “negatoria servitutis” proposta dai coniugi D.S. e I..

Avverso a suddetta sentenza della Corte torinese, hanno proposto ricorso per cassazione (notificato il 21 ottobre 2005 e depositato il 7 novembre 2005) i medesimi coniugi D.S.F. e I. A., articolato in quattro motivi, al quale ha resistito con tempestivo controricorso la C.P.. I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria integrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avuto riguardo alla sostenuta irrilevanza dell’esistenza di un atto notarile del 1971 costitutivo della servitù di passaggio in favore della C. e all’inidoneità del relativo percorso a garantire anche il transito veicolare, invece sicuramente possibile sul tracciato dedotto in controversia ed oggetto della domanda riconvenzionale di usucapione.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono analogamente un vizio di motivazione della sentenza della Corte territoriale con riferimento al passaggio valutativo in cui erano state ritenute decisive, ai fini della prova del possesso ultraventennale dedotto dalla C., le testimonianze di S.A. e I. R., travisando le chiare risultanze riconducibili ad altre deposizioni.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti prospettano contestualmente una censura per difetto di motivazione e una doglianza per violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 132 e 116 c.p.c., in considerazione dell’improprio riferimento alla motivazione pressochè inesistente del giudice di prima istanza e al ritenuto raggiungimento della prova in ordine all’esercizio di un passaggio carrabile in modo continuo ed ininterrotto utile “ad usucapionem”.

4. Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti denunciano ancora un vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla carenza del ragionamento decisorio circa la prova idonea a riscontrare un possesso effettivamente rispondente alla previsione di cui all’art. 1158 c.c., omettendo di considerare che le risultanze della prova testimoniale si erano riferite prevalentemente ad episodi generici e saltuari dell’esercizio del passaggio.

5. Tutti i riportati motivi – che possono essere esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi e riferiti, pressochè totalmente, a vizi di motivazione (salvo che per il terzo motivo relativo anche ad una supposta violazione di legge) – sono infondati e devono, pertanto essere rigettati.

Rileva il collegio che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione. E, proprio con riferimento all’accertamento relativo al possesso “ad usucapionem”, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione de decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione oltre che all’individuazione degli altri presupposti inerenti l’acquisito del diritto reale ex art. 1158 c.c., la concorde giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. 7 luglio 2000, n. 9106; Cass. 21 febbraio 2007. n. 4035, e, da ultimo, Cass. 11 maggio 2010, n. 11410) ritiene che il relativo esame è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto, appunto, da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Orbene, nel caso di specie, con riguardo al primo motivo, la Corte territoriale, con argomentazioni certamente sufficienti ed adeguate su piano logico, ha dato conto dell’assoluta incongruenza – oltre che irrilevanza – della doglianza degli attuali ricorrenti in ordine all’assunta costituzione di una servitù di passaggio carrabile a favore del fondo della C.P. sui terreni acquistati da C.C. in virtù dell’atto di divisione del 15 gennaio 1971 e del conseguente atto esecutivo del 20 luglio 1976. In proposito, infatti, con motivazione basata su univoci accertamenti di fatto insindacabili in questa sede in quanto supportati da una motivazione appunto sufficiente e non contraddittoria, la Corte territoriale ha rilevato che, sia in forza degli acquisiti riscontri planimetrici che delle convergenti risultanze testimoniali, il percorso di riferimento era equiparabile ad una mulattiera che era praticabile solo pedonalmente e che, in ogni caso, non era stato mai utilizzato dalla C.P. per l’accesso con mezzi carrabili alla sua proprietà. Peraltro, in proposito, occorre sottolineare che, pur avendo la Corte piemontese errato – come riconosciuto dalla stessa difesa della C.P. – nell’individuazione del tracciato della servitù qualificata come “titolata”, indicandolo come riportato nella “planimetria allegata sub 2) alla relazione del c.t.u. con le lettere da A) a G)”, anzichè nella planimetria allegata sub 3), lettere da A) a P) della c.t.u. del 19 dicembre 1996 (già allegata al rogito per notar Presbitero), tale disattenzione materiale non incide sul “decisum” conseguente alla valutazione delle emergenze probatorie relative all’accertamento dell’acquisto per usucapione del diritto di servitù attinente a diverso tracciato individuato dalla stessa C.P. con la domanda riconvenzionale formulata sin dal giudizio di primo grado. Tanto è evincibile anche dalla sentenza (di cui si assume la sopravvenuta incontrovertibilità per mancata impugnazione nei prescritti termini) n. 1077 de 2006 emessa da altro collegio della Corte di appello torinese (depositata il 19 giugno 2006), offerta in produzione dalla controricorrente, con la quale è stata respinta la domanda di revocazione proposta dal D.S. e dalla I. proprio con riferimento al suddetto errore materiale ed alla supposta falsa percezione della realtà in conseguenza della erronea interpretazione di un documento non oggetto della controversia tra le parti, in base all’insussistenza di un errore propriamente riconducibile a quello enucleato nell’art. 395 c.p.c., n. 4. Da questa statuizione si desume, infatti, giustamente che l’errore dedotto aveva riguardato l’individuazione del percorso della servitù assistita dal “titolo” di cui ai menzionati atti pubblici, ovvero un aspetto non dirimente ai fini dell’accertamento positivo dei requisiti di usucapibilità di analogo diritto di servitù riferito ad altro tracciato.

Con riferimento agli altri tre motivi concernenti propriamente l’esplicazione del ragionamento valutativo della Corte territoriale circa gli esiti delle prove assunte in ordine alla sussistenza dei requisiti prescritti dall’art. 1158 c.c., ai fini dell’acquisto per usucapione del diritto di servitù della C.P. sul diverso tracciato dedotto in riconvenzionale il cui possesso si assumeva essere stato esercitato anche con mezzi meccanici, bisogna evidenziare che i giudici di appello hanno sul punto motivato adeguatamente la loro scelta selettiva, correlandola anche alle emergenze li dell’effettiva situazione locale, per come rilevata sia in sede di c.t.u. che sulla scorta di apposita ispezione e ricognizione giudiziale dei luoghi compiuta nel corso del processo di primo grado, e, quindi, anche in virtù di un accertamento diretto, idoneo ad avvalorare la prospettazione della C. in relazione alla condizione dei sito, alle modalità di esercizio del passaggio, oltre che a fungere da sicuro ed univoco supporto valutativo per la ricostruzione delle risultanze istruttorie scaturite dalla complessiva prova orale in termini di maggiore e più convincente attendibilità Ed alla stregua di tali complessivi elementi la Corte piemontese, nel riconfermare le conclusioni raggiunte dal giudice di prima istanza e nel riesaminarle con una valutazione autonoma e certamente sufficiente, ha individuato una serie di specifiche deposizioni (pur non volendosi considerare dei tutto rilevanti le testimonianze di I.R. e S.A.. per come riportate nello stesso ricorso e per come rilevato dalla stessa difesa della controricorrente) dalle quali è scaturita la prova, sostanzialmente univoca e coerente (e non dettata da interessi particolari oltre a non essere influenzata dai vari rapporti di parentela), dell’esercizio ultraventennale ed incontestato del passaggio, anche carraio, della C.P. e dei suoi danti causa per accedere alla sua proprietà attraverso i fondi dei ricorrenti lungo la strada individuata nella planimetria allegata sub 2) alla relazione di ctu. con i numeri da 1) a 6). A tal proposito la stessa Corte territoriale ha dato atto della insussistenza di apparenti contraddizioni evincibili da altre testimonianze (come quelle di C.R. e G.D.), essendo rimasta esclusa la loro attendibilità in ordine alla circostanza della impraticabilità del percorso (e, quindi, del concreto esercizio del possesso della servitù di passaggio) dalla stessa condizione dei luoghi accertata in sede di ricognizione (cfr. pagg. 7-8 della sentenza di appello).

Alla stregua di questo complessivo impianto argomentativo deve, quindi, ritenersi che la Corte territoriale abbia manifestato, in modo certamente sufficiente e sulla scorta di logici criteri valutativi, un “iter” argomentativo idoneo a giustificare la conferma della sentenza di primo grado, con riferimento alla quale il giudice di appello (in tal senso rigettandosi anche il profilo relativo alla violazione di legge prospettata con il terzo motivo), non si è limitato ad operare un mero rinvio “per relationem” ai risultati critici già raggiunti dal giudice di prime cure; infatti, dopo aver espresso le valutazioni circa l’essenziale idoneità del percorso argomentativo da quest’ultimo seguito, lo ha rielaborato, procedendo, sulla scorta degli specifici motivi di impugnazione, ad un riesame puntuale e fondamentalmente esaustivo delle risultanze probatorie nei termini precedentemente riportati, analizzando, appunto, le testimonianze e gli ulteriori elementi ritenuti conferenti e qualificanti ai fini dell’accertamento dell’avvenuta usucapione del diritto di servitù di passaggio dedotto dalla C., con riguardo all’incontestato esercizio del possesso ultraventennale mediante il passaggio sulla strada (constatata come effettivamente esistente) dedotta in controversia, praticato dalla stessa C. in funzione delle esigenze del suo fondo e, comunque, conservando la possibilità di estrinsecare, all’occorrenza, concreti atti di godimento di tale possesso sul tracciato. Del resto è risaputo che.

in generale, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo. Cass. 16 febbraio 2005, n. 3076, e già Cass. 26 giugno 2001, n. 8736), in tema di servitù discontinue, l’esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne i possesso, dovendo lo stesso essere determinato in riferimento alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante, con la conseguenza che, ove non risultino chiari segni esteriori diretti a manifestare l'”animus dereliquendi”, la relazione di fatto instaurata dal possessore con il fondo servente non viene meno per la utilizzazione non continuativa quando possa ritenersi che il bene sia rimasto nella virtuale disponibilità del possessore.

6. In definitiva, alla luce delle esposte ragioni e tenendo conto dei descritti limiti di ammissibilità del vizio di motivazione con riferimento ai motivi dedotti in giudizio, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti al pagamento, con vincolo solidale, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011

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