Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13700 del 05/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/07/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 05/07/2016), n.13700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SXOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15385-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

F.S., B.L., BF EDILIZIA SNC, in persona

del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA Pietro DE CRISTOFARO 40, presso lo studio

dell’avvocato ELENA BERRE’, rappresentati e difesi dall’avvocato

GIOVANNI GEBBIA, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 113/4/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di L’AQUILA del 12/12/2013, depositata il 19/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito l’Avvocato Maurizio Caligiuri per delega dell’Avvocato

Giovanni Gebbia difensore dei resistenti, che si riporta agli

scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La CTR di L’Aquila ha respinto l’appello della Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 193/02/2012 della CTP di Teramo che aveva accolto il ricorso della “”B.F. Edilizia snc” – ed ha così annullato il diniego di rimborso sull’istanza di sollecito del rimborso (relativa ad un credito IVA risultante dalla dichiarazione afferente l’anno 2005) perchè presentata oltre il termine di anni due di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.

La predetta CTR – dopo avere dato atto che la società era cessata –

ha motivato la decisione evidenziando che la produzione del modello VR è ritenuta dalla giurisprudenza un fatto non sostanziale, mentre il diritto al rimborso può essere fatto valere con semplice istanza rivolta all’ufficio entro i termini della decadenza ordinaria, una volta che la domanda per restituzione del credito di imposta sia da considerarsi già presentata a mezzo della compilazione della dichiarazione annuale e del quadro VX, così configurandosi formale esercizio del diritto al rimborso.

L’Agenzia delle Entrate ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo.

La parte contribuente si è difesa con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il motivo di impugnazione (rubricato come: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n.633 del 1972, art. 30, comma 2 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”) l’Agenzia – pur dando atto che si tratta di impresa che ha cessato l’attività – si duole del fatto che sia stata dal giudice di appello ritenuta tempestiva la domanda proposta dal contribuente, per quanto questa non sia stata presentata se non a mezzo della esposizione del credito in dichiarazione, e perciò senza la specificazione dei presupposti che hanno determinato il verificarsi dell’eccedenza richiesta a rimborso, così impedendo all’Amministrazione finanziaria di effettuare i necessari riscontri su questi ultimi. D’altronde, nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 35, comma 3 si prevede espressamente che in caso di cessazione dell’attività il contribuente deve farne dichiarazione entro trenta giorni utilizzando modelli conformi a quelli approvati.

Il motivo appare manifestamente infondato, alla luce della pregressa (prevalente, alla quale si ritiene che si debba dare qui alimento) giurisprudenza di questa Corte: “La domanda di rimborso dell’IVA o di restituzione del credito d’imposta maturato dal contribuente deve ritenersi già presentata con la compilazione, nella dichiarazione annuale, del quadro relativo al credito, analogamente a quanto avviene in materia di imposte dirette, ed in linea con la Sesta Direttiva CEE, per la quale il diritto al ristoro dell’IVA versata “a montè è principio basilare del sistema comunitario, per effetto del principio di neutralità, mentre la presentazione del modello di rimborso costituisce esclusivamente presupposto per l’esigibilità del credito e, quindi, adempimento necessario solo per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso. Ne consegue che, una volta manifestata in dichiarazione la volontà di recuperare il credito d’imposta, il diritto al rimborso, pure in difetto dell’apposita, ulteriore domanda, non può considerarsi assoggettato al termine biennale di decadenza previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16 e, oggi, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, ma solo a quello di prescrizione ordinario decennale ex art. 2946 c.c. (Sez. 5, Sentenza n. 15229 del 12/09/2012, in precedenza Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7684 del 16/05/2012 e Cass Sez. 5, Sentenza n. 20039 del 30/09/2011, da ultimo anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20255 del 09/10/2015, sicchè l’orientamento deve considerarsi ormai consolidato a seguito di iniziali apparenti oscillazioni).

Nella specie, gli indirizzi menzionati evidenziano che appare consolidato “il principio secondo cui qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non occorre, da parte sua, ai fine di ottenerne il rimborso, alcun altro adempimento, ma egli deve solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione; una volta che il credito si sia consolidato (attraverso un riconoscimento esplicito in sede di liquidazione, ovvero per effetto di un riconoscimento implicito derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica) l’Amministrazione è tenuta ad eseguire il rimborso e il relativo credito del contribuente è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale”. Con riguardo, poi, alla vicenda dell’impresa societaria già cessata, si confronti la recente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9941 del 15/05/2015.

Poichè nella specie non è controverso che ricorrano gli ora menzionati presupposti, consegue la totale infondatezza della tesi di parte ricorrente.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza.

Roma 31 gennaio 2016.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in Euro 2.500,00 oltre al 15% per spese generali, oltre ad accessori di legge ed oltre ad Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2016

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