Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13698 del 22/06/2011

Cassazione civile sez. II, 22/06/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 22/06/2011), n.13698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M. (OMISSIS) residente in (OMISSIS)),

rappresentato e difeso per procura in calce al ricorso dall’Avvocato

Michele Brusaferro, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avvocato Sellani Gian Luca in Roma, via Vigliena n. 2.

– ricorrente –

contro

G.N..

– intimata –

avverso la sentenza n. 976 della Corte di appello di Venezia,

depositata il 3 giugno 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13

aprile 2011 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.M., premesso di avere stipulato in data 21 ottobre 1996 con G.N. un contratto preliminare per l’acquisto di immobili siti nel Comune di Castelbalbo e di avere successivamente appreso che i fabbricati contrassegnati dalle lette A) e B) nella planimetria cui le parti avevano l’alto riferimento per la individuazione dei beni non erano di proprietà della promittente venditrice, la convenne in giudizio chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento e la condanna al risarcimento del danno.

La convenuta si difese assumendo che i beni indicati dalla controparte quali intestati ad altri non rientravano in realtà nell’oggetto del contratto e chiese, in via riconvenzionale, che, dato atto del rifiuto dell’altra parte di stipulare, fosse emanata sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ..

Il giudice di primo grado dichiarò risolto il contratto preliminare per inadempimento della convenuta e rigettò la domanda di adempimento dalla stessa proposta, ma la relativa decisione fu riformata dalla Corte di appello di Venezia che, con sentenza n. 976 del 3 giugno 2005, respinse le domande del P. e, in accoglimento della richiesta della convenuta, dispose il trasferimento dei beni indicati nel contratto preliminare, con condanna dell’attore al pagamento del saldo del prezzo ed al risarcimento dei danni. A sostegno della propria decisione il giudice di secondo grado affermò che i beni oggetto del preliminare di compravendita erano unicamente quelli in esso descritti e che tra essi non figuravano quelli indicati dall’attore come intestati a persone diverse dalla promittente venditrice, reputando irrilevante che essi risultassero da alcune planimetrie in possesso del P., atteso che esse non risultavano richiamate nel contratto nè erano state controfirmate dai contraenti. Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 14 ottobre 2005, ricorre P.M., affidandosi a cinque motivi. L’intimata G. N. non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, che ha recepito la L. n. 47 del 1985, art. 18, censurando la sentenza impugnata per avere disposto il trasferimento dell’immobile oggetto del contratto preliminare in assenza del certificato di destinazione urbanistica del bene.

Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, che ha recepito la L. n. 47 del 1985, art. 17, censurando la sentenza impugnata per avere disposto il trasferimento dell’immobile oggetto del contratto preliminare in assenza dell’indicazione, da parte de 1l’alienante, degli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, nonostante che l’attore nella memoria istruttoria di primo grado avesse rappresentato che l’immobile era stato oggetto di un procedimento amministrativo per irregolarità edilizia.

I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente, vanno dichiarati inammissibili.

Spinge a tale conclusione l’assorbente rilievo che le circostanze dedotte dal ricorrente quali cause impeditive del trasferimento dell’immobile (la mancanza del certificato di destinazione urbanistica e dell’indicazione degli estremi del permesso per costruire), costituiscono fatti nuovi, dedotti per la prima volta nel giudizio di cassazione. Tali circostanze, infatti, non risultano in alcun modo dalla sentenza impugnata, nè il ricorso deduce di averle compiutamente rappresentate nel giudizio di merito, limitandosi, nel secondo motivo, a riferire di avere dedotto la pendenza di un procedimento amministrativo per irregolarità edilizia dell’immobile, allegazione di per sè generica in assenza di qualsiasi dato in grado di riferire tale procedimento alle irregolarità urbanistiche oggi dedotte. Per tale ragione le censure sono inammissibili in quanto l’accertamento di tali irregolarità o mancanze richiede necessariamente un’indagine di fatto, che questa Corte, quale giudice di legittimità, non può compiere.

Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa e contraddittoria motivazione circa le risultanze processuali decisive per la definizione della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere disposto il trasferimento dell’immobile oggetto del contratto preliminare nonostante la sua nullità per indeterminatezza dell’oggetto. Il bene compromesso, sostiene il ricorrente, era invero identificabilc soltanto attraverso l’atto di provenienza e le planimetrie; poichè il primo non era mai stato esibito durante le trattative e le seconde sono state ritenute estranee al contratto, la Corte avrebbe dovuto coerentemente trame la conseguenza che il preliminare era nullo dal momento che esso non indicava in maniera precisa l’immobile da trasferire.

Anche questo motivo è inammissibile, prima che infondato.

Il mezzo è inammissibile in quanto, investendo la censura l’interpretazione dell’atto negoziale operata dal giudice di merito, in particolare sotto il profilo della determinazione del bene oggetto di trasferimento, avrebbe dovuto dedurre la specifica violazione dei canoni di interpretazione negoziale fissati dall’art. 1362 e segg.

cod. civ. e quindi essere sostenuto, ai fini del requisito di autosufficienza, dalla riproduzione dell’atto negoziale, al fine di dimostrare l’erroneo apprezzamento dello stesso da parte del giudice territoriale. Costituisce diritto vivente di questa Corte il principio che il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006).

Nè il ricorrente può invocare, a sostegno della censura sollevata, la regola iuris della ritevabilità d’ufficio delle cause di nullità del contratto in ogni stato e grado del processo (art. 1421 cod. civ.). Questo principio, infatti, va coordinato con le regole ed i principi che governano il processo, in particolare con quelli che regolano il giudizio di legittimità. Ciò comporta che questa Corte, che quale giudice di legittimità non ha un potere autonomo di accertamento dei fatti, può rilevare la nullità del contratto, salve le preclusioni verificatesi nel giudizio di merito, soltanto a condizione che risultino già evidenziate agli atti le circostanze ed i fatti costitutivi della nullità (Cass. n. 2354 del 2003; Cass. n. 15530 del 2000), situazione che, come già rilevato, non si riscontra nel caso di specie, atteso che la causa che determinerebbe nel caso di specie la nullità del contratto preliminare non emerge direttamente dalla lettura nè del ricorso nè della decisione impugnata.

A ciò merita aggiungere che il motivo è anche generico, in quanto non attacca in modo circostanziato ed argomentato l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui gli immobili oggetto del preliminare erano specificatamente descritti nel contratto stesso (pag. 7).

Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa e contraddittoria motivazione circa le risultanze processuali decisive per la definizione della controversia, lamentando che la Corte veneziana non abbia correttamente valutato le dichiarazioni testimoniali rese in giudizio, da cui risultava che, al momento della sottoscrizione del preliminare, le parti avevano identificato l’immobile attraverso le planimetrie, le quali indicavano tra i beni da trasferire anche quei fabbricati che in realtà non erano di proprietà della promittente venditrice, con l’effetto che quest’ultima doveva considerarsi inadempiente rispetto agli obblighi assunti ed il contratto, in accoglimento della domanda dell’attore, avrebbe dovuto essere risolto per inadempimento della stessa. Il mezzo è inammissibile.

Al di là invero del rilievo che il motivo solleva censure avverso un apprezzamento di fatto, tale dovendosi ritenere la valutazione che il giudice di merito fa in ordine al contenuto e significato delle dichiarazioni testimoniali (Cass. n. 17097 del 2010), assorbente ai fini di tale conclusione è la considerazione che la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento sull’affermazione che, essendo il contratto preliminare di compravendita di beni immobili sottoposto, ai sensi dell’art. 1351 cod. civ., al requisito della forma scritta, l’omesso richiamo in esso della planimetria invocata dall’attore – promissario acquirente rendeva quest’ultima inutilizzabile ai fini dell’integrazione del suo oggetto, atteso che ” per i contratti per i quali è prescritta la forma scritta ad substanziam la volontà comune delle parti deve rivestire tale forma per tutti gli elementi essenziali e pertanto l’oggetto di esso deve essere almeno determinabile in base ad elementi risultanti dall’atto stesso e non aliunde”. Tale considerazione, che costituisce l’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata ed in cui è implicito il giudizio di irrilevanza delle dichiarazioni testimoniali che il ricorrente assume colpevolmente trascurate dal giudice a quo, non risulta attaccata dal ricorso e ciò comporta l’inammissibilità del motivo.

Il quinto motivo di ricorso denunzia omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per non avere disposto l’annullamento del contratto per vizi del consenso e per errore, atteso che il P. si era determinato a contrarre sulla base della falsa convinzione, a cui era stato dolosamente indotto dalla G., che i beni da trasferire fossero quelli indicati nelle planimetrie.

Anche quest’ultimo motivo è inammissibile.

Il vizio di omessa pronuncia presuppone, infatti, la proposizione ad opera della parte di una valida e rituale domanda, laddove il ricorrente non precisa in alcun modo di avere avanzato, fin dall’atto introduttivo del giudizio e quindi riproposto anche in sede di appello, la domanda di annullamento del contratto per vizi del consenso di cui ora lamenta il mancato esame. La novità della questione esclude, pertanto, la sussistenza del vizio denunziato.

In conclusione, il ricorso è respinto.

Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011

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