Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13698 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. I, 19/05/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 19/05/2021), n.13698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14097/2019 r.g. proposto da:

I.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Roberto Ricciardi, presso il cui studio elettivamente domicilia in

Caserta, al Viale Lincoln n. 77;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA depositata in

data 25/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/03/2021 dal Consigliere Dott. Campese Eduardo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 25 marzo 2019, la Corte di appello di L’Aquila respinse il gravame proposto da I.A. contro l’ordinanza resa, il D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 e il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, dal tribunale di quella stessa città il 5 novembre 2017, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

1.1. In particolare, quella corte ritenne inattendibile il racconto del richiedente, e comunque i fatti da lui narrati inidonei a giustificare le sue richieste.

2. Avverso questa sentenza I.A. ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va dichiarata l’inammissibilità della “costituzione” dell’intimato Ministero dell’Interno, tardivamente effettuata con un atto, denominato appunto “atto di costituzione”, non qualificabile come controricorso, sostanziandosene il relativo contenuto nella mera dichiarazione di costituirsi in giudizio “con il presente atto al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma i c.p.c.”. Risulta, infatti, in tal modo, violato il combinato disposto di cui all’art. 370 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in base ai quali il controricorso deve, a pena di inammissibilità, contenere l’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale (cfr. Cass. n. 5400 del 2006). Anche nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., comma 1 (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato – come nel caso di specie – un atto non qualificabile come controricorso, in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa, pertanto, qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. (cfr. Cass. n. 10813 del 2019; Cass. n. 16261 del 2012; Cass. n. 5586 del 2011).

2. Tanto premesso, l’unico formulato motivo denuncia “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in subordine umanitaria, non avendo la Corte di appello di L’Aquila, pur a fronte delle allegazioni dell’appellante, considerato la condizione di grave instabilità sociale e politica esistente in Nigeria”. L’istante lamenta che la corte aquilana “ha escluso la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria, umanitaria e dello status di rifugiato, sull’onda delle dichiarazioni rese in primo luogo nell’audizione personale tenutasi dinanzi alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione internazionale competente, evidenziando, a sostegno della propria decisione, “che l’appellante ha dichiarato di aver lasciato la Nigeria non perchè versasse in una situazione di pericolo, o comunque di vulnerabilità, ma solo per accompagnare uno zio in un’altra città nigeriana, per lavoro”. In particolare, l’adita Corte di appello di L’Aquila affermava che, nel caso di specie, l’inattendibilità complessiva del racconto e le questioni sostenute dal richiedente e fondanti la propria richiesta di protezione non consentivano il riconoscimento dello status di rifugiato in capo al medesimo”. Si contestano, sostanzialmente, richiamandosi pronunce di legittimità e di merito, le argomentazioni poste dalla corte predetta a fondamento della propria decisione reiettiva delle richieste forme di protezione.

2.1. Una censura siffatta è complessivamente inammissibile.

2.2. Essa si compone, invero, di una inestricabile congerie di doglianze confusamente ricondotte alla carenza motivazionale (in forme che, oltretutto, richiamano il testo previgente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ed alla violazione di legge, senza che siano individuate le norme da prendere in considerazione a tal fine, ed alla mancata considerazione di una situazione sociale e politica: evenienza, quest’ultima, che l’istante non chiarisce se debba essere appezzata come omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata il 25 marzo 2019) o come elemento rappresentativo di un non meglio precisato error in judicando in jure, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.3. Orbene, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa. Ciò comporta – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero delle lamentate carenze di motivazione (cfr. Cass. n. 28018 del 2020, in motivazione; Cass. n. 20652 del 2009; Cass. n. 13259 del 2006).

2.3.1. Inoltre, l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando – come accade nella odierna fattispecie – la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (cfr. Cass. n. 28018 del 2020; Cass. n. 7009 del 2017): in particolare, lo svolgimento in un singolo motivo di più censure costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (cfr. Cass. n. 28018 del 2020; Cass. n. 26790 del 2018).

2.4. E’ solo il caso di aggiungere che, in ogni caso, la corte aquilana ha ritenuto che il racconto del richiedente non fosse credibile.

2.4.1. Come è noto, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo le medesime essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (cfr. Cass. n. 28018 del 2020; Cass. n. 2458 del 2019; Cass. n. 15782 del 2014 e, in precedenza, Cass. n. 4138 del 2011, per la quale ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni).

2.4.2. Ciò detto, va rimarcato che la giurisprudenza di legittimità, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), ha chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti, come si è già riferito), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019); il) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande riguardanti lo status di rifugiato e quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019); iii) nessun problema di approfondimento istruttorio poteva porsi, d’altro canto, con riferimento alla particolare ipotesi della violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, di cui al D.Lgs. n. citato, art. 14, lett. c). In proposito, la corte di appello ha motivatamente escluso che la regione (Edo State) della Nigeria da cui proviene l’istante sia interessata a tale violenza indiscriminata. L’accertamento svolto implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr. Cass. n. 28018 del 2020; Cass. n. 32064 del 2018), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 6336 del 2021; Cass. n. 28018 del 2020; Cass. n. 30105 del 2018), oltre che per totale assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass., SU, nn. 8053 e 8054 del 2014). L’istante non indica, tuttavia, il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” ed il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, nè la sua “decisività” (cfr. Cass., SU, nn. 8053 e 8054 del 2014); tantomeno articola una censura in cui denunci una radicale anomalia motivazionale (e cioè la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Cfr., ancora, le sentenze da ultimo richiamate).

2.5. Infine, nella parte in cui contesta il diniego del riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la doglianza si rivela inammissibilmente tesa a sollecitare, sul punto, una diversa valutazione fattuale rispetto a quella operata dalla corte distrettuale, la quale ha escluso la sussistenza di situazione di vulnerabilità del ricorrente. Quest’ultimo, peraltro, non ha indicato, come sarebbe stato suo preciso onere, fatti costitutivi ulteriori (rispetto a quelli giudicati inattendibili dalla corte di merito) del diritto azionato, nè poteva il giudice introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015; in senso conforme si vedano pure Cass. n. 27336 del 2018, Cass. n. 3016 del 2019 e Cass. n. 28018 del 2020).

2.5.1. La censura, inoltre, manca pure della necessaria allegazione delle condizioni di vita nel Paese di origine da valutare comparativamente al livello di integrazione raggiunto in Italia. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte richiede, infatti, il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale (cfr. Cass. n. 23778/2019; Cass. n. 1040/2020; Cass. n. 24026 del 2020), escludendo che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari possa essere riconosciuto solo in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza del richiedente – poichè si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, bensì quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti (cfr. Cass. 17072 del 2018, 9304 del 2019) – nè considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018; Cass. n. 630 del 2020; Cass. n. 24026 del 2020).

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

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