Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13698 del 05/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/07/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 05/07/2016), n.13698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLI Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15128/2014 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in Roma Piazza Cavour

presso la Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato

GIUSEPPE DI PRIMA, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende

ope legis;

– controricorrene –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE AGRIGENTO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 63/30/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PALERMO del 19/03/2013, depositata il 05/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore Cons. Dott. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La CTR di Palermo ha respinto il ricorso proposto da C. A. – contro la sentenza n. 342/01/2009 della CTP di Agrigento che aveva già respinto il ricorso della parte contribuente – ed ha perciò confermato l’avviso di accertamento per IVA-IRPEF-IRAP relativa all’anno 2003, pretesa dall’Agenzia sulla scorta di un PVC dal quale si desumeva che l’attività esercitata dalla C. (allevamento di animali) non potesse considerarsi “agricola”, con conseguente recupero a tassazione ordinaria dei redditi ricostruiti induttivamente.

La predetta CTR – dopo avere dato atto del fatto che la contribuente aveva contestato “il metodo dell’accertamento” siccome fondato sulle medie di settore, ed in particolare con applicazione di “dati statistici provenienti da studi di settore” che non tenevano conto della crisi di mercato degli ultimi anni – ha motivato la decisione evidenziando anzitutto l’irregolarità della tenuta della contabilità della ditta contribuente (siccome non era stato esibito il registro cronologico di carico e scarico, ai fini della determinazione del reddito di impresa) ed evidenziando ancora che la ricostruzione da parte dell’Ufficio era avvenuta sulla base dei dati contenuti nel registro di stalla, che avevano consentito di risalire in via presuntiva alla consistenza del latte venduto ed al numero di agnelli venduti. A questi ultimi fini si era tenuto conto dei dati comunicati dal Distretto Veterinario di (OMISSIS) nel raffronto con gli studi effettuati per la provincia di Agrigento. Dal suo canto la contribuente non era stata in grado di confutare analiticamente la ricostruzione dell’effettiva dimensione economica dell’attività di allevamento, nè poteva convenirsi con l’eccezione secondo cui non era stato allegato in forma integrale il PVC a cui l’avviso di accertamento faceva riferimento, sia perchè la contribuente (che se ne era avvalsa per la sua articolata difesa) lo aveva controfirmato per ricevuta, sia perchè era stata la contribuente stessa a produrne in giudizio uno stralcio, sia perchè il PVC medesimo figurava agli atti di causa in una con gli altri allegati all’avviso di accertamento.

La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’Agenzia si è difesa con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato al vizio di omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) la ricorrente si duole della pretermessa indicazione degli elementi dai quali il giudicante aveva tratto il proprio convincimento, sicchè la motivazione risultava apodittica ed insufficiente.

Il motivo appare inammissibilmente proposto, poichè improntato alla tipologia di vizio impugnatorio non più contemplato dalla formula dell’art. 360, comma 1, n. 5, in vigore al momento in cui è stata adottata la pronuncia che qui si impugna, perciò applicabile alla specie di causa. Il vizio prospettabile sulla scorta della nuova formula eventualmente valorizzabile in questa sede (l’omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso) non è stato neppure in concreto invocato dalla parte ricorrente, che si è limitata a censurare l’inidoneità della motivazione della pronuncia impugnata, perciò improntando la doglianza ad un archetipo non più valorizzabile ai fini dell’impugnazione.

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e degli artt. 2727 e 2729 c.c.) la parte ricorrente – premesso che a carico della ditta accertata, diversamente da quanto asserito dal giudice di appello, non risultavano violazioni formali tali da rendere inattendibile la contabilità, siccome dal PVC risultava che “la parte ha inoltre esibito il registro aziendale di carico e scarico (ovini e caprini) relativo al periodo 25.3.19726.09.2004” – si è doluta del fatto che il giudicante avesse ritenuto la sussistenza di presunzioni di evasione, per quanto la ricostruzione dei ricavi si fondasse esclusivamente su una ricostruzione statistica non corroborata da ulteriori indizi e – perciò stesso – inidonea a costituire la prova ai fini della fondatezza della ripresa fiscale. L’Ufficio aveva quindi fallito l’onere di prova posto a suo carico. Anche il motivo di impugnazione ora in esame si presenta inammissibilmente formulato.

La parte ricorrente si duole infatti della concreta valutazione –

complessiva e correlata – che il giudicante ha fatto delle fonti di prova poste alla sua attenzione, concludendo per l’erroneità della valutazione del giudicante medesimo a riguardo della significatività e concludenza delle presunzioni valorizzate.

In tal modo, però, la parte ricorrente non prospetta affatto un vizio di violazione di legge ma formula un vero e proprio gravame a riguardo dell’esercizio dei poteri che sono riservati al giudice del merito con riferimento alla selezione ed alla valutazione delle fonti del suo convincimento. Sul punto, merita rammentare che: “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi –

violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010).

Non resta che concludere per l’inammissibilità della formulazione del motivo, siccome effetto dell’inidoneità dell’archetipo prescelto.

Con il terzo motivo di impugnazione (centrato sulla “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – art. 2697 c.c.”) la parte ricorrente si duole del fatto che –

essendo l’avviso di accertamento motivato per relationem al PVC e non essendo stato detto PVC prodotto in giudizio in copia integrale – non si fosse rilevato il mancato assolvimento dell’onere probatorio posto in capo all’Agenzia. Sul punto, la pronuncia della CTR doveva considerarsi illegittima, avendo affermato – contrariamente al vero –

che “agli atti del fascicolo figura in forma integrale il processo verbale di constatazione dell’1.10.2004, nonchè tutti gli allegati all’avviso di accertamento”.

Il motivo in rassegna appare inammissibilmente formulato.

La premessa stessa su cui detto motivo si fonda (difetto del PVC agli atti di causa) è stata disattesa dal giudice del merito, che ne ha constatato l’esistenza nella sua “forma integrale”.

L’inidoneo mezzo di impugnazione proposto dalla parte qui ricorrente (centrato esclusivamente sulla violazione di norma di legge) non consente alla Corte di esaminare il merito della doglianza, appunto perchè quest’ultima si incentra su un fatto che è da ritenersi incontrastabilmente escluso, in ragione del diretto accertamento fattone dal giudicante.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio per inammissibilità di tutti i motivi.

Roma, 8 febbraio 2016.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in Euro 2.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2016

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