Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13697 del 22/06/2011

Cassazione civile sez. II, 22/06/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 22/06/2011), n.13697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato PETRALIA

FRANCESCO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

REG LAZIO IN PERSONA DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA LEGALE

RAPPRESENTANTE IN CARICA, selettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5488/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato Vincenzo Alberto Pennisi con delega depositata in

udienza dell’Avv. Petralia Francesco difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorsi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione regolarmente notificata la regione Lazio proponeva appello alla sentenza del tribunale di Tivoli n. 99/2000, sezione di Castelnuovo di Porto, con la quale era stata accolta la domanda di usucapione di C.S. relativamente al fondo in comune di (OMISSIS) in catasto alla partita 233, foglio 2 numero 147, di are 101,60.

Il C. chiedeva la conferma della sentenza e la Corte di appello di Roma, con sentenza 5488/04, accoglieva il gravame condividendo la tesi dell’ente che la fotocopia non disconosciuta nella prima udienza successiva alla produzione fa prova del suo contenuto , richiamando giurisprudenza di questa Suprema Corte circa l’applicazione alle scritture private in fotocopia degli artt. 214 e 215 c.p.c.. Dal documento si evinceva che il C., unitamente a C. G., indicasse il fondo come di proprietà della Regione, definendosi occupante, donde la consapevolezza della altruità del bene.

Nè le testimonianze superavano il profilo del difetto dell’animus possidendi riferendo di un generico incarico di pulire il fondo o di ripristinare la rete di recinzione.

Ricorre C. con unico motivo, resiste la regione Lazio. Il Collegio ha deliberato la motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si denunziano violazione di norme di diritto ex artt. 214 e 215 c.p.c. e vizi di motivazione perchè la Regione Lazio si era costituita in cancelleria e non aveva partecipato a nessuna udienza per cui l’attore non aveva tempestivamente avuto conoscenza della costituzione e della produzione.

La censura non merita accoglimento sia perchè implicitamente ammette un tardivo tentativo di disconoscimento, senza nemmeno indicare quando è stato proposto, anzi sembrerebbe che ciò sia avvenuto in appello, sia perchè non viene censurata la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte di Cassazione sul punto controverso, limitandosi a dedurre che non si è tenuto conto di come in realtà si è svolta la vicenda processuale, sia. infine, e soprattutto, perchè non si impugna la ratio decidendi della consapevolezza dell’altruità del bene e del difetto dell’animus possidendi.

Per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).

Nè è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. 1 agosto 1980 n. 4903, Cass. 5 ottobre 1978 n. 4454), ove, come nel caso, sia congruamente logica e giuridicamente corretta.

In ogni caso, appare decisiva la circostanza, per nulla smentita dalla prova testimoniale, che l’iniziale detenzione non ha dato luogo, nel tempo, ad interversione del possesso.

Alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222).

La domanda di usucapione è stata correttamente disattesa in riferimento alla mancanza del fatto “possesso” posto che la mera eventuale occupazione o detenzione è irrilevante (S.U. 27 marzo 2008 n. 7930. In senso conforme cfr. Cass. 1.3.2030 n. 4863 che fa salva la dimostrazione di una sopraggiunta interversio possessionis, nella specie non avvenuta).

In definitiva, il ricorso va interamente rigettato, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2700, di cui 2500 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011

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