Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13696 del 19/05/2021

Cassazione civile sez. I, 19/05/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 19/05/2021), n.13696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 31307/2018 r.g. proposto da:

A.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Simona

Giannangeli, presso il cui studio elettivamente domicilia in

L’Aquila, alla via A. Manzoni n. 13;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA depositata in

data 14/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/03/2021 dal Consigliere Dott. CAMPESE Eduardo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 24 luglio/14 settembre 2018, la Corte di Appello di L’Aquila respinse il gravame proposto da A.S. contro l’ordinanza, resa, il D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 e il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, dal tribunale di quella stessa città il 21 febbraio 2017, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

1.1. In particolare, quella corte ritenne i fatti narrati dal richiedente, benchè credibili, inidonei a giustificare le sue richieste.

2. Avverso questa sentenza A.S. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze, rubricate, rispettivamente: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). Violazione di legge per mancata applicazione degli artt. 1 e 2 della Convenzione di Ginevra e violazione di legge per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e per la mancata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6” ed “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, censurano le argomentazioni utilizzate dalla corte distrettuale per disattendere la richiesta di protezione dell’ A.. Esse si rivelano entrambe inammissibili.

2. Lo è, innanzitutto, la seconda perchè fa riferimento ad una nozione di vizio di motivazione non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata il 14 settembre 2018) atteso che tale mezzo di impugnazione riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017). Nella specie, peraltro, nemmeno risultano puntualmente osservati gli oneri di allegazione sancito, per tale tipologia di censura, da Cass., SU, n. 8053 del 2014.

3. Analoga sorte merita il primo motivo, che si risolve, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020. In senso sostanzialmente conforme si veda anche Cass., SU, n. 23745 del 2020).

3.1. In proposito, infatti, è sufficiente rimarcare che: 1) la corte aquilana ha valorizzato le ragioni di carattere essenzialmente privato (ricerca di un lavoro retribuito e necessità di cura un’ernia inguinale) poste dall’ A. a fondamento delle sue richieste, così negandogli, per evidente insussistenza dei corrispondenti presupposti di legge, sia lo status di rifugiato che la protezione sussidiaria, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) e le conclusioni ivi raggiunte si rivelano ampiamente coerenti con il suddetto parametro normativo, rendendo, così, irrilevante, su questi specifici aspetti, l’effettiva situazione socio politica della sua zona di provenienza, (peraltro comunque esaminata). Mentre, quanto a quella stessa protezione invocata giusta la lett. c), del medesimo articolo, la sentenza oggi impugnata ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese (Edo State, in Nigeria) di provenienza del richiedente, ha compiutamente indicato le fonti utilizzate ed ha escluso che sia caratterizzato dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. Su questo preciso punto, peraltro, la relativa doglianza dell’ A. nemmeno allega dove, nei motivi di gravame, avesse già proposto un’analoga censura (un eventuale profilo di inesistenza/inattendibilità delle fonti di informazione) in ordine alla decisione di primo grado. A nulla rilevano le fonti oggi segnalate dal ricorrente, nemmeno essendo dato sapere se precedentemente sottoposte all’attenzione della corte distrettuale (cfr. Cass. n. 29056 del 2019); ii) la censura attinente al diniego di protezione umanitaria, astrattamente riconoscibile ratione temporis (cfr. Cass., SU, n. 29459 del 2019), è inammissibilmente tesa a sollecitare, sul punto, una diversa valutazione fattuale rispetto a quella operata dalla corte distrettuale, la quale ha escluso la sussistenza di situazione di vulnerabilità del ricorrente. La stessa, peraltro, manca della necessaria allegazione sia della specifica vulnerabilità personale sia delle condizioni di vita nel Paese di origine da valutare comparativamente al livello di integrazione raggiunto in Italia. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte richiede, infatti, il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale (cfr. Cass. n. 23778/2019; Cass. n. 1040/2020; Cass. n. 24026 del 2020), escludendo che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari possa essere riconosciuto solo in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza del richiedente – poichè si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, bensì quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti (cfr. Cass. 17072 del 2018, 9304 del 2019) – nè considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018; Cass. n. 630 del 2020; Cass. n. 24026 del 2020); iii) circa la valutazione della permanenza in Libia, asserito Paese di transito, oggi dedotta dal ricorrente, la corrispondente argomentazione, peraltro assolutamente generica, mira ad un accertamento di elementi fattuali che non risultano aver formato oggetto di specifica trattazione nella sentenza impugnata, nè sono stati indicati nel loro “se, come, quando e dove” essi siano stati posti al giudice di merito (cfr. Cass. n. 2038 del 2019; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 6542 del 2004), osservandosi, altresì, che nemmeno sono state specificate ragioni di rilevanza di un tale accertamento, non riguardante il Paese di origine e dunque di rimpatrio del richiedente protezione internazionale (cfr. Cass. n. 1526 del 2021, in motivazione; Cass. n. 9302 del 2018, in motivazione).

4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021

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