Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13693 del 30/05/2017

Cassazione civile, sez. VI, 30/05/2017, (ud. 20/12/2016, dep.30/05/2017),  n. 13693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24100/2015 proposto da:

C.V., in proprio e nella qualità di madre esercente la

responsabilità genitoriale sul figlio minore P.I.E.,

P.M.M., P.G.L., tutti in proprio

e nella qualità di eredi di P.E.I., domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIOVANNI D’ERME, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

FATA ASSICURAZIONI DANNI S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del

procuratore pro tempore Dott. B.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE PINTURICCHIO, 204, presso lo studio

dell’avvocato ANNAPAOLA MORMINO, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

G.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7777/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 6/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 20/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.V., in proprio e nella qualità di madre esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore P.I.E., P.M.M., P.G.L., tutti in proprio e nella qualità di eredi di P.E.I., hanno proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, pubblicata in data 6 marzo 2015, nei confronti di Fata Assicurazioni Danni S.p.a. e G.M..

Con la predetta sentenza, la Corte territoriale già indicata, pronunciando sull’appello proposto dagli attuali ricorrenti avverso la sentenza n. 4505/2010, emessa dal Tribunale di Roma con riferimento alla domanda dai medesimi proposta nei confronti di Fata Assicurazioni S.p.a. e G.M., di condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento dei danni subiti in esito al sinistro stradale avvenuto il (OMISSIS), in cui P.E.I. aveva perso la vita e P.M.M. aveva subito lesioni personali a seguito dell’investimento, mentre camminavano a piedi, dall’autocarro Mercedes guidato dal G. e assicurato dalla predetta società, in parziale riforma della sentenza impugnata ha condannato, in solido tra loro, gli appellati, al pagamento, in favore di P.M.M., della ulteriore somma di Euro 30.419, oltre interessi compensativi, ha rigettato l’impugnazione nel resto e ha condannato gli appellati alle spese di quel grado del giudizio.

Il Tribunale, con la sentenza appellata, aveva dichiarato che il sinistro era avvenuto per pari responsabilità dei pedoni e del conducente dell’autocarro, aveva liquidato i danni e aveva condannato in solido i convenuti al pagamento, in favore delle parti istanti, delle somme residue, detratti gli acconti già versati.

Ha resistito con controricorso la Fata Assicurazioni Danni S.p.a..

G.M. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., del relatore, il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte con Decreto comunicato alle parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Con il primo motivo, rubricato “Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alle norm(e) di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2054 e 1227 c.c.). In ordine all’an debeatur. Responsabilità nella produzione del sinistro”, le parti ricorrenti, in sintesi (v. ricorso p. 13), lamentano che la Corte di merito abbia “ritenuto di dover attribuire una parte di responsabilità in capo alla vittima sulla sola base del dato “formale” relativo alla “presunta” violazione dell’art. 190 C.d.S.”, omettendo tuttavia “di considerare che la traiettoria tenuta dal veicolo investitore è stata la causa esclusiva della determinazione del sinistro, e che i pedoni, nella situazione venutasi a creare non potevano fare nulla per evitare il sinistro e che la loro posizione non ha dato alcun contributo efficiente al verificarsi del sinistro”.

3. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alle norm(e) di cui agli artt. 40 e 41 c.p.c., artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2054 e 1227 c.c.). In ordine all’an debeatur. Responsabilità nella produzione del sinistro. Nesso di causalità” le parti ricorrenti, in sintesi (v. ricorso p. 19), lamentano che la Corte di merito abbia “ritenuto di attribuire una parte di responsabilità in capo alla vittima sulla sola base del dato “formale” relativo alla “presunta” violazione dell’art. 190 C.d.S., senza considerare che se anche vi fosse stata detta violazione, la stessa non ha avuto alcuna efficienza causale nella causazione del sinistro, in quanto la condotta del sig. G. era stata da sola sufficiente a determinare il sinistro, e ciò in violazione dei principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.p., in materia di nesso di causalità”.

4. I due motivi, che essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

Ed invero, oltre a difettare di specificità, in quanto sono stati riportati in ricorso solo alcuni brani delle testimonianze e della c.t.u. richiamate, al di là di quanto indicato in rubrica, le doglianze proposte con i mezzi all’esame tendono, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, inammissibile in sede di legittimità. Si evidenzia, al riguardo, che questa Corte ha già avuto modo di affermare ripetutamente che, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla sua eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico, come nel caso all’esame (v., ex multis, Cass. 25/01/2012, n. 1028).

5. Con il terzo motivo, rubricato “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alle norm(e) di cui agli ar(t). 2043 c.c.). Mancato risarcimento del danno tanatologico per sofferenza prima della morte, trasmessa agli eredi”, le parti ricorrenti lamentano che la Corte di merito abbia rigettato la richiesta volta al riconoscimento del cd. danno tanatologico e sostengono che, sia pure per un breve lasso di tempo, P.E.I. avrebbe avuto coscienza della gravità dell’evento lesivo e di quello che gli stava per accadere.

5.1. Il motivo è infondato.

Va tenuto conto che, in base a quanto rappresentato nello stesso motivo all’esame, l’evento lesivo sarebbe accaduto alle ore 5,40 e alle ore 6,20 P.E.I. sarebbe giunto al nosocomio ormai cadavere, sicchè la morte sarebbe intervenuta dopo brevissimo tempo.

Si osserva al riguardo che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 22/0//2015, n. 15350, hanno affermato il principio secondo cui, in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicchè, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (v. anche Cass. 23/03/2016, n. 5684).

A questo principio si è conformata la sentenza impugnata.

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

7. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti dell’intimato, non avendo lo stesso svolto attività difensiva in questa sede.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti, in solido tra loro, e al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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