Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1369 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. un., 22/01/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 22/01/2021), n.1369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36633-2019 proposto da:

CONSORZIO GENERALE DI BONIFICA DEL BACINO INFERIORE DEL VOLTURNO, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio del

Dott. GIUSEPPE PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELA

FERRARA;

– ricorrente –

contro

Q.A., R.A.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati GIUSEPPE DE

STEFANO e FRANCESCO PROCACCINI;

– controricorrenti –

contro

REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente della Giunta Regionale

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POLI 29, presso

l’Ufficio di rappresentanza della Regione, rappresentata e difesa

dall’avvocato ROSANNA PANARIELLO;

– resistente –

e contro

COMUNE DI CICCIANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 157/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 08/07/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato Angela Ferrara.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.A.F. e Q.A. convennero in giudizio innanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche (TRAP) presso la Corte d’Appello di Napoli la Regione Campania chiedendo la condanna al risarcimento dei danni, nella misura di Euro 25.566,00, verificatisi sul fondo di loro proprietà in seguito alle esondazioni dell’alveo (OMISSIS) nei giorni (OMISSIS) dovute alla rottura dell’argine destro idrografico. Espose parte attrice che gli eventi erano riconducibili alla cattiva manutenzione del corso d’acqua, il cui alveo si presentava invaso da detriti e vegetazione. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda e chiamando in causa il Consorzio Generale di Bonifica del Bacino Inferiore del Volturno ed il Comune di Cicciano.

2. Il TRAP adito accolse parzialmente la domanda, condannando la Regione ed il Consorzio al risarcimento del danno nella misura di Euro 17.600,00 oltre rivalutazione ed interessi.

3. Avverso detta sentenza propose appello il Consorzio. Si costituirono gli originari attori e la Regione chiedendo il rigetto dell’appello.

4. Con sentenza n. 157 di data 8 luglio 2019 il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (TSAP) rigettò l’appello.

Osservò il TSAP che la domanda si era automaticamente estesa al terzo chiamato, avendo il convenuto eccepito il difetto della propria legittimazione passiva, e che non ricorreva la nullità dell’atto introduttivo del giudizio in quanto lo stesso definiva petitum e causa petendi (risarcimento danni per esondazione dovuta al cattivo stato di manutenzione dell’alveo). Aggiunse, premesso che i Regi Lagni – in cui era incontroverso ricadesse l’alveo (OMISSIS) – rientravano ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. a) L.R. Campania nel Comprensorio di Bonifica “Volturno-Garigliano”, quanto segue: “non è stato dedotto che sia intervenuta alcuna delibera regionale che abbia dichiarato di interesse generale le opere di bonifica in questione, delibera in conseguenza della quale gli oneri di manutenzione e gestione sarebbero stati a carico della Regione. Ne discende che non ricorrendo una situazione di manutenzione gravante sulla Regione, la manutenzione stessa non può che ricadere sul Consorzio di bonifica, anche in mancanza di un atto formale di consegna al Consorzio stesso delle opere idrauliche esistenti, tenuto conto che l’alveo in questione rientra comunque nella zona di ampliamento del comprensorio consortile, circostanza non contestata dai ricorrenti”. Precisò inoltre che irrilevante era il riferimento al piano di classifica il quale rappresentava una sorta di tabella millesimale di contribuzione, similare ai millesimi di proprietà esistenti in un fabbricato condominiale, con cui venivano ripartite le spese sostenute dal Consorzio per i lavori di bonifica.

Osservò ancora, quanto alle risultanze istruttorie, che la sentenza impugnata si fondava non solo sulle testimonianze (non sussistendo comunque alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone con vincoli di parentela con una delle parti), ma anche sulla documentazione fotografica e sulla mancata allegazione di interventi di manutenzione, nonchè sul rapporto di evento redatto dall’ufficio tecnico del Consorzio, e che la decisione di mancato riconoscimento del carattere eccezionale degli eventi era suffragata dal vaglio di plurimi dati tecnici (oltre il citato rapporto di evento, i dati pluviometrici, la stima del periodo di ritorno, la mancanza di decreti dichiarativi dello stato di emergenza).

Aggiunse infine che era stata operata la liquidazione in via equitativa del danno avendo le parti provveduto al ripristino dei luoghi in economia senza accertamento tecnico preventivo, condividendo la perizia agronomica congruamente motivata circa le voci di danno astrattamente individuabili, e che, quanto al motivo di appello relativo alla condanna alle spese di lite, non ricorreva il presupposto della soccombenza reciproca che avrebbe consentito la compensazione delle spese processuali.

5. Ha proposto ricorso per cassazione il Consorzio Generale di Bonifica del Bacino Inferiore del Volturno sulla base di nove motivi. Resistono con controricorso R.A.F. e Q.A.. La Regione Campania è rimasta intimata, avendo presentato un mero atto di costituzione ed avendo omesso di proporre il controricorso. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del R.D. n. 1775 del 1933, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che non poteva operare il principio dell’estensione automatica della domanda al terzo chiamato perchè gli attori avevano chiesto la condanna della sola Regione e con la comparsa conclusionale avevano dedotto che la Regione non aveva fornito in giudizio alcuna prova circa il trasferimento di funzioni e competenze al Consorzio, ovvero l’affidamento della ordinaria manutenzione, in relazione all’alveo in questione.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4 e del R.D. n. 1775 del 1933, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che nell’atto introduttivo del giudizio non vi è traccia del petitum e della causa petendi e che dalla lettura dell’atto non si comprende in cosa sia consistita l’omessa manutenzione e perchè avrebbe cagionato i danni, mentre assolutamente indeterminata è la domanda anche in relazione ai danni verificati.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 12 L.R. Campania, R.D. n. 523 del 1904, art. 5, R.D. n. 215 del 1933, artt. 10, 11,17,18,21 e 54, artt. 2051 e 2697 c.c., artt. 81 e 100 c.p.c., L. n. 214 del 1990, artt. 2, 3 e 15, e del D.Lgs. n. 152 del 2006, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, richiamando il difetto di legittimazione passiva denunciato con l’atto di appello, che l’alveo (OMISSIS), costituente corso di acqua naturale e non canale consortile, ricadente nella zona di ampliamento consortile, non è nella disponibilità del Consorzio in quanto non vi è mai stato trasferito dalla Regione Campania con atto formale di consegna ai sensi della L.R. n. 4 del 2003 (art. 3), a mente della quale i compiti e gli interventi dei Consorzi di Bonifica sono realizzati dalla Regione con affidamenti in concessione ai Consorzi medesimi (art. 7), e che solo in presenza dell’atto formale di consegna sorge per il Consorzio l’obbligo manutentivo (trattandosi di pubbliche amministrazioni ogni attività deve essere trasfusa in un provvedimento amministrativo). Aggiunge che non vi è necessità di un provvedimento espresso per l’attribuzione della natura di bene di preminente interesse regionale perchè la presenza di corso d’acqua naturale di per sè determina l’assoggettamento al vincolo ambientale ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, comma 1, lett. c). Osserva infine che per tale ragione non è mai stato fatto un piano di classifica e nessuna contribuzione è stata mai richiesta ai proprietari dei fondi siti nella zona.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 2051 e 2697 c.c., artt. 111 e 116 c.p.c. e della L.R. Campania n. 4 del 2003, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che sono stati ritenuti sussistenti gli elementi del danno pur essendovi meri indizi ed in particolare: la perizia di parte non è giurata, le fotografie sono prive di data certa, le testimonianze sono generiche.

5. Con il quinto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., art. 2051 e 2697, c.c., artt. 111 e 116 c.p.c. e della L.R. Campania n. 4 del 2003, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, in ordine all’eccezionalità dell’evento, dovevano essere valutate non solo le caratteristiche del fenomeno piovoso, ma anche la natura ed importanza dell’opera idraulica con il rischio connesso, nonchè la classificazione della pericolosità/rischio idraulico dell’area e che in relazione a tali aspetti il tempo di ritorno di venticinque anni doveva considerarsi eccezionale. Aggiunge che la mancata produzione di decreti dichiarativi dello stato di emergenza non esclude l’eccezionalità dell’evento e che gli eventi del novembre 2011 ebbero tale caratteristica.

6. Con il sesto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 1226,2056 e 2697 c.c., artt. 111 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che in mancanza della prova dei danni era preclusa la liquidazione in via equitativa e che in particolare gli attori ben avrebbero potuto dimostrare i danni subiti mediante le fatture dei lavori svolti e delle spese sostenute per liberare i fondi dall’acqua e renderli nuovamente produttivi.

7. Con il settimo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 111 e 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, in ordine alla condanna del Consorzio in primo grado alla rifusione delle spese processuali, che vi è soccombenza parziale anche in presenza di domanda parzialmente accolta, come affermato dallo stesso TSAP, il quale tuttavia ha escluso che vi era stata soccombenza reciproca tale da giustificare la compensazione delle spese.

8. Con l’ottavo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la parte ricorrente che la mancanza di un piano di classifica e la conseguente insussistenza di un pagamento di contributi consortili costituivano ulteriore prova della mancanza di disponibilità dell’area e pertanto di un rapporto di custodia.

9. Con il nono motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la parte ricorrente che il TSAP ha omesso di esaminare la circostanza che l’Alveo (OMISSIS) costituisce un corso d’acqua naturale, per il quale, ai sensi del R.D. n. 215 del 1933 risulta esclusa la competenza del Consorzio, rientrando nella competenza della Regione sulle opere idrauliche. Aggiunge che, alla luce della L.R. Campania n. 23 del 1985, art. 3 punto 4 e del R.D. n. 215 del 1933, ai Consorzi di Bonifica è affidata la sola cura per le opere di bonifica, consistenti nella realizzazione di impianti di canalizzazione e di sollevamento, cioè in relazione alle opere artificiali, mentre con riferimento alle opere idrauliche, relative ai corsi naturali, la manutenzione compete alla Regione.

10. Il primo motivo è inammissibile. Con la censura in esame viene denunciato il vizio di extrapetizione nel senso che non risulterebbe proposta dagli attori la domanda nei confronti del terzo chiamato, ostando al principio di estensione automatica della domanda la circostanza della proposizione della stessa nei confronti della sola Regione.

Ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 204 – che opera un rinvio recettizio alle corrispondenti norme del codice di procedura civile del 1865 – qualora il Tribunale Superiore delle acque pubbliche sia incorso nel vizio di extrapetizione, l’impugnazione esperibile è l’istanza di rettificazione al medesimo Tribunale superiore e non il ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione di cui ai successivi artt. 200 – 202 dello stesso T.U., esperibile invece in caso di omesso esame di un motivo, non rientrando quest’ultima ipotesi tra quelle per cui è prevista la rettificazione ai sensi del citato art. 204 (fra le tante Cass. Sez. U. 25 giugno 2019, n. 16979; 6 maggio 2014, n. 9662; 12 gennaio 2011, n. 505). Lo specifico rimedio del ricorso per rettificazione allo stesso TSAP è previsto in particolare per i casi previsti ai nn. 4 (se la sentenza “abbia pronunciato su cosa non domandata”), 5 (“se abbia aggiudicato più di quello che era domandato), 6 (“se abbia omesso di pronunciare sopra alcuno dei capi della domanda”) e 7 (“se contenga disposizioni contraddittorie) dell’art. 517 c.p.c. 1865.

11. Il secondo motivo è inammissibile. Quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, ed in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (Cass. Sez. U. 22 maggio 2012, n. 8077; da ultimo, fra le tante conformi, Cass. 8 gennaio 2020, n. 134). La Corte di cassazione è pertanto giudice anche del “fatto processuale” e può esercitare il potere-dovere di esame diretto degli atti purchè la parte ricorrente li abbia compiutamente indicati, non essendo legittimata a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. 5 agosto 2019, n. 20924).

Nel motivo di ricorso manca la specifica indicazione del contenuto della domanda, nella parte rilevante ai fini dell’esame della censura, essendosi la parte limitata alla generica denuncia di indeterminatezza di petitum e causa petendi. Non è consentito pertanto a questa Corte procedere all’accertamento del fatto processuale.

12. Il terzo motivo è infondato. Va premesso che la questione posta attiene non alla legitimatio ad causam, quale titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, ma alla titolarità del rapporto controverso dal lato passivo, e cioè di merito della vicenda sostanziale.

La censura è incentrata sull’assenza di un atto formale di consegna dell’opera idraulica. Non è qui in discussione che la circostanza della formale consegna dell’opera, o quella dell’esistenza di una manutenzione di fatto, facciano sorgere il dovere di manutenzione dell’opera. Sul punto è sufficiente qui richiamare la parte rilevante della motivazione della recente Cass. Sez. U. 18 dicembre 2018, n. 32730, la quale ha delineato nei tratti essenziali l’evoluzione della giurisprudenza di queste Sezioni Unite. “La circostanza per cui un consorzio di bonifica abbia provveduto su concessione dello Stato (ora della Regione) ad eseguire opere di sistemazione idraulica su di un corso d’acqua iscritto nell’elenco delle acque pubbliche non implica di per sè che, ad opere compiute, il consorzio stesso sia responsabile della manutenzione di quel corso d’acqua; la quale spetta, invece, allo Stato o ad altri enti, come gli appositi consorzi per le opere idrauliche nettamente distinti dai consorzi di bonifica. Tale responsabilità, con conseguente obbligazione risarcitoria per i danni cagionati da difetto di manutenzione a carico del consorzio di bonifica, può sorgere solo quando il rapporto effettivamente instauratosi fra questo concessionario delle opere suddette e l’ente concedente possa, alla stregua dei rispettivi comportamenti, risultare idoneo alla produzione di un tale effetto, come nel caso in cui la manutenzione sia stata affidata in via esclusiva allo stesso consorzio di bonifica fornitore delle opere (sentenza 12 giugno 1992, n. 7232). Successivamente, le Sezioni Unite hanno esteso questo principio affermando che, qualora un consorzio di bonifica abbia di fatto provveduto, pur non essendo gravato dal relativo obbligo, alla manutenzione di un canale, assumendo così la custodia e la gestione del corso d’acqua, sullo stesso grava anche la relativa responsabilità e quindi l’obbligo di risarcire i danni derivanti da difetto di manutenzione (sentenze 9 marzo 2007, n. 5394, e 13 giugno 2012, n. 9591). In base a tale orientamento – al quale l’odierna pronuncia intende dare ulteriore continuità – altre sentenze hanno risolto il problema del riparto di responsabilità verificando, anche attraverso il richiamo delle leggi regionali, se ed in quale misura i consorzi di bonifica fossero stati realmente investiti di funzioni di manutenzione dei corsi d’acqua, con conseguente insorgenza della loro responsabilità a titolo di custodi, ai sensi dell’art. 2051 c.c. (v. le sentenze 5 marzo 2009, n. 5287, e 25 marzo 2013, n. 7375)”.

Si ricava così che la giurisprudenza di questa Corte è nel senso del riferimento anche alle leggi regionali quale elemento per accertare se ricorra l’investitura del consorzio nella funzione di manutenzione del corso d’acqua. Il Tribunale Superiore ha ritenuto determinante ai fini dell’insorgenza della responsabilità risarcitoria l’inclusione dell’alveo (OMISSIS) nel comprensorio di bonifica “Volturno-Garigliano” in quanto comprendente il bacino dei Regi Lagni. Tale conclusione non è in contraddizione con il principio dell’investitura formale, o della manutenzione di fatto.

Il punto decisivo è che il riferimento nella legge reg. Campania 25 febbraio 2003, n. 4 alla realizzazione degli interventi pubblici di bonifica mediante concessione ai consorzi di bonifica (art. 3, comma 1) attiene ai nuovi interventi pubblici di bonifica che sopravvengano all’entrata in vigore della medesima legge regionale. L’art. 33 della legge, la cui rubrica reca “Riordino e delimitazione dei comprensori di bonifica”, e che, ridefinendo i comprensori di bonifica integrale, ha incluso nel comprensorio “(OMISSIS)” il bacino (OMISSIS), ha una duplice valenza. Per un verso la ridelimitazione è funzionale all’attuazione degli interventi di competenza previsti dalla legge, e dunque all’affidamento degli interventi pubblici di bonifica ai consorzi considerando il relativo comprensorio di bonifica (salvo quanto previsto dall’art. 3, u.c. per l’affidamento anche al di fuori del comprensorio), per l’altro è funzionale alla “razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni dei consorzi di bonifica”, e dunque ai compiti da svolgere da parte dei consorzi con riferimento alle opere idrauliche esistenti già all’epoca di entrata in vigore della legge regionale. La riconduzione del dovere di manutenzione al presupposto di fatto dell’inclusione dell’alveo nel bacino dei (OMISSIS), operata dal Tribunale Superiore, si colloca in questo secondo versante della funzione della delimitazione dei perimetri dei comprensori di bonifica. Quando il Tribunale Superiore afferma che si prescinde dall’atto di formale di consegna, per il carattere determinante della dislocazione geografica dell’alveo, intende sottolineare che l’investitura della funzione di manutenzione del corso d’acqua discende dalla ricognizione legislativa di cui all’art. 33 e dalla norma fondamentale di cui al R.D. n. 215 del 1933, art. 54, in base al quale “i consorzi provvedono alla esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica o soltanto alla manutenzione ed esercizio di esse”. Ed invero, alla stregua della motivazione della decisione impugnata, non si tratta di intervento pubblico di bonifica sopravvenuto alla legge regionale, per il quale effettivamente sarebbe stato richiesto l’affidamento in concessione, in mancanza dello svolgimento di un’attività di manutenzione di fatto.

Si comprende in questo quadro anche il riferimento alla mancanza di una delibera regionale di dichiarazione di preminente interesse regionale dell’opera ai sensi dell’art. 2, comma 3. Ove una tale delibera fosse occorsa, si sarebbe interrotta la situazione giuridica derivante dalla legge, nei termini appena indicati, perchè per la nuova opera, come previsto dall’art. 12, comma 3, gli “oneri di manutenzione e gestione sono a carico della regione”.

13. Il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili. Le censure attengono alla valutazione della prova, che è profilo non sindacabile nella presente sede di legittimità se non nei ristretti limiti della violazione di norma di diritto, quale la norma sul riparto degli oneri probatori, e della denuncia del vizio motivazionale. In particolare va rammentato che la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892). Nel caso di specie la censura è limitata al cattivo esercizio del potere di valutazione della prova.

14. Il sesto motivo è inammissibile. Anche in relazione a tale motivo si fa questione di assenza dei presupposti per la liquidazione in via equitativa, censurando la confutazione del giudizio in termini di esistenza della prova dei danni. Su quest’ultimo punto sarebbe sufficiente richiamare quanto osservato a proposito dei due precedenti motivi. Va tuttavia rammentato che il ricorso del giudice alla liquidazione equitativa è legittimo quando la determinazione del preciso ammontare del danno sia impossibile o particolarmente difficile e l’accertamento di tali estremi costituisce indagine di fatto sottratta al sindacato in sede di legittimità, allorquando il giudizio al riguardo espresso dal giudice di merito sia congruamente motivato (fra le tante Cass. 25 giugno 2007, n. 14702; 31 luglio 2006, n. 17303). E’ dunque necessario che, qualora proceda alla liquidazione del danno in via equitativa, il giudice di merito, affinchè la sua decisione non presenti i connotati della arbitrarietà, indichi i criteri seguiti per determinare l’entità del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorchè si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati (fra le tante Cass. 8 gennaio 2016, n. 127; 13 ottobre 2017, n. 24070). Nel caso in esame, il Tribunale Superiore ha dato adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale ha confermato la liquidazione equitativa operata in primo grado, ripercorrendo e condividendo la valutazione effettuata dal Tribunale Regionale.

15. Il settimo motivo è inammissibile. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, nell’ipotesi di soccombenza reciproca (fra le tante da ultimo Cass. 4 agosto 2017, n. 19613).

16. L’ottavo ed il nono motivo sono infondati. Premessa l’esperibilità della denuncia per vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 avverso le sentenze del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche cui sia applicabile ratione temporis l’art. 54 d.l n. 83 del 2012, convertito con L. n. 134 del 2012 (Cass. Sez. U. 7 gennaio 2016, n. 67; 2 dicembre 2008, n. 28547), con i due motivi in esame si denuncia l’omesso esame di due fatti, e segnatamente la circostanza della mancanza di un piano di classifica e quella del carattere di corso d’acqua naturale dell’alveo (OMISSIS). Contrariamente a quanto denuncia il ricorrente, si tratta di circostanze esaminate dal Tribunale Superiore, rispettivamente escludendo la rilevanza del riferimento al piano di classifica e considerando l’alveo (OMISSIS) un corso d’acqua. Ritenuta quest’ultima circostanza, il Tribunale Superiore è tuttavia giunto sul piano giuridico alla conclusione dell’esistenza del dovere di manutenzione stante l’inclusione nei (OMISSIS), sulla base di quanto osservato a proposito del terzo motivo.

17. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il Consorzio Generale di Bonifica del Bacino Inferiore del Volturno al pagamento, in favore di R.A.F. e Q.A., delle spese del giudizio di primo grado, con distrazione in favore dei procuratori anticipatari e che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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